Coronavirus fra strategie e test: fallimento o successo?

 

Test COVID 19

(ASI) Roma - La pandemia da Coronavirus, iniziata circa quattro mesi fa, sta rapidamente mettendo a dura prova i sistemi sanitari e le economie di tutto il mondo e segnerà per sempre la storia recente dell’intera umanità.

 

 

Dunque, riassumiamo brevemente:

Lo scorso dicembre, nella città di Wuhan, iniziano a manifestarsi una serie di casi di polmonite virale. Per quanto le notizie arrivano inizialmente incomplete in Occidente, in Cina comprendono da subito la gravità del problema e i ricercatori cinesi isolano il patogeno che risulta essere un nuovo Coronavirus a cui viene assegnato il nome di SARS-CoV 2. Un nome che fa paura, perché ricorda il virus SARS-CoV 2003 e il MERS-CoV 2012, virus che hanno generato due altre terribili epidemie recenti e dalle quali diversi paesi orientali, vedi Corea del Sud e Cina, hanno appreso strategie di azione per il controllo epidemico. Forse, proprio perché quest’ultime toccarono marginalmente l’Occidente, la maggior parte della nostra classe politica europea solo nelle ultime settimane sembra aver finalmente compreso la vera pericolosità del SARS-CoV 2.

Il vivere ancora di più, rispetto alle precedenti epidemie, in una realtà globalizzata in cui masse di persone si spostano ogni giorno tra i diversi continenti ha innescato un contagio inarrestabile. Il SARS-CoV 2, inoltre, è un nemico subdolo perché non solo è dotato di un’elevata capacità di trasmissione tra persone, ma la sua strategia è una diffusione silenziosa, trasportato da quelle persone che non manifestano una reale malattia o solo qualche lieve disturbo.

Veniamo al punto. Possiamo distinguere la popolazione in soggetti portatori asintomatici del virus SARS-CoV 2 e soggetti in cui si manifesta una malattia virale che è chiamata COVID 19 (Corona Virus Disease 2019). Quest’ultima si presenta con febbre, tosse, mialgie diffuse, difficoltà respiratoria fino all’insufficienza respiratoria acuta indotta dalla polmonite virale.

 

Come fermare l’epidemia?

I governi, impreparati alla situazione e in modo disordinato, stanno progressivamente approntando strategie basate sul distanziamento sociale. Il concetto è che se ognuno sta a casa propria la catena di diffusione del virus si arresta.

Attualmente, un successo per lo meno temporaneo si è ottenuto in Cina dove sono state adottate misure di isolamento severe mediante un controllo di tipo militare e la chiusura di qualsiasi attività. Anche la Corea del Sud ha ottenuto un controllo dell’epidemia adottando misure meno restrittive ma eseguendo test su larga scala nelle città più colpite e individuando, quindi, non solo i soggetti malati ma anche parte della popolazione portatrice asintomatica o paucisintomatica. La Corea del Sud ha anche adottato un ingegnoso sistema per il controllo degli spostamenti dei soggetti positivi e seguirne l’evoluzione clinica. Il risultato ottenuto è stata la rapida riduzione del tasso di contagi nel corso di quattro settimane e una bassa mortalità (0,7%).

Poi abbiamo il caso di Vo' Euganeo dove i tremila abitanti sono stati tutti sottoposti a test e l’epidemia è stata azzerata in poche settimane. L'immunologo Sergio Romagnani ha già fatto notare, nei giorni scorsi, alcuni dati interessanti che ne sono derivati: la percentuale delle persone infette, anche se asintomatiche, nella popolazione è altissima (oltre il 70%) e l'isolamento degli asintomatici è essenziale per riuscire a controllare la diffusione del virus e la gravità della malattia.

 

Detto ciò, come individuiamo la presenza del virus SARS-CoV 2?

Innanzitutto, il criterio clinico ed epidemiologico ci fa individuare i casi sintomatici, cioè quelli che manifestano tosse, febbre e difficoltà respiratoria di vario grado. Questa è precisamente la popolazione oggetto di attenzione nella strategia di contenimento italiana. Su questi soggetti è stata data indicazione da parte del Ministero della Salute e dell’ISS di eseguire il cosiddetto tampone rinofaringeo.

Il tampone permette di raccogliere secrezioni per la ricerca del Coronavirus che avviene tramite tecniche di biologia molecolare che rilevano l'acido nucleico (in questo caso RNA) del virus. È una tecnica che può dare il risultato in circa sei ore.

Altro strumento diagnostico è quello radiologico. Il Policlinico Gemelli, in questo campo, ha messo a punto un innovativo sistema di intelligenza artificiale in grado di eseguire la diagnosi rapidamente tramite TAC polmonare.

 

Non esistono altri mezzi?

In realtà sì. I test rapidi per la verifica di IgM e IgG che sono in grado di dare il risultato in circa 15 minuti. Molti di questi sarebbero già disponibili e in commercio anche in Italia, tuttavia c’è un certo grado di avversione da parte dell’ISS che non li raccomanda e ne sta ostacolando la diffusione. 

 

Ma come funzionano?

Questi test danno un’indicazione sulla presenza di una risposta immunitaria al virus (anticorpi) sia nei malati che nei soggetti asintomatici.

Gli anticorpi chiamati IgM forniscono la prima linea di difesa durante l'infezione virale, alla quale segue poi la risposta adattativa della memoria immunitaria fornita dalle IgG.

Ovviamente, la risposta immunitaria dell’organismo ha bisogno di qualche tempo per manifestarsi e varia dal tipo di patogeno. È stimato, per il SARS-CoV 2, che gli anticorpi IgM sono presenti dopo 3-6 giorni dal contagio e le IgG dopo 8-14 giorni. Si comprende come il rilevamento di entrambi gli anticorpi può fornire importanti informazioni sullo status dell’infezione.

La questione critica riguardo a questo test riguarda il tempo di latenza fra il contagio e l’inizio della produzione di anticorpi che appunto richiede qualche giorno. Quindi, un risultato negativo significa che il soggetto non è venuto a contatto con il virus fino a qualche giorno prima dell’esecuzione del test; la positività per le IgM indica, invece, una recentissima esposizione; la presenza contemporanea di IgM e IgG una fase più avanzata intorno al quindicesimo giorno dal contagio; infine, la presenza delle sole IgG indica un’infezione in via di risoluzione o completamente scomparsa (memoria immunitaria).  

 

Può essere utile il test rapido?

Dipende dalle strategie che un sistema sanitario vuole adottare. Indubbiamente può essere un sistema di screening della popolazione, con evidenti vantaggi. Fra questi: basso costo, non servono laboratori, può essere eseguito in qualsiasi posto anche a domicilio (si punge il dito, simili a quelli per la gravidanza), risultato in circa 10-15 minuti (va letto comunque insieme ad un medico per la corretta interpretazione).

Per i soggetti sintomatici con segni di COVID19 questo test appare superfluo ma può essere complementare al tampone.

Può, invece, risultare vincente in una strategia di screening della popolazione generale  nell’individuare quei soggetti asintomatici e il loro status immunitario (infezione in atto o pregressa); può fornire se eseguito in uno stesso momento temporale una fotografia sullo stato di immunità della popolazione (% di “immunità di gregge”); permette di seguire l’evoluzione dei soggetti positivi e di intervenire precocemente sulla sintomatologia e assistenza anche a livello domiciliare; è possibile realizzare sistemi di intelligenza artificiale su tali informazioni.

Considerando il presente contesto di distanziamento sociale già in atto da giorni, l’esecuzione del test rapido su larga scala potrebbe fornire informazioni sorprendenti e potenzialmente essere la reale soluzione per una rapida ripresa delle nostre attività e della nostra vita sociale.

 

Perché questa opzione non è considerata o avversata?

Sicuramente non è per il costo o la fattibilità visto che siamo in una situazione emergenziale. Forse non tutto ci viene detto e le strategie sono dettate da convenienze.

 

 

Edoardo Desiderio - Agenzia Stampa Italia

 

 

 

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