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(ASI) Il calcio non è uno sport. O meglio, non è “lo” sport.


Il calcio è vita, realtà, evento segnato essenzialmente dalla dimensione della finitezza e della storicità. Sembreranno semplicemente stupide parole pronunciate e sbandierate da chi crede ancora nella valenza pragmatica di uno stupido "sport" giocato con i piedi, fatta eccezione del portiere, l'unico ente mobile avente il diritto di far uso concreto delle mani. E che stupide parole siano... Il calcio è l’Infinito in Hegel: il reale, l’effettivo opposto al Finito, all’ideale, al non vero. Il gioco è l’essere giocato dal giocatore (Il riso e il pianto, Helmuth Plessner).  E il calcio è il gioco per antonomasia.
E' il gioco dell'anima bella. E' il gioco di chi sa connettere ed ancorare grazia e dignità. Pur essendo esonero dalla realtà empirica e quotidiana, esso mette in evidenza un essere vincolati a delle regole fisse che tendono pian piano ad auto- definirlo.
Ma questo calcio, oramai fin troppo "dogmatico", ci ha inevitabilmente condotti verso uno status di apatia difficile da accettare e da comprendere, eppure fastidiosamente respirabile.
Al Calcio di oggi manca la fantasia, l'irrazionalità, il "fanciullino".
Il calcio moderno è monco di ebbrezza.
Dov'è finita la follia? Dove la magia? Dove la tragedia? Dove Eschilo? Dove Sofocle?
 Al Diavolo le razionali logiche commerciali a-sentimentali. Al calcio manca la sua reale essenza dionisiaca, inghiottita ed obliata da tanto (troppo) tempo.

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