(ASI) Donald Trump e Vladimir Putin si sono incontrati ad Anchorage per il summit atteso come il primo passo verso la pace in Ucraina. Ma le ore di colloqui non hanno prodotto né un accordo né una roadmap concreta. Resta invece la fotografia di un leader russo reintegrato sulla scena internazionale e di un presidente americano disposto a concedere un palcoscenico che ha più il sapore della simbologia che della diplomazia.
Le dichiarazioni congiunte dei due leader hanno lasciato spazio a più domande che risposte. Putin ha parlato di “cause profonde” da eliminare prima di arrivare alla pace: il lessico già noto che nasconde le richieste massimaliste del Cremlino — riconoscimento dell’annessione delle regioni ucraine, neutralità di Kiev e nuove elezioni sotto influenza russa. In altre parole, una resa inaccettabile per Kyiv.
Trump si è limitato a definire l’incontro “estremamente produttivo”, accennando a “molti punti condivisi” senza entrare nei dettagli. Non ha citato né il cessate il fuoco né la parola “Ucraina”, se non per quantificare in maniera vaga le vittime settimanali del conflitto.
Il non detto pesa quanto le dichiarazioni ufficiali. Nessuna minaccia di “severe conseguenze”, nessuna roadmap per un trilaterale con Zelensky, nessuna presa di posizione netta. Solo un vago: “Abbiamo una buona possibilità di arrivarci”.
Putin ha scelto l’Alaska come cornice non solo per la vicinanza geografica ma per l’alto valore simbolico. Nelle sue parole, la storia comune tra Russia e Stati Uniti — dalla cessione dell’Alaska nel XIX secolo al ponte aereo della Seconda guerra mondiale — diventa un argomento retorico per giustificare il ritorno a rapporti “da vicini di casa”.
È una narrativa che trascende la guerra in Ucraina e punta a riscrivere la memoria collettiva: due superpotenze che, nonostante tensioni cicliche, sarebbero destinate a collaborare su spazio, tecnologia, artico e commercio. Una strategia che conferma come Mosca cerchi, oltre al cessate il fuoco, una legittimazione storica e politica negata dagli anni di isolamento.
Se Anchorage è stato il palcoscenico per l’intesa Trump-Putin, il grande assente resta Volodymyr Zelensky. Il presidente ucraino, relegato al ruolo di spettatore, viene citato solo come parte chiamata in causa “a posteriori”. Trump ha dichiarato che aggiornerà Zelensky e i vertici NATO sui colloqui, ma il tono lascia intendere che la vera trattativa si giochi tra Washington e Mosca, con Kiev ridotta a variabile subordinata.
Putin ha ammonito l’Unione europea a non sabotare i “progressi emergenti”, segnalando chiaramente che la Russia intende negoziare direttamente con gli Stati Uniti, escludendo attori scomodi.
Il momento più simbolico arriva alla fine: Putin, in inglese, strappa un sorriso a Trump con un “Next time in Moscow”.
Tommaso Maiorca – Agenzia Stampa Italia


