(ASI) Con la speranza di fare cosa gradita ai lettori, riporto un passo del grande Berto Ricci sulla figura di Mazzini. “Senza Giuseppe Mazzini l’unità sarebbe rimasta una fantasia di cervelli ambiziosi, un sognare di filosofi contro la storia. Mazzini prima di tutti, più fortemente di tutti, volle che all’impresa avesse parte il popolo, pena il fallimento o la mala riuscita: e il fallimento voleva dire rinunziare all’Italia, bislacca e convenzionale, rampollo spirituale della Santa Alleanza, dei napoleoncini, del Papa.
Mazzini diffamato, taglieggiato come un brigante da tutte le diplomazie e anche da quella che giunse poi attraverso Aspromonte e Lissa a Venezia e a Roma, aspreggiato infine dagli scaccini rossi che avrebbero voluto copiare la Comune come i loro nonni e padri avevan farneticato di repubbliche cisalpine e di monarchie orleaniste, resta con Garibaldi il capo del Risorgimento e il fondatore della patria, incomparabilmente maggiore d’ogni statista, patteggiatore o stratega di provvide alleanze. E non sarebbe male ricordare che il gran repubblicano fu imperialista assai più, assai meglio, d’ogni bertuccia moderata; ed in tempi d’abiezione nazionale, quando questo popolo era davvero l’ultimo dei popoli, quando in un’Europa già sveglia e intraprendente tutta la nostra industria era qualche filanda in Lombardia, e sarebbe stato assurdità il solo pensare che questa colonia potesse dedurre colonie e le plebi meridionali campavano e crepavano nella più spaventosa miseria, nella pretesca ferocia dei massacratori di Sapri, nel cattolicesimo feudale caro a certi letterati d’oggi che vivon di rimembranze, egli già vedeva l’Italia educatrice marziale de’ suoi giovani, arbitra del suo mare, prima nell’opera di pace, tutrice ed amica d’una federazione di balcanici e danubiani, splendida di autorità morale sulle nazioni. Egli ebbe ragione quando tutto sembrò dargli torto, quando le vicende nazionali e più ancora l’irriconoscenza degli uomini parvero umiliare la sua anima grande, e invece ne trassero più luce.
Ci insegnò l’amore all’Italia popolare, senza la quale nessuna realtà politica può dirsi stabile in questo Paese: quell’Italia a cui noi ci sentiamo legati di sangue e che vediamo bella, maestra di vivere e di parlare, nonostante le ironie degli scrittorini alitanti sotto cappe di vetro, nonostante il folclore bugiardo di chi falsamente l’ama. Perché questo ci preme, questo vogliamo dire, questo nessuno può smentire: che gli eunuchi, vili e piglia schiaffi disonorano il fascismo, che i saggi in cappamagna lo inceppano, i noiosi teorici della tradizione gli fan perdere tempo, gli adulatori l’avvelenano, i bruti spiritati dal gesto dittatorio e dagli occhi grifagni lo mettono in farsa: e l’Italia del popolo, l’Italia di Basso Porto e di Via Toscanella, essa sola, lo alimenta di vita. E questo non è classismo, non è bolscevismo, perché non importa esser nati in Via Toscanella, né starci: quel che conta è saperci stare”.
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