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Libia, un anno dopo
(ASI) È ormai passato un anno da quando, sull’onda della primavera araba foraggiate dall’occidente, in Libia inizia la rivolta che nel giro di otto mesi avrebbe portato non solo alla caduta ma anche all’assassinio di Muammar Gheddafi, che per più di 40 anni aveva retto il paese facendolo crescere e progredire. In linea teorica il potere è ora in mano al Cnt, il consiglio nazionale di transizione, ovvero ai ribelli che si sono costituiti governo ad interim durante i disordini pur avendo ottenuto il placet delle democrazie atlantiche non hanno in pieno quello della popolazione.

La Libia infatti è da sempre divisa in tribù spesso in contrasto tra loro che però Gheddafi aveva saputo pacificare dando ad ognuna di queste una specifica fetta di potere riuscendo così a mantenere per tanti anni il potere, potendo contare anche sulla redistribuzione della ricchezza derivante dal commercio di petrolio e gas.

A differenza di Gheddafi in Cnt non riesce ad imporre la propria autorità sulla cittadinanza ed è inoltre ancora troppo impegnata a far pagare ai vinti una guerra scatenata dai vincitori. Inoltre tutte quelle tribù che avevano ricevute potere dal raìs sono ora impegnate in un difficile negoziato con il Cnt che non sembra per nulla intenzionato a cedere fette di potere.

Sempre più grande è poi il problema legato alla sicurezza ed all’ordine pubblico; durante il conflitto praticamente tutta la popolazione si è armata e si sono create varie bande armate che ora appaiono intoccabili, con il Cnt che pur di non perdere il basso seguito di cui gode lascia che questa situazione continui a manifestarsi. Tutto ciò però comporta continui scontri tra i clan non solo per la conquista di nuove aree, ma soprattutto per il controllo di depositi di armi.

Ad aggravare la situazione vi sono poi gli abusi, le detenzioni illegali e le torture condotte dalle milizie nei confronti di sospetti lealisti gheddafiani.

Un anno fa i libici insorgevano contro Gheddafi. A dodici mesi di distanza l’occidente atlantico è sicuro che oggi i libici stiano meglio, anche se a noi non sembra proprio.

 Fabrizio Di Ernesto - Agenzia Stampa Italia

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