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Teatro.  'A vilanza: il tragico è comico. E viceversa

(ASI) Prosegue la stagione teatrale dello "Stabile" di Catania. Il prossimo spettacolo in cartellone, dal titolo " ‘A Vilanza", è uno splendido testo in dialetto realizzato da Nino Martoglio e Luigi Pirandello: un proficuo sodalizio all’insegna della valorizzazione del teatro in lingua siciliana.

«Insegnamento e obiettivo che il Teatro Stabile di Catania - spiega il direttore Giuseppe Dipasquale - intende fare propri, sviluppando nelle ultime stagioni una ricerca filologica in linea con le finalità istituzionali dell’ente, mirate alla valorizzazione della cultura e delle radici isolane».

Con la regia di Federico Magnano San Lio, interpreti principali Mimmo Mignemi e Angelo Tosto
Lo spettacolo debutterà al Musco dal 5 aprile al 6 maggio in una nuova produzione affidata alla regia di Federico Magnano San Lio, con le scene di Angela Gallaro, i costumi di Giovanna Giorgianni, le musiche di Aldo Giordano, il disegno luci di Franco Buzzanca. Sul palco nei ruoli principali Mimmo Mignemi e Angelo Tosto, insieme a cinque splendide attrici, che rispondono ai nomi di Margherita Mignemi, Olivia Spigarelli, Clelia Piscitello, Egle Doria, Luana Toscano.

«Investire nella riscoperta e valorizzazione dei grandi autori del territorio d'appartenenza . sottolinea ancora Dipasquale - è preciso dovere per un teatro "stabile". Tanto più per un ente teatrale che opera in terra di Sicilia,. feconda di prestigiosa letteratura sia in lingua italiana che in vernacolo. La collaborazione tra Martoglio e Pirandello, in particolare, segna l’apice del teatro dialettale, anche perché contiene in nuce tematiche, contenuti e strutture che faranno del Girgentano il padre del teatro del Novecento. Perciò riproporre oggi al nostro pubblico un titolo desueto come ‘A vilanza ha per noi il valore di un necessario viaggio identitario».

La scelta di questa intrigante pièce teatrale in tre atti (scritta nel 1916, lo stesso anno in cui la coppia diede alla luce Cappiddazzu paga tuttu) sottolinea la vocazione territoriale dello Stabile etneo, che rivaluta e nobilita il dialetto siciliano senza mai cedere alle abusate maniere di un certo teatro folclorico.

La vicenda narra di Orazio e Saro, e della loro amicizia finita male per l’adulterio che il secondo consuma con l’esuberante moglie del primo. L’offesa richiede un regolamento di conti e vede Orazio elaborare un piano diabolico per ripristinare l'equilibrio sociale, rovinosamente sbilanciatosi sotto il peso del disonore (vilanza in siciliano significa bilancia). La vendetta non si consuma nella rapidità di un gesto folle, al contrario si condensa lenta, dipanandosi nei mille rivoli delle convenzioni basso borghesi, della morale bigotta e fraintesa, e delle ipocrisie di facciata di una certa Sicilia di cui tanto si è scritto e detto. E di cui tanto si dice e si scrive ancora.

Senza anticipare troppo sullo svolgimento dell'azione e per lasciare il gusto della sorpresa, 'A vilanza anticipa il relativismo pirandelliano e la sua comicità grottesca, misti al sapiente disegno di costumi e caratteri di marca martogliana.  È il doppio il filo conduttore di quest'opera: due amici-nemici, due autori, addirittura due finali, ma soprattutto due linee narrative, che sviluppandosi tra tragedia e comicità lasciano intravedere la spina dorsale di una poetica che in seguito vedrà felicissimi sviluppi e tanto ha inciso su forme e modelli teatrali contemporanei.

Nell’opera si riconoscono infatti, seppur sotto la forma embrionale di traccia o tendenza, le principali caratteristiche di un genere letterario e teatrale che ha fatto la cultura e l'identità dell'Isola, piuttosto che limitarsi solo a raccontarle. Per dirla con il regista Federico Magnano San Lio: «Viene il sospetto che ‘A vilanza possa essere, sia pure inconsciamente, una sorta di "manifesto" di una idea di teatro, tramite il quale invitiamo lo spettatore ad un viaggio curioso dentro il lavoro di Martoglio e Pirandello, e dentro l’espressione comica e tragica».

 

Di Giuliana Sotera

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