(ASI) Oggi è la prima domenica di Avvento. Mancano poco più di tre settimane a Natale, eppure se guardiamo le vetrine, i supermercati, le pubblicità, sembra che la festa sia iniziata da settimane.
Già dal 2 novembre, passato Halloween, siamo stati travolti da alberi scintillanti, canzoncine di sottofondo, panettoni impilati in ogni corsia.
Una lunga attesa che però, paradossalmente, finisce per farci perdere proprio… l’attesa.
Ai miei tempi, e non parlo di secoli fa, l’albero è il presepe si facevano l’8 dicembre, dopo l’Immacolata. Era un giorno speciale: si tiravano fuori le scatole dagli armadi, si accendevano le luci per la prima volta, si sentiva che stava davvero arrivando qualcosa.
Oggi invece sembra che tutto debba essere subito pronto, immediato, anticipato. Così tanto anticipato da svuotarsi di senso.
Il Natale è diventato una corsa: ai regali, agli sconti, agli eventi aziendali, ai pranzi che si moltiplicano. Una maratona sociale che, spesso, ci lascia più stanchi che felici.
Ma il Natale non nasce nei pacchetti, e nemmeno nelle luci.
Nasce in una grotta, nel silenzio, nella semplicità più disarmante. Nasce in un Dio che sceglie di farsi uomo, piccolo, fragile, come a ricordarci che la grandezza non ha bisogno di rumore.
Il messaggio di Gesù è antichissimo e modernissimo allo stesso tempo:
“Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi.”
Non è retorica. È un invito urgente, soprattutto oggi, in un mondo che corre, che divide, che litiga, che si consuma da solo.
Dovremmo ricordarci di ciò che conta davvero: le relazioni vere, la cura, la presenza, la pace da costruire ogni giorno.
Forse, allora, quello che abbiamo dimenticato è proprio questo: il Natale è un tempo di amore autentico, di attesa semplice, di gesti piccoli ma pieni di senso.
Un tempo che non chiede di comprare, ma di condividere.
Che non chiede di riempire la casa di luci, ma il cuore di luce.
E se quest’anno provassimo, anche solo un po’, a recuperarlo?
Elisa Fossati


