Non informare la moglie costa caro. Medici condannati a risarcire l’impotenza del marito

legge copy(ASI) Roma -  La Terza Sezione della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza 26728 del 23 ottobre 2019, torna a occuparsi di mancato consenso informato e questa volta, sancisce un principio di estrema tutela anche per i familiari della parte danneggiata dichiarando che anche la moglie ha diritto al risarcimento non patrimoniale, se il marito rimane impotente in seguito a intervento chirurgico, pur nell’eventualità che non vi siano errori da parte dei sanitari.

Vediamo in dettaglio di cosa si tratta. Un paziente si sottoponeva a falloplastica addittiva, ma non veniva correttamente informato dai sanitari che, tra le eventuali complicanze dell’intervento, a prescindere da responsabilità degli operatori, vi era la possibilità di rimanere impotente. I sanitari, in pratica, omettevano di avvertire lo sventurato signore, che l’impotenza faceva parte dei rischi normali dell’intervento, non connessa a errore dei chirurghi.

Il Tribunale di Pisa, presso il quale si era rivolta anche la moglie del soggetto operato, aveva rigettato, in primo grado, la richiesta di risarcimento, nella convinzione che il mancato consenso riguardasse soltanto il marito della signora e non anche ella.

La Corte d’Appello aveva mancato di esprimersi su questo punto preciso, lasciando i ricorrenti senza soddisfazione.

La Corte di Cassazione non ha condiviso né il giudice di prime cure, né, tantomeno, la Corte d’Appello, che aveva addirittura omesso di pronunciarsi.

Gli Ermellini sono convinti che non informare correttamente il marito, abbia provocato un danno “immediato e riflesso” al coniuge, perché verificatosi nell’àmbito della sfera sessuale, che risulta essere non solo una componente essenziale del rapporto tra coniugi, ma anche regolato dalla legge, a partire dall’art. 143, 2° comma fino ad arrivare alla previsione contenuta nella norma costituzionale all’art. 29, che riconosce la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.

La sentenza in questione presenta profili di certa novità, in quanto, prendendo spunto da precedenti pronunce con diversa fattispecie, arriva a concludere che anche chi non si sottopone ad intervento può essere danneggiato dal mancato consenso informato.

Questo perché, se il paziente avesse saputo, avrebbe potuto scegliere se sottoporsi o meno all’operazione, avrebbe potuto condividere la sua scelta con il coniuge, sia per rifiutare il trattamento sia per poterlo affrontare con piena consapevolezza e, magari, pronti psicologicamente anche al peggio.

La signora, infatti, ai sensi dell’art. 2 della Carta Costituzionale, ha diritto di vivere appieno nelle formazioni sociali, tra cui comprendere certamente il matrimonio e la famiglia e, informare malamente il marito, significa rischiare di compromettere la salute di tutti i componenti.

La Supremo Corte ha inaugurato certamente un altro filone di tutela per la coppia in sé considerata, dando estremo valore alle scelte condivise, all’importanza della relazione sessuale, al riflesso che ognuno subisce per i fatti che colpiscono i singoli appartenenti.

Potremmo affermare che oggi la coppia ha trovato un riconoscimento giuridico peculiare, in un aspetto fondante della sua formazione e della sua esistenza.

Francesco Maiorca – Agenzia Stampa Italia

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