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Vajont 1963 – 2013: 50 anni di una tragedia
(ASI) 1910 morti. 1,6 km in 4 minuti. Questa l’energia prodotta dall’ondata. Parliamo di una potenza pari al doppio della bomba atomica di Hiroshima. Inimmaginabile.

La diga del Vajont, si trova ancora lì, ma ciò che è successo in quattro minuti d’orologio non lo possiamo caprie. Crollava il Monte Toc, e la frana immensa, si distendeva per due chilometri. Era sera, quel 9 ottobre del 1963, precisamente le 22.39.

E’ giusto ripetere: 1910 morti, di cui 460 bambini. L’onda era alta 230 metri. L’enorme massa del Monte Toc piombava nel lago artificiale, provocando la distruzione di 7 paesi: Longarone, Maè, Pirago, Villanova, Rivalta, Faè, Castellavazzo e Cassidago.

50 anni dopo non possiamo dimenticare. Sono sorti memoriali interattivi, una fondazione. Ma gli interrogativi, restano alti. Già 50 anni orsono si era compreso che la commistione tra scienza e politica aveva portato a questo disastro. Ora, nel 2013, possiamo aprire un’inchiesta. Forse, la frana del Monte Toc, è stata pilotata.

Sì, sarebbe questa l’ultima tragica rivelazione a 50 anni di distanza. La Procura di Belluno ha aperto, proprio in questi giorni un’indagine preliminare circa una lettera in cui si parla del disastro del Vajont come un qualcosa di “pilotato”. In una lettera rivelatrice, la figlia del notaio Isidoro Chiarelli, deceduto nove anni orsono, fa riferimento ad un dialogo che sarebbe avvenuto nello studio notarile tra i dirigenti della Sade (la società proprietaria della diga). L’oggetto della conversazione era il distacco pilotato della frana del Monte Toc, in orario compreso tra le “9 e le 10 di sera”, senza persone in giro, perché tutte “intente a guardare la televisione”. I dirigenti “avrebbero già fatto le prove, le onde sarebbero state al massimo alte 30 metri, senza preoccupazioni. Nemmeno per quei quattro montanari dei boschi”.

Isidoro Chiarelli sarebbe stato indotto al silenzio, intimato di “mantenere il segreto professionale, altrimenti, gli sarebbe costato molto caro”. Il padre sapeva quindi, e avrebbe preparato le figlie a scappare la sera del disastro.

Gli inquirenti sono stati mossi da queste frasi, e finora nessuno era a conoscenza di queste vicende. Il Procuratore di Belluno, non capisce come mai tutto ciò venga fuori a 50 anni di stanza. Dati che potrebbero cambiare integralmente la storia. “Sconvolgente”, secondo il Sindaco di Longarone. Ed è il caso di convenire, perché una strage simile non ha pari nella storia del nostro Paese. Non si trattava di “una spruzzata d’acqua”, ma di un olocausto. I sopravvissuti parlano di “rumore di un mostro”. Paesi rasi al suolo. Persone sbalzate di 350 metri. Chi ha visto le macerie, ha impresse immagini indelebili dei sette Paesi cancellati.

La memoria dovrà rimanere indelebile, così come lo sarà, questo tristissimo anniversario.

 

Valentino Quintana per Agenzia Stampa Italia

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