Film da vedere. "Shutter Island" di Martin Scorsese

(ASI) Dopo indiscussi capolavori come “Gangs of New York” (2002), “The Aviator” (2004) e “The Departed” (2006), il duo vincente Martin Scorse- Leonardo Di Caprio non delude nemmeno questa volta, compiendo un ulteriore passo verso la perfezione con “Shutter Island”, trasposizione cinematografica dell’opera letteraria “L’isola della paura” di Dennis Lehane, già autore di capolavori dal quale il cinema ha attinto come “Gone Baby Gone” e “Mystic River”.

Grazie all’intensa interpretazione di Di Caprio e la meticolosa regia di Scorsese, l'opera risulta cupa, violenta, intrisa di pathos ed intensità, delirante e misteriosa.

Tutto ha inizio nel periodo della guerra fredda: è il 1954 e l’agente federale Teddy Daniels (Di Caprio) viene inviato insieme al suo collega Chuck Aule (interpretato dal sempre più affermato Mark Ruffalo) presso l’istituto Ashecliffe, manicomio criminale su un isolotto di Boston, Shutter Island, per indagare sull’improvvisa scomparsa di una pericolosa pluriomicida: Rachel Solando, scappata dalla sua cella in circostanze sospette. I due sono chiamati a trovarla prima che l’incolumità di qualcuno venga messa in pericolo. Ma un uragano si abbatterà sull’isola rendendo la ricerca più difficile ed impedendo ai due di lasciare quel posto così tetro e spaventosamente misterioso.

Ma i due stanno investigando sulla mera fuga di un prigioniero o l’isola nasconde segreti ben più pericolosi? E come già anticipato, nell’opera di Scorsese è la mente umana a farla da padrona, realtà o pazzia? E' questo l’interrogativo su cui verte il film e che spinge lo spettatore a lasciarsi andare completamente a quella follia noir di immagini che compongono Shutter Island.

Ed è possibile provare tutte queste emozioni grazie all’impresa titanica di Leonardo Di Caprio, il cui personaggio rappresenta l’uomo che trova stimolo nella follia, tanto da inventare un alter ego che respinge tramite la finzione le bugie il proprio passato. La negazione e reinvenzione del proprio passato rappresenta un castello di carte ideale per fuggire dalla realtà brutale nella quale è costretto a vivere. Verità e psicosi, realtà e fantasia si compenetrano in questo thriller psicologico nel quale lo spettatore viene catapultato in un labirinto psicologico dal quale uscirà frastornato e consapevole che nulla è mai come sembra.

Alessandro Antoniacci – Agenzia Stampa Italia

 

 

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