Nulla da eccepire circa il restauro della struttura e configurazione architettonica interna della chiesa: suppongo ci si sia attenuti ai tradizionali sistemi antisismici e materiali eco-sostenibli, o comunque ai validissimi Lineamenti procedurali in materia, che l’ufficio diocesano per i beni culturali ha molto opportunamente emanati, benché successivamente alla riprogettazione del San Biagio. Il recupero ha permesso il rinvenimento di resti strutturali, dietro e sopra le volte absidali della chiesa attuale sette-ottocentesca, i quali svelato che San Biagio, come del resto altri monumenti sacri cittadini, costituisce un palinsesto di chiese avvicendatesi sul sito ma di conformazioni plani-volumetriche, orientamento e dimensioni ben differenti tra loro. Infine e soprattutto, la scoperta maggiore: l’affresco di scuola senese di Madonna con Bambino sulla parete destra dell’altare grande, plausibilmente trecentesco, e vari altri, anche più antichi e interessanti, nascosti dietro i partiti architettonici e plastici settecenteschi della chiesa.
Ciò che si sarebbe potuto fare meglio è la facciata. Come ben si sa, la sua parte superiore, lasciata incompiuta e a smorze dalla ricostruzione di post-1703, nel sisma del 2009 era stata quasi del tutto abbattuta. Rifare ’à l’identique’ una parete grezza come quella crollata non è d’evidenza materialmente possibile. Era dunque l’occasione d’oro per valorizzare gli architetti di oggi chiedendo loro una soluzione conclusiva geniale, in forme contemporanee, del prospetto, in armonia con l’ordine inferiore: operazione, questa, prevista anche da Giovanni Carbonara, il quale di recente scriveva che l’inserzione del nuovo nell’antico costituisce “non volontà preconcetta di ’riconfigurare’ l’opera, ma necessità di dare una ’soluzione estetica’ al problema del restauro, con tutto ciò che tale asserzione comporta“. Il nostro caso, insomma. Ma no: si è scelto di realizzare un nuovo ’grezzo’, un nuovo ’non finito’, impiastricciato di sbavi di malta, una brutta copia del timpano crollato.
Forse si sarebbe almeno potuto adottare la soluzione ’in neutro’, che il sottoscritto propone nella pubblicazione ’L’Aquila nuova negli itinerari del Nunzio’: una parete intonacata come nell’ordine inferiore e il cui timpano, con fine tocco, supera di poco i colmarecci del tetto come nei casi delle fronti sei-settecentesche di San Filippo e del Gesù in città.
Orlando Antonini
Annotazione biografica a cura di Goffredo Palmerini
* Mons. Orlando Antonini, arcivescovo e Nunzio apostolico, è nato a Villa Sant’Angelo, comune a 18 km. dall’Aquila. 67 anni, di cui 33 nel servizio diplomatico della Santa Sede con missioni in Madagascar, Siria, Cile, Olanda, Francia, Zambia, Paraguay ed oggi a Belgrado, mons. Antonini è anche un cultore di musica, scrittore e uno tra gli insigni studiosi di architettura religiosa aquilana. Di notevole interesse scientifico le sue pubblicazioni, come Architettura religiosa aquilana in 2 Voll. (1988 e 1993, riediti nel 2010), Manoscritti d’interesse celestiniano in Biblioteche di Francia (1997), Approfondimenti critici e rivisitazioni cronologiche nell’architettura in Abruzzo: i casi di San Massimo di Forcona e di Santa Giusta a Bazzano (1997), Chiese dell’Aquila. Architettura religiosa e struttura urbana (2004), Villa S. Angelo e dintorni (2006), San Nicola d’Anza, importante monumento aquilano da riscoprire e recuperare (2007-2008), Chiese extra moenia del Comune dell’Aquila prima e dopo il sisma (2010), L’architettura religiosa a Capestrano (di prossima pubblicazione), oltre a numerosi contributi, saggi ed articoli in giornali, riviste e libri.
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