Di tutti i professionisti di origine straniera che lavorano nella sanità italiana, solo il 65 per cento non ha la cittadinanza
(ASI) Di tutti i professionisti di origine straniera che lavorano nella sanità italiana, il 65 per cento non ha la cittadinanza; l’80 per cento lavora nel privato, il restante 20 per cento nel pubblico o come medici di medicina generale e pediatri di libera scelta. La maggioranza di chi lavora nel pubblico fa parte di quella prima categoria di medici laureati in Italia 40 anni fa che ha ottenuto nel tempo la cittadinanza, visto che per accedere ai concorsi pubblici è necessaria.                                                                    

“Questo è un problema ancora in essere e che abbiamo sollevato oltre venti anni fa, quando nacque l’Amsi, avviando un dialogo con il governo, con il Ministero della salute, con gli albi professionali e con la Fnomceo, con cui collaboriamo dal 2000”.

Così si esprimono i vertici di Amsi, Associazione Medici di Origine Straniera in Italia.

L’associazione ha proposto che chi lavora in Italia regolarmente da cinque anni, conosce bene la lingua e la cultura italiane, la cultura e l’educazione sanitarie, tutti gli aspetti connessi alla medicina legale e difensiva abbia la possibilità di accedere ai concorsi pubblici senza l’obbligo della cittadinanza. Perché? Per cercare di risolvere ciò che Amsi denuncia da anni, ovvero la carenza di medici, specialisti, infermieri e fisioterapisti in Italia, come testimoniano i numeri.

Negli ultimi sei anni Amsi sostiene di avere ricevuto più di 9mila richieste di medici specialisti da tutte le strutture, pubbliche e private. Una tappa fondamentale è stata quella del decreto-legge “Cura Italia” del 17 marzo 2020 che ha permesso ai medici di origine straniera di lavorare senza l’obbligo del riconoscimento del titolo, per via dell’emergenza pandemica.

Proprio in quel periodo sono arrivati medici cubani, egiziani, russi, ucraini e da molti altri Paesi. Ultimamente invece le aziende sanitarie si avvalgono delle manifestazioni di interesse, ovvero un modo per reclutare medici – senza un concorso pubblico – in base alle carenze e alle necessità, accessibile anche ai medici di origine straniera senza cittadinanza. Le più note tra queste sono state fatte con la Regione Lazio e l’ultima in ordine cronologico con l’Asp di Trapani, che richiedeva medici di pronto soccorso, cardiologi e altri specialisti. Oltre alle regioni che richiedono medici stranieri, e sono sempre di più, ce ne sono alcune che si rivolgono direttamente all’estero, come ha fatto la Regione Calabria.

Foad Aodi - Agenzia Stampa Italia

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