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La Tunisia chiede il prestito del Fondo Monetario Internazionale, ma c’è chi si oppone

(ASI)  La Tunisia sta passando un periodo economico particolare, come molti altri paesi in tutto il mondo. La primavera araba, rivoluzione che ha segnato in particolare la Tunisia, ha lasciato in questo paese, strascichi economici ma anche politici e sociali; ancora oggi si ritrova a dover lottare contro alcuni tumulti, contro politici e politiche sbagliate e contro una fortissima disoccupazione e abbandono da parte dei tunisini del paese. Evento storico ed epocale la caduta di Ben Ali ma c’è chi ora si sta chiedendo cosa sia veramente successo, cosa soprattutto ora si debba fare per il bene del paese e del popolo. La Tunisia oggi  si trova a dover lavorare il doppio per accedere al prestito di 1,78 miliardi di dollari dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) per coprire le spese di bilancio del prossimo anno. Il governo però  ha innescato un'ondata di rabbia in tutto il Paese con aumenti della pressione fiscale e tagli ai sussidi.  L'economia di questo paese, a due anni dalla cacciata del governo di Zine el Abidine Ben Ali, è entrata in un’era a dir poco difficile, è un paese sulla strada della modernità ma anche della crisi, legato ancora a tradizionalismi e ad un governo non del tutto definito e accettato dal popolo. Questo paese ora si vede costretto ad affidarsi agli aiuti esteri per far quadrare i conti pubblici. Oltre al denaro del FMI, il Paese ha recentemente beneficiato di due prestiti da 500 milioni di dollari erogati dalla Banca Mondiale, oltre a sussidi dal Qatar, dall’African Development Bank, dal governo USA, dall'UE, dalla Turchia e dall'Agenzia dello Sviluppo Francese. Lo stallo di questo paese è dovuto al turismo, molto il calo in questi ultimi due anni dovuto agli scontri, con una disoccupazione nelle regioni più arretrate quasi del 20%, l’industria turistica della Tunisia contribuisce per un sesto all’occupazione. William Murray, vice portavoce del FMI ha affermato a inizio marzo, che sono in corso dei negoziati per un accordo d’emergenza, afferma che stanno anche sondando il nuovo governo, dichiarandosi disponibili ad aiutare la Tunisia in tutte le forme necessarie durante questo periodo di crisi mondiale e in questo momento difficile di transizione politica nel paese. Questo prestito non convince però Mariem Ben Abid, fondatrice dell’Arab Governance Institute, che spiega: “Per garantire l'erogazione del prestito, il FMI richiede come contropartita le tipiche “riforme strutturali”, secondo alcuni esperti “riforme dolorose” che avranno ricadute negative sull'economia e sul tenore di vita della Tunisia (…) Occorrerà ridurre gradatamente i sussidi che rappresentano il 5% del prodotto interno lordo (PIL). La conseguenza sarà un aumento dei costi dei carburanti e quindi dei trasporti. In ultima analisi, questo determinerà un generale incremento dei prezzi di mercato. A causa del potenziale aumento dell'IVA, l'aumento dei prezzi di mercato finirà per minare il tenore di vita medio dei tunisini, considerato anche che i salari non vedranno un analogo incremento, soprattutto perché il tasso di inflazione è già intorno al 9%”. “Ben Abid ritiene inoltre che esitano altre misure che il governo tunisino potrebbe adottare per scongiurare la dipendenza dal FMI: “Controllo dell'evasione fiscale e dei bilanci fiscali di quegli imprenditori noti per corruzione che gravitavano nella cerchia di Ben Ali. Maggiore trasparenza nelle spese e nelle entrate di stato, comprese le gare d'appalto nazionali e internazionali e la tassazione energetica. Massicce riforme per arginare la corruzione che, secondo diversi studi nazionali e internazionali, è attualmente in aumento, nonché l'attuazione di politiche di governative”. La Tunisia e gli stessi tunisini vogliono che si avvii un’indagine per rintracciare i prestiti incassati durante l'era Ben Ali, questa manovra contribuirà a ricostruire l'inappropriata destinazione dei fondi e probabilmente ne consentirà il parziale recupero. Non solo vogliono stipulare nuovi trattati commerciali con paesi dell'Africa e del Maghreb per ridurre la dipendenza dall'Europa (che assorbe l'80% delle esportazioni tunisine) e per attutire l'impatto della crisi. accelerando al contempo la riforma degli oneri doganali che, secondo alcuni esportatori, a partire dalla rivoluzione, sono diventati un pesante fardello. Cosa molto importante è anche rafforzare le misure di sicurezza per ridare impulso al settore turistico, ambito ancora prezioso e primo nella classifica per la Tunisia come introito.

Emanuela Marotta – Agenzia Stampa Italia

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