(ASI) In Italia, culla dell’arte per eccellenza, la figura del critico ha avuto per lungo tempo un ruolo essenziale: non solo come interprete dell’opera, ma come costruttore di senso, mediatore tra la memoria e il presente, tra la visione dell’artista e la coscienza collettiva.
Oggi, questa voce sembra affievolirsi, proprio mentre il nostro straordinario patrimonio – materiale e immateriale – avrebbe bisogno più che mai di essere raccontato, compreso, difeso.
Negli ultimi anni ci hanno lasciato Luca Beatrice e Paolo Manazza, figure diverse ma entrambe capaci di costruire pensiero attorno all’arte, di prendersene cura con passione e rigore.
E prima ancora, Philippe Daverio – forse il più brillante divulgatore dell’arte italiana del nostro tempo: elegante, profondo, ironico, capace di unire dialettica e leggerezza. Con il suo inconfondibile stile, ha portato l’arte nelle case degli italiani, rendendola accessibile senza mai banalizzarla. La sua assenza si sente, come quella di chi, con garbo e intelligenza, sapeva davvero educare lo sguardo.
Oggi, Vittorio Sgarbi, forte presenza magnetica e carismatica del dibattito culturale italiano, è segnato da fragilità legate all’età e alla salute. Achille Bonito Oliva, teorico della Transavanguardia e fine pensatore, vive una stagione più appartata. Il loro contributo resta enorme. Ma intorno a loro, il silenzio si allarga.
Eppure, pur con passo timido, qualcuno si intravede all’orizzonte. Giovani studiosi, curatori indipendenti, critici emergenti si muovono con discrezione: scrivono su riviste di settore, animano piccole realtà editoriali, organizzano mostre con spirito autentico.
Esistono. Resistono. Ma faticano a trovare lo spazio che meriterebbero per portare il pensiero critico al centro della scena culturale. Il rischio è che la loro voce resti confinata ai margini, proprio in un’epoca in cui l’arte avrebbe bisogno di essere riletta con profondità.
Non è il talento a mancare, ma un ecosistema che lo accolga.
La critica ha bisogno di studio, confronto, tempo. Ma anche di fiducia, di luoghi dove formarsi, sbagliare, crescere. Senza strumenti adeguati – riviste serie, festival, borse di studio, progetti ministeriali, programmi educativi – il pensiero critico rischia di svanire. E con esso, anche la capacità di custodire e comprendere il senso dell’arte.
Il Ministero della Cultura, le università, le fondazioni, le accademie dovrebbero interrogarsi su questa situazione. Non si tratta di nostalgia, ma di responsabilità verso un’eredità culturale che va trasmessa con dignità e lucidità.
Coltivare la critica significa coltivare la memoria e il futuro.
Significa restituire profondità allo sguardo, nutrire il legame tra arte e società, e soprattutto ricordare che un’opera, senza qualcuno che la sappia raccontare, non entra nella coscienza collettiva, resta esclusa dal nostro tempo.
Salvo Nugnes
*Immagine generata conGemini (Google AI)


