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 Guerra in Libia. Intervista a Marco Rizzo, segretario di Comunisti Sinistra Popolare

(ASI) A Marco Rizzo, segretario nazionale dei Comunisti Sinistra Popolare, la schiettezza non fa difetto. Se gli chiediamo un parere sulla questione libica non le manda a dire, esprimendo il suo dissenso nei confronti dell’intervento militare e di “una certa comunicazione di massa che si presta a queste menzogne di morte”.

 Il 25 febbraio scorso, qualche settimana prima che la Risoluzione Onu 1973 desse il via libera alla campagna Odyssey Dawn, durante una trasmissione televisiva Rizzo presagiva già il soffio dei venti di guerra occidentali sulla Libia, intravedendo nei disordini che imperversavano nel paese nordafricano “una classica dinamica di escalation, già vista negli anni passati nella ex Jugoslavia e nell’Iraq”. Lo abbiamo raggiunto a Roma, dove è presente per partecipare alla mobilitazione nazionale contro la guerra.

Segretario, per via di quella sua premonizione circa gli eventi in Libia è stato definito una “Cassandra”. Può approfondire gli elementi che l’hanno portata ad esprimere questa previsione?

La lettura di ciò che sta avvenendo in Libia non credo possa esulare da un’attenta analisi di ciò che sta accadendo in Europa e nel mondo; ed oggi nel mondo c’è una crisi strutturale del capitalismo che ha, certamente, come frutti velenosi i temi della guerra. C’è un filo nero che lega la guerra in corso in Nord Africa con il tema dell’utilizzo delle risorse: la crisi del sistema capitalistico. Si pensi al dibattito sul nucleare e sull’acqua. Infatti, la mappa delle zone dove ci sono le guerre, se sovrapposta, combacerebbe perfettamente alla mappa delle risorse principali del pianeta: penso all’acqua, al gas, al petrolio. Non bisogna essere dei grandi esperti, ma penso sia dovere di un dirigente politico prefigurare da quest’analisi quello che è il futuro. Quindi, quello che stava accadendo in Nord Africa era abbastanza chiaro agli occhi di un comune osservatore. Senza falsa modestia, ritengo di essere una persona normale che si applica nell’analisi di quello che accade. In Nord Africa abbiamo assistito inizialmente a delle rivolte popolari dovute principalmente all’aumento del prezzo del grano e del foraggio a causa della speculazione capitalistica internazionale che partiva da quanto avvenuto in Russia l’estate scorsa, ossia il blocco delle esportazioni di grano - per via di un vastissimo incendio - che ha provocato la cancellazione dell’1% del totale di grano prodotto nel pianeta. Questa perdita su scala mondiale ha avuto come conseguenza la speculazione dei prezzi del 40- 60%. Questa è l’origine principale delle rivolte popolari che ci sono state in Nord Africa. Quello che sta avvenendo in Libia è un po’ diverso: si tratta di una guerra per il petrolio, una guerra imperialistica. In Libia si sta manifestando l’imperialismo europeo con la copertura di quello americano, sebbene tra i due vi siano delle differenze. Lo vediamo anche nella lotta tra poli imperialisti, tra America ed Europa, ma anche tra Francia e Gran Bretagna e tra Germania ed Italia. Si sta dimostrando che l’Europa che oggi abbiamo è nient’altro che un conflitto interimperialistico tra alcuni Stati dell’Unione. Dunque, non è una buona Europa, quella al servizio dei popoli, che invece noi vorremmo auspicare.

Molti hanno appoggiato l’intervento, seppur a malincuore, definendolo inevitabile al fine di impedire a Gheddafi di spargere altro sangue per soffocare una sana rivolta popolare. Lei non crede al sincero intervento umanitario?

Ciò che stava avvenendo in Libia non era una rivolta popolare ma una guerra civile, cosa che appare chiara anche confrontando la situazione sociale libica con quella di altri paesi nordafricani: in Egitto e in Tunisia il reddito pro capite di un contadino è di 2.000$ l’anno, in Libia è invece superiore agli 11.000$ l’anno. E’ successo, per esempio, che una parte dell’apparato dello Stato di Gheddafi si è schierato contro di lui, non a caso due suoi ex ministri siano oggi parte del cosiddetto governo provvisorio di Bengasi. Quella che è in corso oggi è una guerra civile, per altro questi ribelli sono sospettosamente ben armati di lanciarazzi, di carri armati. Inoltre saremmo stupidi a non registrare la presenza di truppe speciali straniere (francesi ed inglesi) sul territorio libico già da prima dell’inizio dei disordini. Insomma, è chiaro che si tratta di due fazioni armate che si stanno combattendo. Qualcuno si chiede se noi stiamo allora con Gheddafi. No, noi non stiamo con il Gheddafi degli ultimi quindici anni, che si è offerto al capitalismo europeo pensando in questo modo di garantirsi una sopravvivenza e che, al contrario, ne ha ricavato frutti amari, essendo oggi attaccato militarmente dai capitalisti. Ribadisco dunque che non abbiamo alcuna intenzione di difendere l’ultimo Gheddafi, ma, allo stesso tempo, non possiamo non vedere che dalla parte dei ribelli cosiddetti ci sia una certa disponibilità a concedersi all’imperialismo europeo. Basti pensare, in questo senso, al risorgere in seno a queste fazioni di sentimenti filo-monarchici che richiamano i tempi precedenti alla rivoluzione libica di quarant’anni fa.

Ritiene che la comunicazione di massa abbia fornito un’informazione corretta circa la questione libica?

Assolutamente no. Assistiamo ad uno dei tanti esempi di disinformazione totale che il capitalismo mette in atto. Ne siamo abituati sin da tempi lontani, ma giusto per fare qualche esempio recente potremmo partire dal Golfo di Tonchino nel 1964, quando gli americani finsero di aver subito un attacco in modo da avere un pretesto per scatenare la guerra in Vietnam. Si ricordi poi la finta strage di Timisoara del 1989, quando la Securitate, da poco scopertasi nemica di Ceausescu, aveva estratto cadaveri dalle camere ardenti degli ospedali, li aveva sbattuti e fatti a pezzi in mezzo alla strada per aizzare le folle contro il presunto reo di questi eccidi Ceausescu e consentire il colpo di mano contro di lui organizzato dai suoi stessi apparati di sicurezza. Abbiamo scoperto solo anni dopo che non era vero, così come abbiamo scoperto solo anni dopo che le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein mostrate dal Segretario di Stato Americano Colin Powell davanti alla platea dell’Onu erano in realtà delle provette inventate dalla Cia che servivano per attaccare l’Iraq. Ma venendo alla Libia, potremmo citare le fotografie delle fosse comuni apparse sulle prime pagine di tutti i giornali, le quali altro non erano che foto fatte da un blogger americano un anno prima di un cimitero sulla spiaggia dinnanzi a Tripoli. Quindi, c’è una corresponsabilità menzognera da parte della stragrande maggioranza dei media per fornire una disinformazione che fa parte di un quadro di attacco dell’imperialismo europeo. Attacco che non è finalizzato né ad esportare la democrazia né a salvare i civili (civili che tra l’altro periscono adesso proprio a causa dei bombardamenti), bensì si tratta di uno schierarsi dalla parte di una delle due parti in conflitto di questa guerra civile per depredare la Libia delle sue risorse energetiche.

Come interpreta la poca risonanza che la stampa sta dedicando alle violazioni del diritto internazionale che, in questo caso, un alleato degli Stati occidentali, ossia Israele, continua ad esercitare con raid sulla Striscia di Gaza?

Fa parte della disinformazione, del fatto che i media adottino un criterio di due pesi e due misure. Basterebbe far riferimento al fatto che, nonostante le tantissime Risoluzioni dell’Onu non rispettate, a nessuno dei paesi occidentali sia mai passato in mente di andare a bombardare Israele. Nelle stesse ore in cui noi stiamo discutendo della Libia, l’Arabia Saudita invade il Bahrain, un piccolo Stato suo vicino, e nessuno ritiene di dover dire niente. La vicenda di Israele è quella più sintomatica ma questa idea dei due pesi e due misure è altrettanto palese e molto diffusa ovunque.

Se la sente di spendere un’altra previsione, stavolta sugli sviluppi che genererà in Libia l’intervento militare?

Ripeto: è chiaro e lampante che ci si trovi davanti ad una guerra civile, altrettanto chiaro e lampante che l’imperialismo europeo e americano propendano per una delle due parti in lotta. Io non credo che questa guerra finirà rapidamente, perché Gheddafi (al di là del fatto che Berlusconi gli abbia dato il bacetto) non è uguale a Mubarak e a Ben Alì, quindi non cederà e la guerra in Libia durerà a lungo. Credo, inoltre, che per l’Italia non ne trarrà benefici, a dispetto di questa sbornia di nazionalismo emersa per i centocinquant’anni dall’unità. Questa guerra porterà al nostro paese tre risultati sfavorevoli: per primo una bomba migrante che viene indirizzata senza alcuno scrupolo verso le nostre coste, con la totale e pervicace volontà dell’Europa di usare queste persone come carne da macello contro l’Italia scatenando i più bassi istinti razzistici; il secondo è il possibile afflusso di terrorismo; il terzo, non indifferente, la riduzione di risorse petrolifere e dei gas pari ad 1/5 del nostro fabbisogno. Il contraccolpo per l’Italia è abbastanza preoccupante.

Quali i motivi della vostra presenza oggi in Piazza Navona, a Roma?

Abbiamo visto che larga parte della pseudo-sinistra si è sciolta rispetto alla guerra, anzi oggi il PD e molti suoi amici sono diventati anche più guerrafondai del governo italiano. Le dichiarazioni di Veltroni e D’Alema dimostrano che il PD sia più per la guerra di quanto lo siano Maroni e Frattini. C’è un ribaltamento delle posizioni per cui il PD è peggio della Lega. Ma questo vale anche per una certa pseudo-sinistra in Europa: i Verdi in Germania sono più guerrafondai della Merkel. Io credo sia importante essere presenti oggi a Roma perché per una vera sinistra, tanto più per i comunisti, la questione del rifiuto della guerra è fondante. Il Partito Comunista in Russia fondò la rivoluzione partendo dal tema della lotta alla guerra, il Partito Comunista Italiano nasce nel 1921 per la scissione di Gramsci proprio sul tema della guerra mondiale, infine la stessa Rifondazione Comunista - parlando di qualcosa di vicino ai nostri giorni - nasce nel 1991 con l’astensione sul voto alla prima Guerra del Golfo da parte di undici senatori del PCI. Questo ci dice che è oggi dirimente il rapporto politico con il Partito Democratico. La nostra presenza qui è inoltre contro quella sorta di pseudo-pacifismo generico che non tiene conto delle valutazioni di classe nel nostro paese. Nella politica italiana certamente esiste un problema relativo a Berlusconi, ma anche di alternativa al Partito Democratico che, da Marchionne alla guerra, dimostra di avere una posizione assolutamente contigua col capitalismo. Noi siamo contro Berlusconi perché siamo contro il capitalismo, non è quindi nostra intenzione andarlo a sostituire con un suo simile del Partito Democratico.

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