Cina. Scatta la cooperazione sanitaria con l'Europa, perdono quota le accuse internazionali

281603 102660 800 auto jpg(ASI) Si è chiusa nella giornata di ieri una prima importante telefonata tra il primo ministro cinese Li Leqiang e la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen. Tema centrale del colloquio è stato quello relativo all'intensificazione della cooperazione nella comune lotta contro l'emergenza Covid19.

Secondo il premier del governo asiatico, Pechino e Bruxelles «si stanno sostenendo ed aiutando l'un l'altro». La Cina si dice «pronta ad unire gli sforzi con l'UE per intensificare lo spirito di solidarietà e rafforzare gli scambi e la cooperazione in materia di prevenzione e controllo dell'epidemia così come di ripresa economica». Da parte sua, la Von der Leyen ha osservato che le due parti hanno mantenuto «uno stretto coordinamento sin dall'inizio dell'epidemia per superare le difficoltà», aggiungendo che «la risposta alla pandemia globale richiede la solidarietà e il coordinamento di tutti i Paesi del mondo».

La Cina, primo Paese ad aver affrontato il nuovo virus responsabile della pandemia, ha indubbiamente già messo a disposizione del resto del mondo le conoscenze e le informazioni acquisite sul SARS-CoV-2, ma adesso può farlo anche in un quadro europeo, dopo aver assistito singolarmente, con l'invio di medici specializzati e materiale sanitario, diversi Paesi dell'Unione, a partire dall'Italia.

In un primo momento, proprio questi interventi - a cui si sono aggiunti quelli russi e cubani - avevano destato polemiche sulla stampa occidentale, insinuando la possibilità che dietro l'invio di aiuti vi fosse l'intenzione, da parte di Pechino, Mosca e L'Avana, di aumentare la rispettiva capacità di influenza in un Paese-chiave dell'area NATO, sfruttandone l'iniziale fragilità nella prima fase dell'emergenza. In poco tempo, però, l'intero Vecchio Continente è stato interessato dal contagio e quello che alla fine di Febbraio appariva un problema principalmente italiano si è poi rivelato una catastrofe su scala europea e, più tardi, mondiale.

Durante la telefonata di ieri con la presidente della Commissione UE, Li ha tenuto a ribadire che «il virus non conosce confini», sottolineando come «sia la Cina che l'Europa supportino il multilateralismo». La Cina si è detta «pronta a lavorare insieme all'Europa per partecipare attivamente alla ricerca, allo sviluppo e alla produzione di vaccini, farmaci e reagenti diagnostici nonché a fornire supporto a quei Paesi caratterizzati da fragili sistemi di sanità pubblica».

Già la settimana scorsa, in un videocomunicato, Ursula von der Leyen aveva chiarito l'importanza dell'approccio multilaterale nella lotta alla pandemia, annunciando un vertice globale di risposta all'emergenza per il prossimo 4 maggio, che inaugurerà una prima raccolta fondi con l'obiettivo di ricavare 7,5 miliardi di euro: «Il [nuovo, ndt] coronavirus colpisce tutti noi ed ogni Paese nel mondo. Più di due milioni e mezzo di persone sono state contagiate finora. Abbiamo perso quasi 180.000 persone a causa di questa malattia, che sta ancora diffondendosi velocemente. La risposta alla pandemia può essere soltanto globale, abbiamo bisogno della cooperazione tra governi, scienziati, società civile, imprese e cittadini di tutto il mondo».

I tre pilastri fissati da Bruxelles riguardano la prevenzione, la diagnosi e il trattamento, passaggi fondamentali nel momento in cui molti Paesi europei sia accingono ad avviare, con tempi e modalità diverse da Stato a Stato, la cosiddetta Fase 2, quella - rischiosa ma necessaria - dell'allentamento delle misure restrittive e della convivenza con il virus. L'invito, rivolto ai Paesi del G20, ad altri Stati e a fondazioni impegnate sul fronte sanitario, ha così l'obiettivo di avviare un grande piano di risposta globale, stimolato dall'Europa.

Uno dei requisiti per questa generale cooperazione internazionale passa implicitamente per la definitiva rinuncia di singoli governi - nazionali o locali - all'intenzione di procedere legalmente nei confronti di Pechino, in cerca di risarcimenti miliardari. Dopo alcuni dubbi espressi da vari leader politici occidentali in merito al comportamento della Cina rispetto all'epidemia, le acque in Europa si stanno calmando, anche grazie all'intervento di Angela Merkel. La cancelliera tedesca, neutralizzando alcune precedenti osservazioni critiche del suo ministro Heiko Maas, si è limitata ad esortare trasparenza a livello internazionale, adeguandosi tuttavia al responso della comunità scientifica mondiale che - dati alla mano - ha già fugato i dubbi sulle teorie legate all'ormai famigerato laboratorio di Wuhan e dimostrato l'origine naturale del SARS-CoV-2, a partire dalle prestigiose riviste britanniche Nature e The Lancet.

Lo stesso scienziato statunitense Ian Lipkin, intervenuto nel più noto di questi articoli, dal titolo The proximal origin of SARS-CoV-2, ha recentemente ribadito le sue tesi ai microfoni della CNN smontando, di fatto, le accuse e le insinuazioni del segretario di Stato americano Mike Pompeo e di quella che sta assumendo tutti i contorni di una vera e propria lobby anticinese all'interno del Congresso USA, sotto la regia di Brett O'Donnell, presidente della O'Donnell & Associates, navigato esperto in comunicazione strategica. Pochi giorni fa, la sua società di consulenza ha inviato ai senatori repubblicani un documento di 57 pagine che fissa le linee-guida da utilizzare nella comunicazione pubblica, elencando una serie di tesi preconfezionate, ai limiti del complottismo, sull'origine del virus, sui presunti ritardi e le presunte omissioni di Pechino e sull'eccessiva dipendenza del settore farmaceutico americano dalla produzione cinese.

La timeline degli interventi e delle comunicazioni già pubblicata sia dalle autorità cinesi che dall'OMS, finita anch'essa sul banco degli imputati dopo le accuse del presidente statunitense Donald Trump, mette tuttavia nero su bianco date, orari e contenuti - registrati dai server - delle informazioni condivise, praticamente in tempo reale, dalla Cina con il resto del mondo attraverso i big data.

Non ci sono più dubbi sulle tempistiche: i primi 27 casi di polmonite vengono ospedalizzati a Wuhan durante il mese di Dicembre, ma solo pochi di loro appaiono in gravi condizioni; tra il 30 e il 31 Dicembre, le autorità locali di Wuhan, dopo aver accertato le anomalie cliniche della malattia, danno l'allarme, pubblicando un rapporto che indica nel mercato ittico del distretto wuhanese di Jianghan il probabile luogo di contagio fra i pazienti sino a quel momento ricoverati; il 3 gennaio, la Cina comincia ad informare regolarmente l'OMS, il governo degli Stati Uniti e di altri Paesi nel mondo; il 7 gennaio, gli scienziati cinesi isolano per la prima volta il nuovo virus sconosciuto, chiamandolo nCoV2019; il 12 gennaio pubblicano, sottoponendola all'attenzione dell'OMS, la prima sequenza genomica completa del nuovo coronavirus, che viene subito inserita nel portale GISAID e condivisa a livello globale.

Restano invece i dubbi sull'origine geografica del virus, soprattutto per l'elevata presenza di contagiati asintomatici e paucisintomatici, persone, cioè, che potrebbero averlo contratto precedentemente altrove, senza accorgersene o tuttalpiù confondendolo con una normale influenza stagionale, per poi portarlo, a loro insaputa, in Cina, dove è stato per la prima volta scoperto ed isolato.

Qualsiasi ipotesi di procedere legalmente nei confronti di Pechino non avrebbe insomma alcuna base scientifica né giuridica, tanto più se accolta da un tribunale straniero che non ha giurisdizione in territorio cinese. Se anche per assurdo fosse accolta, inoltre, essa costituirebbe un precedente dal potenziale esplosivo: a quel punto, infatti, chiunque sarebbe legittimato ad intentare causa nei confronti degli Stati Uniti per la pandemia di H1N1 del 2009 (responsabile di milioni di contagi ed oltre 200.000 vittime nel mondo) o di qualsiasi altro Stato in cui si sia originato un nuovo virus negli ultimi decenni.

Come ha ricordato proprio oggi il viceministro degli Esteri Le Yucheng in un'intervista esclusiva alla NBC, la Cina «si oppone alle cosiddette indagini internazionali basate sulla presunzione di colpevolezza riguardo l'origine del virus responsabile dell'epidemia di Covid-19». «Siamo trasparenti, siamo aperti e sosteniamo lo scambio professionale tra scienziati [...] ma ci opponiamo alle accuse infondate», ha precisato Le, definendo le inchieste «politicamente orientate al fine di stigmatizzare la Cina». Rivolgendosi ai cittadini americani, il viceministro ha sottolineato che «il vero nemico degli Stati Uniti è il Covid-19, non la Cina», aggiungendo che «non c'è tempo per le accuse e le macchinazioni politiche, ma solo per la solidarietà e la cooperazione nella lotta al virus».

 

Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia

 

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