Covid19. Nel clima di paura e angoscia, vanno respinti i torbidi tentativi di strumentalizzazione

138792930 15819626152221n(ASI) Con l'ingresso del nostro Paese nella fase cruciale del percorso di superamento dell'epidemia di Covid-19 è iniziata anche una partita tutta politica sulla gestione politica della fase di emergenza. L'arrivo dalla Cina di tre squadre di medici e tonnellate di materiale sanitario, salutato con favore dalla grande maggioranza dei cittadini italiani, è diventato un argomento strumentale per innescare polemiche sul presunto interesse strategico che si nasconderebbe dietro questo sostegno. Quando poi si sono aggiunti aiuti medici da Russia e Cuba, la situazione è completamente degenerata scatenando reazioni a vari livelli. Stamattina, in occasione del discorso tenuto al Senato, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha dovuto addirittura ribadire che gli aiuti giunti dall'estero non potranno in alcun modo condizionare la collocazione geopolitica del nostro Paese, invitando le opposizioni e le voci più critiche tra l'opinione pubblica ad abbassare i toni.

Da quando l'epidemia è esplosa nella città cinese di Wuhan, tra la fine di Dicembre e l'inizio di Gennaio, alcuni ambienti politici e mediatici in Europa e negli Stati Uniti hanno subito concentrato le loro energie nel lanciare sospetti ed insinuazioni tentando di attribuire al governo cinese varie colpe o responsabilità per la comparsa e la diffusione del virus. Fin quando il rischio contagio appariva "lontano", confinato nel vasto Paese asiatico, in particolare nella provincia dello Hubei, tale atteggiamento, sebbene scorretto ed antiscientifico, poteva persino ritenersi scontato nella logica, purtroppo dura a scomparire, dello scontro tra "blocchi". Ora che l'epidemia ha raggiunto le nostre latitudini, colpendo duramente Europa e Stati Uniti, questo comportamento rischia di diventare estremamente pericoloso.

Nell'era dei social, teorie complottiste, fantapolitica e fake news sono purtroppo all'ordine del giorno, amplificando quella che fino a qualche anno fa chiamavamo psywar, ovvero "guerra psicologica". Immagini, filmati o vecchi documenti estrapolati dal proprio contesto originario vengono recuperati, tagliati, associati ad altro materiale o altri fatti ed opportunamente strumentalizzati per indurre quanti più utenti a credere in qualcosa di artefatto. L'ultimo, in ordine di tempo, è il frame di una vecchia puntata di TG3 Leonardo del 2015, che oggi, dopo appena un giorno di condivisione massiccia tra Facebook e Whatsapp, è già balzato al primo posto su Google non appena si provi a digitare il nome della testata radiotelevisiva, con il motore di ricerca che addirittura suggerisce la data in cui quella puntata andò in onda.

La potenza degli algoritmi della rete è così elevata da consentire ad un contenuto fake di rimbalzare ovunque persino in un momento di grave crisi sanitaria come quello che stiamo vivendo, con il risultato di gettare l'ignaro lettore nel panico più completo. L'intento era evidentemente quello di insinuare, sulla base di alcune analogie lessicali ("Cina", "virus", "pipistrelli", "esperimento" e così via), che l'agente patogeno responsabile della pandemia fosse stato creato in laboratorio da un'équipe di scienziati cinesi, ai quali sarebbe sfuggito di mano o che addirittura lo avrebbero deliberatamente diffuso nel proprio Paese per poi innescare una pandemia a livello globale. In che modo e a quale scopo sarebbe oggettivamente difficile da capire, specie alla luce delle gravi perdite umane ed economiche che la Cina, per prima, ha subito da questa situazione. Senza considerare che, seguendo questa teoria, gli scienziati cinesi avrebbero impiegato più di un mese per identificare e sequenziare il genoma di un virus che già conoscevano da cinque anni (!).

Scienziati di tutto il mondo, chiaramente, hanno già da tempo smentito questa tesi, a cominciare dall'autorevolissima rivista scientifica britannica Nature, che lo scorso 17 marzo ha pubblicato un accurato studio congiunto in lingua inglese dal titolo The proximal origin of SARS-CoV-2, firmato da Kristian G. Andersen (USA), Andrew Rambaut (UK), W. Ian Lipkin (USA), Edward C. Holmes (Australia) e Robert F. Garry (USA), in cui viene spiegato che «i dati genetici mostrano inconfutabilmente che il SARS-CoV-2 [cioè il virus di Covid-19, ndt] non è derivato da alcuna struttura virale usata in precedenza». Al contrario, gli esperti propongono «due scenari che possono plausibilmente spiegare l'origine di SARS-CoV-2: (i) selezione naturale in un animale ospite prima del trasferimento zoonotico; e (ii) selezione naturale nell'uomo a seguito del trasferimento zoonotico».

L'unico dubbio, quindi, riguarda la possibilità che il virus sia transitato dai pipistrelli ad un'altra specie (detta "ospite") prima di arrivare all'uomo. Per questo si è ipotizzato, in Cina come nel resto del mondo, che a svolgere questo ruolo di "intermediario" possa essere stato il pangolino. Alexandre Hassanin, docente presso l'Università della Sorbona di Parigi, in un suo articolo pubblicato lo scorso 18 marzo sul sito The Conversation e rilanciato il 20 marzo dal Forum Economico Mondiale, sostiene che «il coronavirus isolato dal pangolino è simile al 99% in una specifica regione della proteina S, che corrisponde ai 74 amminoacidi coinvolti nel dominio di legame del recettore ACE (enzima di conversione dell'angiotensina 2), ovvero quelli che consentono al virus di penetrare le cellule umane e di infettarle».

Insomma, dopo aver studiato a lungo l'agente patogeno che ha scatenato l'epidemia di Covid-19, prima attraverso i dati provenienti dalla Cina e poi sulla base di quelli, purtroppo, ormai a disposizione di quasi tutti i Paesi del mondo, la comunità scientifica globale, da Occidente ad Oriente, smentisce seccamente qualsiasi ipotesi che il virus possa essere frutto di una manipolazione di laboratorio. Tuttavia, l'intento di certe catene di disinformazione è chiaramente di tipo psicologico: lanciare insinuazioni da gettare in pasto ad un pubblico tutt'altro che esperto in materia, in modo da seminare terrore ed indurlo a trasformare la propria paura per un "nemico invisibile" in rabbia contro un nemico visibile, in questo caso la Cina. Operazione, per altro, molto facile in un periodo in cui il fortissimo stress nervoso dovuto alla restrizione della libertà di movimento accresce negli italiani angoscia, incertezza e, nei casi peggiori, rassegnazione.

Poco importa inoltre che i cosiddetti spillover, cioè i salti dei virus da una specie all'altra, avvengano da millenni colpendo ripetutamente l'uomo che, sin dalla sua stanzializzazione preistorica, ha convissuto con numerosi animali, divenuti da cortile o destinati alla consumazione. Nel 2009, l'ultima grande pandemia che mise il mondo in grande difficoltà, senza tuttavia colpire in modo così improvviso e forte l'Europa, fu quella causata dal patogeno H1N1. L'origine del salto di specie fu individuata all'interno di allevamenti suini localizzati tra Stati Uniti e Messico. Nessuno, logicamente, si sognò di definire quello un virus "americano" o ancor meno di chiedere un risarcimento ai governi dei due Paesi per fantomatiche "responsabilità oggettive o soggettive".

Come sottolineato dal celebre epidemiologo e pneumologo cinese Zhong Nanshan, colui che per primo scoprì la SARS nel 2003, ancora non esiste nemmeno l'evidenza scientifica che il virus si sia originato a Wuhan, nell'oramai famigerato mercato del pesce del distretto wuhanese di Janghan. Nel già citato articolo di Alexandre Hassanin viene riportato che «nel Dicembre 2019, 27 dei primi 41 pazienti ospedalizzati (pari al 66%) avevano frequentato il mercato nel cuore della città di Wuhan, nella provincia dello Hubei ma, secondo uno studio condotto presso l'Ospedale di Wuhan [ripreso e compilato dalla rivista britannica The Lancet, ndt], il primo caso identificato in assoluto non era mai stato in quel mercato». «Al contrario - prosegue Hassanin - una datazione molecolare stimata sulla base delle sequenze genomiche del SARS-CoV-2 suggerisce che l'origine del virus sia riferibile al mese di Novembre».

Come solitamente accade dopo aver compiuto un salto di specie, il nuovo patogeno inizialmente - detto con parole improprie - deve "adattarsi" nel suo nuovo "habitat" agendo in modo "lento", per poi accelerare nel giro di qualche settimana e sfruttare "a pieno regime" il suo potenziale epidemico, analogamente a quanto avvenuto in Italia. Secondo il Prof. Massimo Galli, a capo del Dipartimento di Malattie Infettive del Sacco di Milano, infatti, il SARS-CoV-2 potrebbe essere "arrivato" nel nostro Paese intorno al 24 gennaio scorso, cominciando a diffondersi quasi "in silenzio" per poi esplodere quattro settimane più tardi nelle zone divenute focolaio (Codogno-Casalpusterlengo, Vo' Euganeo e la Val Seriana).

Come riporta Hassanin, il genoma del SARS-CoV-2 è stato «rapidamente sequenziato dai ricercatori cinesi», ovvero dieci giorni dopo aver lanciato l'allarme all'OMS, cioè il 31 dicembre scorso, quando a Wuhan c'erano ancora soltanto 27 ricoveri per quello che sarebbe poi stato identificato come Covid-19 (ma probabilmente molti più positivi asintomatici o paucisintomatici inconsapevoli del loro stato di salute). Nel giro di tre settimane, la situazione nella metropoli cinese è esplosa costringendo il governo centrale ad intervenire il 24 gennaio, serrando di fatto un'area di circa 60 milioni di persone ed inviando nello Hubei squadre di medici e militari specializzati per cercare di circoscrivere il contagio.

Per quanto atterriti e spaventati da questa situazione inedita per l'Europa contemporanea, le epidemie e pandemie degli ultimi decenni dimostrano che, al di là del luogo in cui si originano, è impossibile racchiudere geograficamente un virus che viaggia potenzialmente in ogni direzione. Navi, aerei, autobus, treni, taxi: ovunque vi sia uno spostamento umano c'è la possibilità che una persona ne infetti un'altra, in questo caso addirittura 2,5. Per lo meno è questo l'R0 calcolato dagli esperti, cioè l'indice di contagiosità del SARS-CoV-2. È però possibile (e necessario) rallentarlo e contenerlo fino all'esaurimento della curva di contagio.

L'unico modo per superare questa fase è rimboccarci le maniche, potenziare il sistema sanitario pubblico, restare uniti, aiutare i più fragili ed accettare qualsiasi aiuto dall'estero: americano, cinese, russo, tedesco, indiano o norvegese. Tutto il resto poco importa.

 

Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia

 

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