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Intervista a Claudio Moffa
 (ASI) Claudio Moffa è avvocato e Professore ordinario di Storia e Diritto dei Paesi dell’Africa e dell’Asia presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Teramo. Ringraziamo il valente Professore nonchè qualificato esperto di politica internazioonale per averci rilasciato un'intervista in esclusiva per Agenzia Stampa Italia.

1) Enrico Mattei difese e potenziò il settore statale dell’economia. Con lui abbiamo vissuto l'ultima stagione di un capitalismo di Stato finalizzato anche alla crescita del benessere generale del popolo italiano.  Periodo in cui, negli anni sessanta, l'Italia si affermava come potenza economica mondiale. Dopo di lui, in sfregio agli articoli 41 e 43 della costituzione, si sono svendute ai privati le industrie strategiche del paese, l'Italia ha perso il suo ruolo di potenza industriale mondiale e gli italiani stanno vivendo il maggiore periodo di recessione economica dal dopo guerra ad oggi. Chi e perché ha permesso che l'Italia perdesse il suo patrimonio strategico statale, la sovranità e i primati positivi economici raggiunti?

La responsabilità della svolta, disastrosa per il nostro paese e favorita dall’epocale fine del bipolarismo, è tutta dei Poteri Forti che hanno rovesciato e distrutto i partiti della prima Repubblica, agli inizi degli anni Novanta. Per comodità di sintesi si può parlare di “sinistra finanziaria”: c’è il settore giudiziario protagonista di Tangentopoli, che si accanisce contro i partiti nati dal CLN senza distinguere tra corruzione privata e finanziamento illecito dei partiti, e distinguendo invece tra i partiti di area governativa, PSI e DC innanzitutto, e il PCI, non sottoposto ad analoghe inchieste anche perché in autonoma trasformazione genetica, sotto la direzione di Occhetto, verso l’acquiescenza a quegli stessi Poteri Forti; c’è la catena mediatica De Benedetti che guida il tutto, condannando ancor prima dei Tribunali i politici inquisiti fino a distruggerne la carriera: vedi il caso di Andreotti. C’è certa leadership del vecchio PSI - vedi Amato e Del Turco - disponibile all’operazione in corso, e che avalla con colpi di mano denunciati anche dalla grande stampa, le privatizzazioni a prezzo di svendita dei capolavori dell’industria di stato italiana, ENI compresa. C’è la grande massoneria che riempie i vuoti di potere lasciati dai Partiti di massa democratici, vedi Ciampi. E ci sono i poteri finanziari e bancari rappresentati dall’ormai stranoto rendez-vous sul panfilo Britannia della Regina Elisabetta, tra cui Draghi. Il tutto in un clima costellato da attentati (le bombe del 1993) e da morti oscure in carcere o per “suicidio”, come Gardini e Cagliari. Di questa degenerazione, la scesa in campo di Berlusconi ha rappresentato paradossalmente un tentativo di blocco all’epoca sostanzialmente riuscito ma oggi anch’esso – sotto il peso di una situazione internazionale peggiorata – in aperta crisi.


2) Che cosa è emerso dal convegno: “ Stati non allineati e sionismo” che si è tenuto a Reggio Emilia il 10 giugno 2011?

Nel convegno si è parlato di molte cose, secondo titolo. Ma credo che sinteticamente il positivo bilancio possa essere riassunto in due dati: primo, si è trattato di una iniziativa coscientemente trasversale che ha raccolto al tavolo degli oratori esperienze personali diverse, da Fernando Rossi al cattolico Giacobazzi, da Bonilauri del gruppo Eurasia al sottoscritto e – sia pure come moderatore – a Marco Costa, un dirigente locale di Rifondazione comunista. Quando sono intervenuto sostenendo che è ora di smetterla con lo scontro tra antifascisti e fascisti, e che bisogna confrontarsi di volta in volta sui contenuti, il peraltro numeroso pubblico ha applaudito in modo convinto. Il secondo aspetto positivo è che sono finiti nel nulla i tentativi di boicottaggio e i toni a volte un po’ minacciosi che avevano preceduto il piccolo seminario: si è potuto parlare liberamente di sionismo, e alcuni durante il dibattito hanno introdotto persino la questione del cosiddetto Olocausto. Questo fatto è estremamente importante, la svolta è stata significativa, Per anni, come denunciato dall’Associazione 21 e 33, lo schema di (non) funzionamento di iniziative di destra o di sinistra non politically correct era stato più o meno il seguente: X annunciava lo svolgimento di un dibattito, Y protestava vibratamente minacciando fuoco e fiamme contro l’”oltraggiosa” iniziativa, e le forze dell’ordine anziché difendere la libertà di manifestazione e espressione secondo Costituzione, intervenivano per impedire il dibattito. Uno schema che alcune volte ha colpito anche giovani di sinistra, come nel caso di un convegno “antifoibe” nelle Marche, contro di cui si era levata la voce di un dirigente locale di AN. Un'assurdità: a Reggio invece tutto è andato bene, e questo anche per merito delle forze dell’ordine e della Digos.


3) Le rivolte arabe, la crisi del modello ultra-capitalista, la recessione economica mondiale quali possibili scenari prefigurano?

 Siamo in una fase di transizione difficile sotto tutti i punti di vista. Se le rivolte arabe non portano tutte lo stesso segno, e la fine di Mubarak è in sé positiva – tanto è vero che Hamas ora è “riconosciuta” da Abu Mazen e la pur contraddittoria ricomposizione costituisce una crepa nel muro occidentale che pretende di distinguere tra un ANP “buona” e una Hamas “terrorista” - non c’è dubbio che si è di fronte ad una regressione del quadro internazionale rispetto allo scorso anno. Alla fine del 2010, era emersa una rete di rapporti internazionali interessantissima, che ruotava in parte attorno all’Iran di Ahamdinejad ma non si riduceva solo a questo paese e alla sua stupefacente trama di relazioni commerciali ed economiche con Cina, Russia, le ex repubbliche sovietiche dell’Eurasia centrale, il Venezuela e altri paesi latinoamericani, i BRIC e così via. Di importanza fondamentale da questo punto di vista era stata la rottura tra Turchia e Israele, non solo per l’assalto alla nave turca durante la scorsa edizione della flottilla, ma anche per l’islamizzazione moderata del paese sotto la guida di Erdogan, e la fine dell’egemonia kemalista sulle strutture dei poteri militari e giudiziari di Ankara. Il kemalismo aveva le stesse origini storiche del sionismo, e di questo è sempre stato un valido bastione in Medio Oriente. Le svolte diplomatiche e commerciali poi apparivano come il terminale di un processo di indebolimento di Israele a livello internazionale a partire almeno dal 2006: persa la guerra del Libano, non riuscito l’annientamento di Hamas a Gaza nel 2008, falliti i tentativi di trascinare prima Bush e poi Obama in una nuova guerra mediorientale, contro l’Iran; nel 2009, la sconfitta per mano della Russia di Putin anche della Georgia di Sakhasvili con i suoi ministri con passaporto israeliano e i suoi potenziali missili puntati contro l’Iran; ancora nel 2009, il fallimento della rivolta postelettorale interna pompata da Twitter e da Google, e l’attacco durissimo di Gheddafi contro il ruolo di provocazione di Israele in Africa, e contro la Corte penale internazionale che aveva emesso un mandato di cattura internazionale contro il presidente del Bashir, e in Iran. Nelle diversità cresceva la resistenza e la reattività arabo-islamica all’arroganza del sionismo …


3 bis) Ma perché e in cosa questo processo si è interrotto?

Oggi questa tendenza appare in difficoltà: la guerra di Libia ne è il segnale più evidente – pare anche, tra le altre cose, una sorta di “vendetta” sionista contro l’impertinenza e il potere finanziario del regime gheddafista. Il tentativo di destabilizzazione della Siria è un altro sintomo. Peres in visita in Svizzera ha dichiarato il suo sostegno alla “primavera araba”, e dunque il disegno del sionismo è evidente: i margini di manovra dello Stato ebraico si erano ridotti da una sconfitta all’altra grazie anche al muro di gomma occidentale sull’Iran - tanto mal digerito da Tel Aviv, da fargli minacciare pubblicamente il lancio di missili contro l’Europa in caso di acutizzazione dello scontro con Teheran - ed ecco che si procede alla destabilizzazione del mondo arabo e islamico dall’interno, giocando sulle sue contraddizioni e facendo sponda sul principale mass media del mondo arabo, Al Jazeera. Insomma, è come se fosse stato rivitalizzato e rieditato in forma nuova il “tradimento” pro sionista degli anni Settanta, dopo la morte di Nasser: in una fase storica nuova, sta emergendo un trend pro sionista che fa sponda soprattutto sulla polarizzazione tra le frange più integraliste e autocentrate del mondo islamico e le nuove o vecchie tendenze laicheggianti. Una sorta di nemesi della crisi del kemalismo in Turchia: lì la ventata islamico-moderata ha colpito a fondo un alleato laico di Israele. Sull’altro fronte, con i ribelli bengasini, con l’ondata antialauita e integralista in Siria, con la stessa crisi apertasi in Iran tra Ahmadinejad e Khamenei – il blocco religioso di quest’ultimo si oppone alla “laicizzazione” lenta del regime guidato dal modernizzatore Ahamdinejad, e usa persino le accuse di satanismo contro un ministro del presidente iraniano – l’islamismo assume i contorni di uno strumento sionista e dell’Occidente oltranzista contro la tendenza liberatoria a cui accennavo prima. Mi viene in mente quel discorso del ministro degli esteri israeliano che udii nel Qatar nel 2009, al Forum di Doha: la Livny disse apertamente alla grande platea araba e islamica presente che Israele e “i Paesi Arabi” avevano un problema e un nemico comune, l’Iran. Oggi sono Al Jazeera ed e il Qatar “illuminato” alla testa degli aspetti più retrivi della “primavera araba”. A Doha, pensai che non avrebbe avuto effetti gravi il tentativo di aggancio sionista a quella platea, ma evidentemente i margini di manovra sarebbero diventati più ampi di quello che appariva allora.


4) Dunque una inversione di tendenza pericolosa. Come si innesta in questo processo la situazione economica mondiale?

L’inversione di tendenza è sicuramente pericolosa, basta vedere quello che sta succedendo in Libia, una guerra che segna la crisi verticale del diritto internazionale: una guerra di aggressione gestita “per conto dell’ONU” da una organizzazione militare di parte, e guidata nei fatti dai due paesi più pro sionisti del pianeta e dell’Occidente: la Francia di Sarkozy e l’Inghilterra di Cameron. Ma direi che la situazione è ancora non definita, continua un braccio di ferro che non si è concluso, come dimostrano gli aspetti positivi di alcune “primavere arabe”, l’annuncio del ritiro dall’Afghanistan da parte di Obama dopo il blitz anti Bin Laden, il ruolo defilato di Washington nella guerra di Libia, e la resistenza e reattività di massa non solo di Tripoli ma anche di Damasco. Anche se dovesse precipitare la situazione è indubbio che il gheddafismo libico abbia una capacità di tenuta forte e un consenso di massa forse non solo nella regione occidentale del paese. E anche in Siria ci sono state manifestazioni oceaniche a favore di Assad, di cui ovviamente i mass media occidentale non parlano a dovere: di più, Assad è stato abile a riproporre con le manifestazioni sul confine del Golan occupato, la questione chiave, il cancro vero delle tante crisi mediorientali. L’arroganza senza fine dello Stato ebraico, la sua pretesa di invocare inesistenti diritti territoriali sulla “Terra promessa” in base a un razzista “diritto biblico”: tutte le guerre e crisi del Medio Oriente hanno origine da questo cancro, quello stesso che ha spinto Sharon alla provocazione sulla spianata delle moschee, e che induce alla follia dello scavo di un tunnel sotto la moschea di Omar alla ricerca dei resti del Tempio di Salomone. Questa dimensione paurosa, pazzesca, irrazionale della questione mediorientale, che affonda le sue radici del disprezzo talmudico dei diritti storici e “umani” dei gojim, è spesso ignorata in Occidente. Non solo da parte di capi di stato e governanti, ma anche da parte di consistenti frange del movimento pro palestinese, che credono che il sionismo si riduca alla mera occupazione coloniale della Palestina, mentre è un fenomeno totale e totalitario che si insinua in tutto il pianeta, ovunque arrivi il potere finanziario e mediatico delle lobby pro israeliane.


4) Passiamo dunque agli aspetti economici della situazione mondiale: il declino degli Usa, l'emergere dell'economia cinese, la crescita di paesi emergenti come India, Brasile e Russia come cambiano lo scenario unipolare?

Cina e paesi emergenti rientrano nel quadro sopra delineato, di una dimensione multipolare non ancora sconfitta ed anzi continuativa da un punto di vista strutturale e economico. Ma qui si innesta anche la questione della conflittualità tra la sfera finanziaria dell’economia mondiale, passata dal 10 a 1 rispetto a quella capitalistico-produttiva nel 2000, all’attuale 20 a 1 e che secondo alcuni starebbe anche dietro le primavere arabe, grazie alla capacità di controllo dei Rothschild sui prezzi dei beni alimentari e dunque al ruolo provocatorio di questa peculiare ma cruciale e dominante sfera economica, nei processi di destabilizzazione nel mondo arabo. Anche la guerra di Libia, un paese che non ha alle spalle un retroterra economico difficile come altri paesi arabi a reddito procapite inferiore, rientra in questo fenomeno: il sequestro dei beni “di Gheddafi” è chiaramente, come ha ricordato il 16 giugno scorso l’economista Bruno Amoroso nella conferenza su” La trappola libica” organizzata dallo IEMASVO a Santo Stefano del Sessanio, un furto “legalizzato” delle capacità finanziarie della Jamahirya. E’ un momento della guerra economica fra poteri bancari privatistici con tassi di interesse alti secondo tradizione usuraria occidentale, e sistemi bancari ancora statalizzati e, nel caso del mondo islamico, capaci di tassi più bassi, “umani”, grazie alla antica tradizione musulmana formalizzata nei versetti coranici contro l’usura. Ed un attacco a un paese chiave che - pur con le sue storture interne e il suo regime autoritario - si scontra con i Poteri forti finanziari che pretendono di dettar legge all’intero pianeta.

9) A proposito di Alta Finanza, Julius Malema, giovane leader del principale partito del Congresso nazionale del Sudafrica, ha ufficialmente proposto di avviare un vasto piano di nazionalizzazione del settore bancario locale. Considera tale ipotesi una valida soluzione economica contro la speculazione finanziaria e il primo passo per riacquistare le risorse del paese e la sovranità nazionale?

L’episodio che lei cita, rientra perfettamente nel quadro del braccio di ferro che ancora è in corso, dopo lo scoppio delle “primavere” arabe. E’ un segnale positivo, tanto più che riguarda un paese chiave dello scenario internazionale.


6) Obama, recentemente, ha chiesto a Benjamin Netanyahu un ritorno d'Israele ai confini del 1967. Per tutta risposta ha ricevuto sia la netta chiusura a questa ipotesi da parte del leader israeliano e sia la secca replica del Congresso ebraico mondiale che esprimeva profonda preoccupazione; infatti, in un comunicato del World Jewish Congress diffuso a Bruxelles, si leggeva: “Perché quel confine è indifendibile. Lascerebbe Israele molto più vulnerabile di fronte agli attacchi di un futuro Stato palestinese in Cisgiordania''. Secondo lei, il presidente Obama abbandonerà il suo piano di pace o proseguirà nel suo intento che, fra l'altro, godrebbe dello strategico appoggio pure di Onu, Russia ed Unione Europea? In caso negativo, quali sono i motivi che impediscono la pacifica convivenza fra i due stati e la nascita di uno stato indipendente palestinese?

Il no di Nethanyau non è certo una novità, è l’ultimo di una lunga serie, e’ l’ennesima prova non solo del carattere extraumano e razzista della politica estera israeliana – “è il nostro Dio che ci ha dato la terra promessa, e delle vostre pressioni e del vostro Diritto internazionale, non ci importa nulla” – ma è anche l’ennesima smentita del ritornello ridicolo di un Israele “pedina” dell’imperialismo occidentale o americano in Medio Oriente. Questa idiozia ancora circola: ma la cosiddetta “pedina”, grazie alle sue lobby e alle sue interferenze e al suo controllo della politica estera americana, grazie al suo immenso retroterra finanziario garantito dal sistema bancario internazionale sionista, è stato ed è capace di dire no oggi a Obama, ieri a Bush, l’altro ieri a Clinton – gennaio 1998, l’incontro più burrascoso tra un presidente americano e un premier israeliano, scrisse Abraham Joushua: Clinton osò usare toni durissimi, e un paio di settimane dopo scoppiò il caso Lewinsky - e persino alla mitica Commissione Trilaterale, come riferì nel 1997 Arrigo Levi sul Corriere della sera. Altro che pedina, e altro che Obama il superpotente che decide delle sorti del mondo: Obama è come Berlusconi, è un leader che ha cercato e cerca di smarcarsi dallo strapotere mediatico finanziario che strangola e svilisce la democrazia americana, ma è continuamente sotto ricatto. Alla fine un potente debole, le cui possibilità di successo dipendono da una parte dalla sua tenacia e combattività,e dall’altra dal peso del sistema lobbistico negli USA e non solo negli USA. Voglio dire che qui emerge la questione del “mondialismo” che su Rinascita di Gaudenzi, Barozzi ha visto correttamente dietro il flop tragico delle astensioni di Cina e Russia nel Consiglio di sicurezza che ha dato il via il 19 marzo scorso, con l’alibi della “no fly zone”, alla guerra di aggressione alla Libia. Giusto rilievo, ma bisogna poi vedere in cosa consiste concretamente il “mondialismo”: della Cina confesso di non capire bene, ma è evidente che il “mondialismo” in Russia ha un nome e cognome, Roy Medvedev, il rappresentante della locale lobby prosionista non sconfitta completamente dalla guerra di Putin ai magnati russo-israeliani dell’era Eltsin. Così come, lo scontro emerso più recentemente tra Khamenei e Ahmadinejad spiega probabilmente il silenzio e le ambiguità apparentemente autolesionisti di Teheran sul conflitto libico, nel quale Gheddafi si scontra esattamente con gli stessi nemici di Teheran: Carlo Remeny mi ha ricordato tempo fa che nel 2009 Ahmadinejad era in procinto di visitare la Libia per incontrare Gheddafi, e che non poté partire per una ribellione interna dei conservatori, che tra le altre cose imputavano e imputano a Gheddafi – fatto non dimostrato – l’uccisione dell’imam Musa al Sadr nel lontano 1978. Insomma, la questione del “mondialismo” è la questione delle lobbies pro israeliane e del loro grande potere finanziario, a livello mondiale e nei singoli paesi. 

 
7) Lei è favorevole al riconoscimento da parte dello stato italiano della Palestina?

Certamente sì, se i palestinesi lo chiedono. Anche se sono sensibile da anni alla tesi di un unico stato arabo-ebraico, proprio per risolvere alla radice la questione della separatezza razzista e teocratica dell’ebraismo israeliano.          

                                                                                                                                 

8) Con la partecipazione militare dell'Italia nei bombardamenti Nato alla Libia non solo si viene meno agli impegni vincolanti stabiliti dal trattato di Bengasi, ma infrange anche l' Articolo 11 della Costituzione. Inevitabilmente il giudizio degli stranieri è che l'Italia conferma di essere  un paese ad alleanze variabili. Quale è la sua opinione in proposito?

Se permette, rinvio a un mio articolo del 30 aprile scorso (claudiomoffa.it) in cui ipotizzo che le alleanze italiane sono sicuramente variabili, ma non sono riconducibili sicuramente ad un cambio di campo vero. In breve, non so tuttora dire quanto il governo italiano, peraltro con personalità diverse al suo interno, abbia veramente sposato la linea oltranzista anglo-francese e quanto invece non cerchi di contrastarla ma “dall’interno”, attraverso una scelta che comunque alla fine è sbagliata, quella della partecipazione ai bombardamenti NATO. Sbagliata perché l’Italia dovrebbe a questo punto, in accordo con il trattato a suo tempo sottoscritto con Gheddafi, sviluppare una forte iniziativa diplomatica verso l’Africa, la Turchia e tutti i paesi che potrebbero spezzare l’isolamento in cui si trova oggi il regime di Tripoli.

 

10) Lei si sta battendo con determinazione per la libertà di espressione, di stampa e di insegnamento e per tutti i revisionismi. Del resto, secondo lei il revisionismo è inseparabile dalla ricerca storica ed è un diritto inalienabile per tutti i cittadini italiani, garantito dagli articoli 21 e 33 della Costituzione. Come mai il revisionismo, che un metodo scientifico applicabile a tutti i periodi storici, viene osteggiato e considerato un principio scorretto solo quando ha per oggetto il periodo fra le due guerre? 

In realtà penso che le difficoltà non riguardino solo il periodo tra le due guerre, vedi il caso Toaff sugli omicidi rituali in epoca rinascimentale. E’ molta storia dell’ebraismo, antica, moderna e contemporanea che tende ad essere occultata, censurata o autocensurata per paura di ritorsioni e di vendette. La questione dell’Olocausto è da questo punto di vista solo un affluente sia pure cruciale e determinante per le sue caratteristiche religiose, di un fiume in piena. Un discorso lungo, che meriterebbe un intervento a parte.

 


Biografia del Proffessore Claudio Moffa

 
Claudio Moffa è avvocato e professore ordinario di Storia e Diritto dei Paesi dell’Africa e dell’Asia presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Teramo. Ha cominciato la sua attività professionale come giornalista lavorando nella redazione di Lotta continua e di Paese sera, fino ad acquisire nel 1985 il titolo di giornalista professionista. Deluso per la censura diffusa, negli anni della rivoluzione afghana, su tutto quello che veniva rozzamente definito come "filosovietismo", nella seconda metà degli anni Ottanta optava per la carriera universitaria continuando però a mantenere rapporti di collaborazione con numerose testate giornalistiche (quotidiani: La Stampa, Corriere della Sera, Gr RAI, Radio Raitre, Avvenire, L’Eco di Bergamo, La Sicilia , L’Ora, Il Centro, etc.: e fra i periodici Panorama, L’Espresso, PM). Come ricercatore prima e docente poi, ha scritto una decina di libri – fra cui L’Afrique à la peripherie de l’histoire, Premio Cultura Presidenza del Consiglio italiana, Roma 1993 e Parigi 1994) - e ha collaborato con numerosi saggi a importanti riviste specialistiche italiane e straniere (Politique Africaine, Le monde diplomatique, Limes, Studi Piacentini, Politica Internazionale, Africa, Africana, Estudia Africana, Rivista di Storia contemporanea, Giano, Marxismo oggi, Euntes Docete). Negli anni Novanta si è occupato anche di immigrazione dirigendo un progetto internazionale finanziato dall’Unione Europea (ODEG) e partecipando al Comitato scientifico del progetto internazionale Intemigra. Spinto da esperienze personali ad avvicinarsi al misterioso e "complesso" mondo della "giustizia" italiana, ha maturato negli anni una sempre più approfondita conoscenza delle tematiche giuridiche insegnando, come avvocato e studioso di diritto, presso la SIOI di Roma (Società Italiana Organizzazione Internazionale); collaborando alla rivista dell'Ordine degli Avvocati di Roma, e pubblicando numerosi saggi sulla questione nazionale nell’epoca postbipolare con particolare riferimento allo stravolgimento del principio di autodecisione dei popoli dagli anni Novanta ad oggi. Fra i suoi lavori, un libro sul Tribunale penale internazionale per il Ruanda (Vae Victis: la giustizia-vendetta del Tribunale penale internazionale per il Ruanda) di prossima pubblicazione.Da tre anni dirige un master interdisciplinare (Informazione, Diritto, Storia, Culture, Economia) in Vicino e Medio Oriente, intitolato a Enrico Mattei (di cui è un grande ammiratore), dotato di una rosa di docenti autorevolissima (vedi il sito www.mastermatteimedioriente.it) e inaugurato due volte dal presidente sen. Giulio Andreotti: un corso di studi che ha avuto come ospiti docenti, esperti e giornalisti di chiara fama. Gestisce anche un sito di diritto, "21&33" ed è nettamente a favore dell'abolizione di tutti i reati di opinione.

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