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(ASI) Il Procuratore della Repubblica di Palermo Antonio Ingoria in un dibattito a Reggio Calabria ha commentato la richiesta di rinvio a giudizio sulla trattativa Stato-mafia. “Per me è un giornata importante, non solo per ragioni professionali. Abbiamo chiuso la più importante indagine della Procura di Palermo degli ultimi anni. Vent’anni fa si è avviata una stagione di terrore. Oggi sappiamo che al di là delle apparenze dietro le quinte c’era un pezzo dello Stato che trattava con la mafia”.

Ricordando Paolo Borsellino dice: “Ho giurato sulla bara di Paolo Borsellino che non avrei avuto pace fino a quando non si sarebbe scoperta tutta la verità su quella strage. Non posso ancora dire - continua Ingroia - di essere tranquillo, rispetto a questo giuramento, ma, chiusa questa indagine, mi sento più sereno e penso che un pezzo di verità sia stato finalmente ricostruito”.

Sul Capo dello Stato ha commentato che: “Non abbiamo leso le prerogative del Capo dello Stato. Su di lui non c’è scritta nemmeno una sillaba nel procedimento. La Presidenza della Repubblica ha ritenuto di sollevare il conflitto di attribuzione affidando il compito di giudicare alla Corte Costituzionale, ma io non credo sia la scelta più giusta.

La vicenda - continua il giudice - si è sviluppata attorno alla procedura da utilizzare per la distruzione delle intercettazioni irrilevanti. Nel caso di questione è in dubbio che ovviamente il Capo dello Stato non è intercettabile e non è mai stato intercettato. Ma nel corso di una intercettazione dell’ex senatore Nicola Mancino ci siamo trovati casualmente di fronte ad una conversazione con il Capo dello Stato. In questi casi c’è chi sostiene che si deve procedere alla distruzione immediata.”

 

 

Davide Caluppi - Agenzia Stampa Italia

 

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