Mancini come Bearzot. Da Madrid a Wembley, l’11 luglio è più azzurro che mai

italia(ASI) Forse non sarà una canzone a cambiare le regole del gioco. O forse sì. Chi ha vissuto Italia ‘90 si è trascinato dentro per trentuno anni un groppo in gola. Bella, anzi bellissima la canzone interpretata da Gianna Nannini ed Edoardo Bennato, ma legata ad un' Italia-Argentina che ci ha fatto versare lacrime amare. 

Fino a ieri sera, alla parata di Donnarumma sul calcio di rigore di Saka. Al momento in cui Giorgio Chiellini, capitano ed ultimo baluardo di classico difensore all’italiana, ha sollevato il prezioso trofeo. Un gesto che ha fatto capire agli inglesi che possono anche aver inventato il calcio, ma che in realtà non l’hanno mai compreso del tutto. 

Il calcio, quello puro, che piace a noi, si poggia sulle solide fondamenta della sportività. Del rispetto di ogni Inno Nazionale, non solo di quello di Mameli, ignobilmente fischiato ieri sera. Dell’onore della Bandiera, non solo quella italiana, che qualcuno ha tentato vigliaccamente di bruciare a poche ore dal calcio d’inizio. 

Non riuscendoci, perché il tricolore, com’era scritto nelle stelle, avrebbe sventolato festante sopra il cielo di Wembley e di quell’Europa da cui la Gran Bretagna ha deciso di uscire più di un anno fa. Ieri sera abbiamo chiuso gli occhi e siamo tornati con la mente a trentuno anni fa. 

A quella canzone, al sogno di tutti noi. Cominciato quand’eravamo bambini per arrivare lontano. Ad un finale diverso, trentuno anni dopo, ma con emozioni ancora più forti. A quell’abbraccio tra Roberto Mancini e Luca Vialli, fratelli di una Italia intera. La nostra. Bella, unica, vincente. 

Raffaele Garinella - Agenzia Stampa Italia

 

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