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Pillole Amare: Canone Rai

(ASI) Nel silenzio (quasi ) generale il canone Rai è stato aumentato anche quest’anno di 2,5 euro (adesso costa €.112 ). Per adeguarlo all’aumentato costo della vita, ci hanno spiegato. E poco importa, a chi ha deciso l’aumento, che gli stipendi dei dipendenti e le pensioni sopra i millequattro al mese (a differenza delle indennità di molte cariche istituzionali) siano stati bloccati per decreto e quindi non si adegueranno affatto all’inflazione.

“Il canone è un’imposta e va pagato”, ci ripete un solerte ed ossessivo spot in onda ad ogni ora in tutti gli spazi televisivi RAI., a metà tra il persuasivo ed il minatorio (in tempi di controlli fiscali più diffusi). Dunque, non ci resta che pagare. Senza pensare, se no ci rodiamo il fegato, che con quel canone finanziamo quasi esclusivamente trasmissioni imbonitorie a pro di questo o quel partito; giornalisti inginocchiati a questo o quel potere; conduttori, soubrettes e tecnici iperlottizzati; telegiornali mistificati dall’inizio alla fine; varietà da osteria del porto e finti dibattiti che discettano sulla cronaca morbosa e sull’’attualità trita per non parlarci di scandali, privilegi, ruberie; trasmissioni di approfondimento che ci spiegano perché nevica a gennaio o c’è il solleone ad agosto, tralasciando i problemi veri della gente e l’inettitudine mediocre delle nostre classi dirigenti a risolverli.

Sembra che quasi tutte le sedi di partito, pur avendo televisori, non paghino il canone e per questo i parlamentari, eccetto pochi, si siano opposti all’inasprimento delle norme sui controlli contro l’evasione dell’imposta-canone. In cambio, non hanno mosso un dito contro l’aumento del canone, che tanto finisce, come al solito, sul conto del cittadino-Pantalone.

Una ricerca condotta mesi fa da Kris Network of Business Ethics per conto dell’Associazione Contribuenti Italiani, ha rilevato che il canone RAI è, tra tutte le imposte del bel Paese, la più odiata dopo l’IVA e gli aggi esattoriali. Ed è, inoltre, la più evasa: i mancati pagamenti sono stimati intorno al 43% degli italiani, con punte fino all’87% in alcune regioni del sud quali Campania, Sicilia e Calabria. Non c’è che dire, in questo caso, una volta tanto, molti italiani si identificano con quello che fanno i loro partiti.

 

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