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Monzon, il professionista della violenza

(ASI) Essere desiderato da tutte le donne più  belle del mondo e nello stesso tempo non sapere gestire le proprie emozioni. Questo era Carlos Monzon, campione del mondo dei pesi medi dal 1970 al 1977. L’uomo che nella boxe ha fatto crollare il mito di Nino Benvenuti. Un pugile cattivo, ma sempre rispettoso delle regole che non aveva pietà del suo avversario.

Lo hanno ricordato con grande precisione e intensità presso la sala del Consiglio provinciale di Perugia lo scrittore Dario Torromei, giornalista che ha seguito dieci Olimpiadi, coautore con Riccardo Romani del libro “Monzon, il professionista della violenza”, Elio Berloldi in un incontro organizzato dall’agente Fifa Sabatino Durante. Tra gli inviatati molti personaggi dello sport tra cui il campione olimpico Roberto Cammarelle e l’allenatore Walter Novellino.

La vita di Monzon sembra irreale, un romanzo forse con troppi colpi di scena: l’infanzia problematica, la fortuna, i soldi, il successo mondiale, le innumerevoli donne tra cui Ursula Andress e poi l’omicidio,  il carcere, un nuovo amore da favola e una scomparsa improvvisa.

Monzon era un atleta straordinario, che si allenava a ritmi intensissimi e ai limiti dell’umano, un uomo vitale, energico, ma con tante ombre e con la capacità di perdere il controllo. Una sorta di belva che annullava la sua  capacità di razionalizzare, capace di buttare cose e persone fuori dalla finestra. Un uomo dotato di grande passione, che lo rendeva irresistibile per le donne e nello stesso tempo opprimente. Il tarlo della gelosia che lo rendeva un uomo terribile, violento, tanto da portarlo ad uccidere una delle sue mogli.

Nella boxe è stato un mito, un esempio,  che non è mai crollato, nella vita,  è stato capace di alzarsi dalla miseria di raggiungere il massimo e di crollare sotto i pugni terribili della sua stessa personalità. Monzon non aveva pietà per i suoi avversari e non la ha avuta neanche per sé stesso.

Diana Corvi – Agenzia Stampa Italia

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