“Il nuovo Governo non si dimentichi del Sud. Alla giustizia, meglio un giurista”. Luigi Balestra, presidente dell’Osservatorio Riparte l’Italia

riparteitalia(ASI) "Al Ministero della Giustizia? Non sono poche le personalità che potrebbero adempiere molto bene al compito. Ho, però, in mente un profilo ben preciso: un giurista che abbia consuetudine con i meccanismi procedurali e, al contempo, una spiccata sensibilità rispetto agli interessi che la realtà sociale fa emergere.

L’intervento prioritario è, mio avviso, una riforma ampia del processo civile, indispensabile strumento per accrescere l’efficienza delle imprese. Punterei molto anche sulla formazione, non solo tecnico giuridica, dei protagonisti del processo”.

Il consiglio arriva da Luigi Balestra, foggiano, classe ’65, avvocato, docente di diritto civile all’Università di Bologna, Vicepresidente del Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti, da maggio scorso alla guida del think tank Riparte l’Italia, un Osservatorio che da nove mesi sta raccogliendo proposte su come ricostruire l’Italia. Chi vuole può lasciare la propria proposta sulla piattaforma.  www.ripartelitalia.it

Presidente, l’ennesimo pensatoio? Non bastavano i partiti, i sindacati, i media, la società civile?

L’Osservatorio è nato perché abbiamo constatato una progressiva perdita di valore dei corpi intermedi, capaci di suscitare una riflessione. In questa fase delicata, in cui si dovranno compiere scelte importanti, è importante il confronto fra idee diverse. L’Osservatorio può essere di aiuto a chi governerà il nostro Paese. Quanto conteremo? L’ambizione non è poter contare, ma veder riconosciuta la bontà del contributo di idee che raccoglieremo. Non abbiamo alcuna collocazione politica né pregiudiziali, se non quella di vedere rispettati valori fondamentali, quali: il pluralismo, la dignità degli individui, uno sviluppo sostenibile e teso a superare le diseguaglianze. Abbiamo già un numero consistente di persone che giornalmente entrano in contatto con la piattaforma, consultando il sito o attraverso la newsletter. A breve lanceremo anche una campagna di adesioni per incentivare la partecipazione. Al momento sono quattrocento  gli interventi originali pubblicati sulla community. Mi piace sottolineare il grande interesse suscitato dalla piattaforma nel mondo delle imprese e del lavoro, della cultura, della sanità e delle istituzioni. E faremo conoscere le nostre posizioni al nuovo Governo.

Cosa pensa del presidente del Consiglio incaricato, Draghi? E’ il simbolo della resa della politica o, al contrario, come ha scritto Alessandro Campi in questi giorni, è il risultato di un atto di responsabilità della politica?  

Una figura come quelle del Presidente Draghi genera una condivisione molto estesa, né potrebbe essere diversamente. Il tema della condivisione, che riguarda persone, interessi, obiettivi, è fondamentale, ancor più nella società contemporanea in cui le spinte sono verso la disarticolazione e la frammentazione. Sotto il profilo degli eventi che hanno condotto al conferimento dell’incarico al Presidente Draghi, mi limito ad osservare che la collettività dei cittadini ha poco compreso quali fossero le ragioni di opportunità di una crisi in un momento delicato e carico di sofferenza.

La frattura nella maggioranza forse non è stata capita subito perché il momento è delicato, ma ora il giudizio positivo su Draghi, e non solo a livello internazionale, è quasi unanime.  Persino la Lega pare abbia subìto il fascino dell’ex presidente della Bce. Si è novellata, assumendo una fisionomia europeista.  La partecipazione al futuro esecutivo, poi, sembra ampissima. Solo la leader di Fdi ha annunciato che non voterà la fiducia al Governo. Insomma, una crisi che, agli inizi ha fatto paura, ma che oggi ci fa ben sperare.

Certo, una partecipazione estesa è auspicabile, considerata l’impossibilità di dare vita a maggioranze alternative a quelle che hanno sorretto il governo del Presidente Conte. La questione allora diventa come intendere la partecipazione, concetto che può essere variamente declinato.

Per far ripartire l’Italia meglio un esecutivo misto tecnico- politico, solo politico o solo tecnico? E quanto lo farebbe durare?

Ogni governo difficilmente riveste natura unicamente politica o tecnica. Su questi termini occorre infatti intendersi. Entrambi sono in grado di mantenere la loro matrice originaria pur in presenza di elementi, spesso riscontrabili, di contaminazione. Penso che nell’attuale scenario politico non si possa, comunque, prescindere da una composizione mista. Il tema è quale sia il corretto equilibrio, spesso decretato anche dalle persone che valgono a comporlo. 

Immaginiamo di riempire qualche casella. Al Ministero della Giustizia chi vedrebbe? E quale dovrebbe essere l’intervento prioritario?

Non sono poche le personalità che potrebbero adempiere molto bene al compito. Il profilo: un giurista che abbia consuetudine con i meccanismi procedurali. L’intervento prioritario è, mio avviso, una riforma ampia del processo civile, indispensabile strumento per accrescere l’efficienza delle imprese. Punterei molto anche sulla formazione, non solo tecnico giuridica, dei protagonisti del processo.

Chi le piacerebbe avere allo Sviluppo economico?

Una figura che sappia coniugare lo sviluppo economico con la sostenibilità e le pressanti istanze ambientali.

Alla scuola?

Occorrerebbe che chiunque venisse investito di questa delicata responsabilità rivitalizzasse i percorsi scolastici, dedicando prioritaria attenzione alla formazione – anche sotto il profilo dello sviluppo della cultura dei valori fondanti la società civile – e alla capacità dei giovani di lavorare a progettualità innovative. Il tutto puntando su un maggior benessere collegato ai tempi di permanenza nelle scuole. 

Giustizia, riforma della Pubblica amministrazione, fisco, scuola, sanità, pensioni, lavoro, revisione del rapporto Stato Regioni, Sud: quale dovrà essere il filo conduttore lungo il quale si muoverà il processo di riforma in questi settori?  

Sono tanti i fili conduttori che potrebbero venire in considerazione. Dice bene, il Sud: ormai da troppo tempo il Mezzogiorno è chiamato a colmare un gap di rilevanti dimensioni, presenta quelle caratteristiche di trasversalità, nonché quella capacità di produrre valore aggiunto con riguardo a tanti temi da lei citati. Un altro potrebbe essere rappresentato dalla rivoluzione verde e dalla transizione ecologica, che ben potrebbero prestarsi a sceglierlo come segmento trainante.

Tra i settori indicati ce n’è qualcuno che rischia di fare la Cenerentola?

Occorre valorizzare di più gli investimenti infrastrutturali, soprattutto sotto il profilo della manutenzione delle infrastrutture esistenti, della bonifica dei siti dismessi, in crisi o pericolosi.  

Arriva la fine di marzo, data di scadenza del blocco dei licenziamenti, cosa propone?

E’ fondamentale che gli imprenditori rivedano strategie e modelli di sviluppo. La pandemia ha decretato una brusca battuta d’arresto del fenomeno della globalizzazione, che aveva assunto tratti a volte esasperati. Saper far rete nel contesto di aree territoriali circoscritte può generare valore aggiunto, aiutando anche a superare il cosiddetto nanismo di cui si ritiene soffrano molte imprese italiane. Al potenziamento della rete, quale processo in grado di innescare dinamiche virtuose, dovrebbero poi corrispondere adeguati incentivi sul piano legislativo. 

Ce la faremo a ripartire, quindi a spendere bene, come vuole l’Europa, entro il 2026,  i 209 mld di euro del NGEu? Qual è il nostro punto di forza per essere ottimisti?

E’ la grande sfida, che evoca anche l’avvio di un grande processo di responsabilizzazione della pubblica amministrazione. Per far ciò penso non si possa prescindere dalla creazione di un centro di coordinamento unitario cui far capo per garantire l’imprescindibile omogeneità dell’azione futura.

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