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Storia. La Signora Rommel





La Signora Rommel

Porta il nome del famoso e controverso Feldmaresciallo - Generale. Non è sua nipote, e ora parla della famiglia. Parla della sua guerra – ma anche della sua pace

 







Ora c'è più luce, e quindi lei avrebbe potuto trascorrere meglio la serata, senza andare a teatro e vedere una storia che già conosceva. Tuttavia lo fa lo stesso, va in macchina percorrendo un centinaio di chilometri verso Ulm. Ha già visto molte volta l'opera “Rommel – un generale tedesco”. La prima volta dovette disdire la baby- sitter. Era sollevata. Ma presto ebbe la sensazione di perdersi nuovamente qualcosa. Allora comprò in internet un biglietto, e adesso è seduta in prima fila, così vicino ai proiettori da scaldare le chiappe.

Sulla scena si svolge la seguente storia: Anno 1944, Il Feldmaresciallo – Generale Erwin Rommel, elevato ad eroe dai nazisti, poiché in nord Africa aveva respinto i britannici, nonché in grado di arrestare più volte gli alleati in Francia. Comprese presto che non ce l'avrebbe fatta, ma Hilter non volle sentire le sue posizioni. Così, comprese presto le ragioni dei resistenti attorno a Claus Schenk Graf von Stauffenberg, per poterla infine sostenere. Poiché l'attentato a Hitler fallì, anche Rommel fu giudicato un traditore, e il regime lo costrinse al suicidio.

Così la piece, ma la realtà fu un po' più complicata. Gli esperti discutono ancora oggi, da che parte stesse Rommel, sia agli inizi che durante la resistenza. Questa ambivalenza e i relativi dibattiti sembrano quasi mantenerlo in vita.

E' una sorta di anno dedicato a Rommel, in Germania, dapprima in teatro, ad Ulm, e poi in autunno un nuovo lungometraggio per l'emittente televisiva ARD. Il film dovrebbe chiamarsi semplicemente “Rommel”. Il nome sembra dire tutto, e si può dire molto, di un generale furbo, vanitoso, a volte cieco e troppo onesto. Si distinse per devozione a Hitler e più tardi per la tardiva consapevolezza di averlo servito al momento sbagliato. Questo cognome è tutta una storia. Ed è anche il suo.

Cahterine Rommel, la nipote, che ora siede in prima fila – ha trovato in maniera poco rassicurante sempre a dominare questo cognome. Avrebbe potuto prendere un altro cognome, con il matrimonio. Ma non volle piegarsi. Forse per un senso del dovere, forse anche in quanto non sarebbe mai riuscita a fuggire abbastanza dal suo cognome.

Durante la pausa ha sete. Nel ridotto aspetta, un po' imbarazzata, un ufficiale svizzero. Egli è affascinato dal Generale, ha pubblicato e scritto in proprio un libro su di lui, e cerca il dialogo con la famiglia. Catherine Rommel va dapprima al bar. Infine, entra in possesso, tra la folla, della sua Coca – Cola. Lo svizzero fruga nella sua valigetta tra dei documenti. Catherine Rommel sorride incoraggiando, e con lo sguardo furtivo cerca di raggiungere la toilette. Ma il tempo non le basta. Dopo la rappresentazione incontra casualmente l'autore dell'opera teatrale. Dice di sedersi accanto in un'osteria ancora acconto al nipote di una delle vittime dell'olocausto. Le chiede se ci andrebbe. Lei dice di sì, perché no.

Il nonno, chiamato spesso la “La volpe del deserto”, è così monopolizzato. Affascina molta gente sino ai nostri giorni. “Deve essere così anche oggi?” Le domandano, alla famiglia, ad ogni nuova rappresentazione, mostra, pubblicazione. Ma la famiglia non si nasconde. Manfred Rommel, figlio del Feldmaresciallo, non è mai fuggito, sebbene il padre fosse un peso anche per lui. Nel frattempo il morbo di Parkinson si è manifestato in maniera così virulenta, cosicché per la famiglia parla la figlia quarantasettenne Catherine. Costei si occupa dei bambini, del lavoro e del padre. E anche del defunto nonno, che talvolta è più estenuante di tutti gli altri che sono in vita.

Quasi settant'anni dopo dalla fine del Terzo Reich, la generazione della nipote ha dovuto far fronte all'eredità del periodo nazista. Sono figli della Repubblica Federale, che non hanno vissuto la guerra e le sue immediate conseguenze, e che ancora molto pesano. Alcuni, ma non tutti, si confrontano criticamente con gli avi. Essi hanno raccontato, come affrontino questo problema, cioè aver considerato come esistenze differenti gli ebrei schiavi. Altri nipoti hanno investigato, sulle traccie dei nonni, hanno scritto libri sull'orrore, provocato dalla loro famiglia, e sul quale la stessa manteneva il silenzio.

Il che non è facile fare ordine facilmente su un membro delle SS come Alois Brunner. Un criminale. E Rommel? Dopo la guerra venne ammirato come un soldato “diritto”,, non solo dalla Bundeswehr. Da una parte. Dall'altra ha reso famosa la guerra di Hitler, era un parvenu di ogni epoca.

In breve la nipote Catherine sie è lasciata risucchiare in una controversia con il nonno, circa il film dell'ARD, che dovrebbe andare in onda in autunno. Ha denunciato i responsabili, poiché David Irving, la “salsa marrone” dei negazionisti dell'Olocausto, vi avrebbe collaborato. Aveva la sensazione di dover difendere il proprio nonno.

Naturalmente avrebbe potuto ignorarlo, così come avrebbe potuto non considerare il teatro ad Ulm. Tuttavia lei se ne cura, si immischia, vuole voce in capitolo. Le è difficile spiegare, perché lo faccia. Dice di sentirne la responsabilità. Perché il suo cognome glielo impone. “Sempre ancora, - è la mia domanda, - cosa possiamo imparare dal periodo nazionalsocialista, che cosa possiamo ancora influenzare, o impedire del tutto?” Suona ancora come autentica ed obiettiva, come una formula, come molte altre domande potrebbero collegarsi alla generazione dei nipoti. Ma anche per Cartherine Rommel non è facile chiarire, ciò che in un primo momento potrebbe suonare chiaro.

Nei suoi primi ricordi, lei si trova al Cimitero di guerra a Herrlingen, dove ogni anno in autunno Erwin Rommel viene ricordato. Quando è venuta per la prima volta, aveva quattro anni e si stava quasi congelando dal freddo. A casa, durante un gioco, trovò la sua maschera da morto e se la mise; ha spiegato che quella doveva essere la maschera di Erwin, che Erwin non c'era più, che lo avevano fatto suicidare, perché lo aveva detto Hitler. Capiva, che il nonno era importante e non che non se n'era andato volontariamente.

Nel frattempo aveva sentito talmente tanto su di lui, dai compagni, meravigliati, nemici, che ha ormai una sensazione di come lui sarebbe dovuto essere, sebbene non sia mai soddisfatta. “Io sono l'essenza di quarant'anni di storia su di lui”, afferma spesso, tutto l'ha arricchita. Come la polvere in un filtro. In molte famiglie non si parla ancora oggi molto di questo, ossia cosa abbiano fatto o come abbiano vissuto i parenti delle SS, nazisti o soldati del Terzo Reich. I rimpatriati dalle battaglie o dalla prigionia cercano spesso di tenere per sé le proprie colpe oppure solo il loro trauma.

Di Rommel se ne è parlato. Il padre di Catherine, Manfred, ex sindaco di Stoccarda, è un uomo tollerante, molto liberale, “chiacchierato” come un dritto dalla figlia, nonché come un permissivo. Lo storico britannico David Irving sedeva in passato occasionalmente alla loro tavola, quando ricercava nell'archivio di famiglia. Non era loro simpatico. Una volta lei lo rimproverò, perché uno dei suoi capelli nuotava nella sua zuppa....

I Rommel erano più facili rispetto a molti altri. Il nonno era stato sia nel partito che nelle SS, e gli orrori del fronte orientale non li aveva visti. Rommel dimostrava che anche sotto Hitler c'erano persone oneste. Ai suoi funerali vennero uniformemente dalla Gran Bretagna e dalla Francia. Così sopravviveva il mito di Rommel, costituendo il vantaggio per la famiglia di non doversi isolare – dagli attacchi. Catherine Rommel dice di non avere il culto dell'eroe in casa. Sie è sempre domandata, quanto in verità fosse stremo suo nonno. “C'è solo il generale nazista o l'eroe cavalleresco. Tra le due, spesso non c'è nulla”.

Lei è nata nel 1964, cresciuta a Stoccarda, è consigliere come Business – Coach di un'impresa. Come la madre, odia i vincoli. Manda i suoi figli alla Waldorfschule, e nella sua camera da letto ha appeso una foto di Buddha. Ha un sistema di bilanciamento, ma dietro questa arte di osservare il passato, osserva l'eccitazione del suo ambiente spesso stoica sino al divertimento.

La pace per lei significa molto, nella vita quotidiana così come nella politica, e questo non sembra collegarla per niente a suo nonno, il cui scopo di vita era la guerra. Lei conosce le sue pagine oscure. “Prese Hitler per un luccio gigantesco, e ci ha collaborato a lungo”, dice. “Io so, quanto egli abbia contribuito alla macchina di Hitler”. Può anche meravigliarlo, però. Quando le sue truppe nel 1942 in nord Africa furono travolte dall'offensiva nemica britannica, Hitler ordinò di combattere sino alla morte. Rommel ignorò quell'ordine e indietreggiò. I suoi uomini ringraziarono la famiglia più avanti, per non averli bruciati lì. Quando la nipote parla di lui, lo chiama per nome. “Erwin aveva una bussola interiore, che gli diceva cosa fosse buono o cattivo. Trattò i nemici come persone. Da qui nasce la mia attenzione, la mia simpatia per lui”.

Parla bene del suo ruolo? Figli e nipoti sentono spesso il bisogno “di piazzare i genitori o i nonni nell'universo nazista dell'orrore, affinché questo non faccia cadere su di loro alcuna ombra”, scrive l'autore dello studio “Opa war kein Nazi” (Nonno non era nazista, ndt).

Catherine Rommel afferma che la sua fama non è così grande da potersi crogiolare. Ciò che teme di più, è essere riconosciuta dagli ammiratori. “Non voglio essere né un'ammiratrice di mio nonno, né una pin – up di neo – nazisti e altri che lo adorano”. Lo stesso quando si imbatte in uno sfegatato fan come l'ufficiale svizzero, le si accende un sorriso sulle labbra, perché il culto ha anche qualcosa di divertente.

Come si avvicinò Erwin Rommel alla fine della sua esistenza alla resistenza, veramente, probabilmente non si chiarirà mai. Gli storici si sono preparati per decenni. Manfred Rommel ha scritto molto, sul fatto che suo padre non era nella resistenza e non sapeva del piano dell'attentato. Altre prove indicano come egli abbia dato il suo sostegno agli attentatori. Cahterine Rommel dice che per lei è importante solo che suo nonno abbia avuto uno sviluppo, allontanandosi da Hitler. Non lo avrebbero fatto in molti ai vertici della Wehrmacht.

Da un paio di anni sono emersi protocolli relativi alla guerra, e da qui una testimonianza afferma che Rommel aveva richiesto di uccidere Hitler. La nipote asserisce che questo non le procura alcuna soddisfazione. “Se ciò dimostra, che Erwin era nella resistenza, non organizzo un party”. Ma lei se lo immagina davanti a lui, quando ha la sensazione che lo sminuisca”. Non andrà in onore della sua famiglia, dice, bensì per il mio “senso di giustizia”.

La famiglia è stata attaccata raramente, se si pensa che due uomini sono stati veramente importanti, il nonno come soldato modello del nazismo, il padre come politico. Alcuni attacchi erano rivolti ad entrambi. Come se uno potesse candidarsi a sindaco il figlio di un criminale di guerra, venne chiesto alla madre, e lei ribatté che non portava alcuna colpa collettiva.

Catherine Rommel afferma di non voler giudicare come le persone si comportavano durante una dittatura. “Prego per noi, affinché non dobbiamo mai dimostrare il coraggio civile con delle prove in una dittatura”. La famiglia non si è imposta di definire la figura di Erwin Rommel. Manfred Rommel non si è visto chiamare in difesa del padre. Piuttosto, agli storici e ai registi sembrava importante avere un'opinione dalla famiglia. Quando l'ARD progettava il lungometraggio sul Generale, i produttori cercavano il dialogo con la famiglia. L'autore Maurice Philipe Remy lavorava assieme a Catherine e al padre in ben tre versioni della sceneggiatura. Ad esempio, su iniziativa della famiglia venne cancellato il commento nel quale Rommel diceva di avere sempre amato Hitler e di amarlo ancora. La famiglia continuava infatti a dire che non vi erano prove sufficienti. Anche un passaggio dell'opera teatrale è stata mitigata su richiesta dei Rommel. Le parole di Rommel ad Hitler sarebbero state: “Sono commosso ai tuoi piedi”.

Alla fine i produttori del film della ARD decisero per un'altra sceneggiatura – quella dell'autore Niki Stein. Catherine Rommel la reputava peggiorativa. Tra tutto, Caherine si arrabbiò perché Stein aveva tralasciato ogni scena del 1942, quando il Generale in Africa si oppose ad Hitler. Dal punto di vista dei Rommel è anche la scena finale della sua vita. Il film di Stein “parla di Rommel negando ogni conoscenza e priva così l'integrità al suo atteggiamento, per il quale al termine della sua vita ha dovuto pagare”, scrisse la nipote ai produttori. Ha dato consigli per gli storici. Poi ha lasciato cadere la frase che la sceneggiatura era stata presa in prestito da Irving, il negazionista dell'olocausto, questa salsa marrone che non ha il permesso di collaborare alla stesura. In realtà, Irving aveva cercato di allontanare Rommel dalla resistenza. Che il termine “salsa marrone” non sia fortunato, lo sa bene anche la nipote. Dice di essere stata sorpresa dalla stampa al telefono.

Si era offesa, perché suo nonno nella seconda sceneggiatura agiva meno eroicamente rispetto alla prima? O perché non era stata più interpellata? Lei afferma che l'unica cosa che l'abbia disturbata è il fatto che i produttori avessero apportato solo correzioni storiche, senza ascoltarla. I produttori avrebbero visitato la famiglia, ma solo per affermare quanto il film fosse grandioso.

I Rommel hanno aggiunto questa perdita di controllo. Catherine Rommel sa quanto certi film caratterizzino la memoria collettiva. E anche questo per lei potrebbe essere la stessa cosa, dal momento che il nonno è morto vent'anni prima della sua nascita. Lei dice che questa controversia l'aveva fatta per suo padre, che non poteva purtroppo vivere ancora a lungo.

Dopo la piece teatrale a Ulm, si sedette in un pub vicino a David Ury. Era venuto dall'Inghilterra per vedere l'opera. Poi apparve una figura, che è stata ispirata dalla nonna di David. Quest'ultima ha vissuto nella casa dei Rommel, poiché l'edificio era ancora una vecchia casa ebraica disabitata. In seguito venne rapita, portata ad Auschwitz ed assassinata. In teatro la nonna viene rappresentata come un fantasma, combatte con la morte nella camera a gas. Ora Catherine Rommel, la nipote, siede accanto il nipote di questa donna, come in una capanna.

Ha dichiarato di non avere paura di essere oggetto di attacchi da parte di gente luttuosa o arrabbiata. Piuttosto potrebbe riuscire a non trovare le parole giuste. Che non potrebbe negare.

Ury è una persona fine, ma anche lui deve bere per la prima volta una grappa, dopo aver visto come dovette morire sua nonna. “Fucking Auschwitz”, dichiarò. Catherine Rommel ordinava un bicchiere di vino, e lo ascoltava. Che la loro generazione sia differente da quella prima della guerra, ritiene lei, è vero vista la maggiore attitudine alla compassione.

Ury non si aspetta nessuna scusa da lei, e lei non sente alcun motivo per farlo.

“L'ha commossa vedere suo nonno nel palco?”, domanda lui.

“Non conosco altri”, dice lei.

Di Nicolas Richter, Süddeutsche Zeitung, 25 aprile 2012, pagina 3 all rights reserved

Traduzione di Valentino Quintana per Agenzia Stampa Italia

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