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Questione palestinese. L'Arabia Saudita potrebbe intervenire


(ASI) Sul portale di Al Jazeera, M.J. Rosemberg, analista politico nonchè ex direttore delle politiche dell’Israel Policy Forum, commenta un'editoriale uscito sul Washington Post di un mese fa circa a firma di Turki al-Faisal, principe saudita e capo dei servizi segreti del suo Paese tra il 1977 e il 2011 e ambasciatore presso gli Stati Uniti dal 2004 al 2006.
Quella del saudita è una presa di posizione netta sulla questione palestinese. Egli ha scritto che “è giunto il momento che i palestinesi bypassino gli Stati Uniti e Israele, e cerchino l’appoggio diretto della comunità internazionale al loro Stato presso le Nazioni Unite”. Egli ha anche detto che gli Stati Uniti pagheranno un caro prezzo se bloccheranno le aspirazioni a un futuro Stato: “Nel mese di settembre il regno saudita potrebbe usare il suo considerevole potere diplomatico per sostenere i palestinesi nella loro ricerca di un riconoscimento internazionale. I leader americani hanno da tempo definito Israele un alleato ‘indispensabile’.

Presto impareranno che ci sono altri attori nella regione – non ultima la piazza araba – che sono ugualmente ‘indispensabili’, se non di più. Il favoritismo nei confronti di Israele non è stato un atteggiamento saggio per Washington, e presto diverrà ancora più chiaro come esso sia una follia”.

La sua conclusione è sorprendente: “Noi arabi eravamo soliti dire no alla pace, e ricevemmo la nostra giusta punizione nel 1967. Nel 2002 il re Abdullah offrì quella che diventò l’Iniziativa di Pace Araba. Basata sulla risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, essa chiede di porre fine al conflitto sulla base del concetto “terra in cambio di pace”. Gli israeliani si ritirano da tutti i territori occupati, compresa Gerusalemme Est, raggiungono una soluzione concordata per i rifugiati palestinesi e riconoscono lo Stato palestinese. In cambio, otterranno il pieno riconoscimento diplomatico del mondo arabo e di tutti gli Stati musulmani, la fine delle ostilità, e normali relazioni con tutti questi Stati”.
“Ora, sono gli israeliani a dire di no. Non vorrei esserci il giorno in cui si troveranno ad affrontare la loro giusta punizione”.

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