Dalla bottega del fotografo di paese agli smartphone sempre più sofisticati: un mestiere che sembra in crisi, ma che resta fondamentale per custodire la memoria delle nostre vite.
(ASI) Una volta, fotografare era un rito. Ci si preparava per l’occasione, si sceglieva con attenzione il fotografo giusto, si attendeva il momento dello scatto con una certa solennità. Non era soltanto un’immagine: era un frammento di vita consegnato all’eternità.
La fotografia era un’arte riconosciuta e rispettata, fatta di tecnica e sensibilità, di pazienza e dedizione.
Oggi, con gli smartphone sempre più potenti, scattare è diventato immediato, quasi istintivo. Centinaia di immagini al giorno finiscono nei nostri rullini digitali. Ma scattare non significa fotografare. La fotografia è molto più di un clic: è la capacità di raccontare una storia, di dare luce e forma a un’emozione, di rendere eterno un istante che altrimenti svanirebbe.
Ecco perché la figura del fotografo resta insostituibile. Nei momenti che contano – matrimoni, cerimonie, eventi unici – affidarsi a uno sguardo professionale significa trasformare l’ordinario in straordinario. La differenza tra una foto qualsiasi e una fotografia d’autore sta proprio lì: nella memoria che sa costruire, nel valore che acquista con il tempo.
Difendere questa professione è difendere un patrimonio culturale ed emotivo. Non possiamo permettere che un’arte così preziosa venga relegata ai margini. Le immagini ci raccontano chi siamo, ci restituiscono emozioni, tramandano la nostra storia.
Se oggi possiamo ricordare, rivivere e condividere momenti indimenticabili, lo dobbiamo a chi, con passione e competenza, continua a credere nella fotografia come linguaggio universale, capace di custodire la nostra umanità.
Elisa Fossati


