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Cina. non è un paese per giovani

(ASI)Dopo molteplici peripezie editorali e slalom rocamboleschi tra i paletti insidiosi della censura di Stato che ne hanno ritardato la pubblicazione, il libro “Too many people in China?-Troppe persone in Cina?” ha visto finalmente la luce. Il suo autore, James Liang, è a capo della CTRIP, la prima società di viaggi online del paese.

Liang -un dottorato in economia a Stanford- sostiene che le politiche di contenimento delle nascite attuate dal suo governo negli ultimi trent’anni, avranno ricadute fortemente penalizzanti sul futuro dell’economia nazionale: agli attuali livelli di crescita demografica, questa rischia di arrivare tardi all’appuntamento con l’innovazione, rimanendo prigioniera di un’identità che stenta a riconoscersi nelle fattezze di un sistema, per tanti aspetti, ormai maturo.

Fino ad oggi, la Cina è stata la fabbrica dei comparti produttivi di mezzo mondo alla ricerca di inesauribile manodopera a basso costo; il suo originale modello politico-economico ha inciso profondamente sull’economia globale, modificandola radicalmente. Rappresentando l’alter ego di un occidente vittima della sua bulimia di consumo ne ha approfittato per imporre la sua crescita vorticosa. Una tendenza progressiva che tuttavia non poteva continuare all’infinito, nonostante la proverbiale propensione al sacrificio del popolo cinese, accompagnata storicamente da una concezione della società molto distante dalla nostra.

La cosiddetta politica del figlio unico fu implementata per la prima volta nel 1979, per contrastare le rovinose conseguenze economiche e sociali della sovrappopolazione, e porre così le basi di un futuro prospero. A prescindere dalle sue implicazioni etico-morali che andrebbero fatte premessa di qualsiasi ragionamento, la situazione attuale conosce un fenomeno inedito e preoccupante–che difficilmente ritroveremo negli studi ufficiali: la popolazione sta invecchiando e di concerto diminuisce la giovane forza lavoro che ha rappresentato il nerbo dello sviluppo; un trend inarrestabile ci dice l’autore. Secondo le rilevazioni di due studiosi dell’Università Renmin, questo dato sarebbe confermato dal calo spontaneo delle nascite tra le nuove cittadinanze inurbate, sintomo fisiologico dei paesi che raggiungono certi livelli di ricchezza e di educazione. Per il momento, i vertici del partito unico alla guida della nazione non sembrano allarmati e continuano a camminare saldi su una corda ancora ben tesa. Su quella corda, sfilano in equilibrio le nostre economie che un giorno potrebbero ritrovarsi appese nel vuoto, illudendosi che un paracadute made in China le salverà.

 

 

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