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"Hannah Arendt e la banalità del male.",  Nella Giornata della Memoria riaffiora il ricordo di una filosofa rivoluzionaria
(ASI) In occasione della Giornata della Memoria arriva nelle sale cinematografiche italiane "Hannah Arendt", l’ultimo lavoro di Margarethe Von Trotta che, dopo aver ottenuto straordinari successi in tutto il mondo, sbarca nel nostro Paese nelle giornate del 27 e 28 gennaio.

Nel film viene ricostruito il periodo che va dal 1961 al 1964, quando la filosofa ebrea, che vive e insegna a NewYork, dopo essere scappata insieme al marito dalla prigionia del campo di Gurs in Francia, decide di recarsi a Gerusalemme per assistere (come inviata della rivista New Yorker) al processo di Adolf Eichmann, accusato di aver organizzato la deportazione degli ebrei in Europa.

Ciò che conquista lo spettatore è la realistica ricostruzione del processo. A scorrere sullo schermo sono le immagini in bianco e nero del vero Eichmann, le stesse che vide Hannah Arendt dalla sala stampa, mentre fumava le sue sigarette. Ed è proprio dall'osservazione attenta di quell'uomo magro, alto, con lo sguardo mai fisso su un punto che Hannah partorisce l'idea della "banalità del male". La filosofa si rende conto che Eichmann, considerato un mostro non è altro che un uomo privo di qualsiasi autorità e schiavo della mediocrità.

Grazie alla maestria della Von Trotta emerge l'immagine più vera dell'uomo sotto processo, un uomo “col raffreddore”, chiuso in una gabbia, che non si stanca di ripetere:"se mi avessero chiesto di uccidere mio padre l’avrei fatto."

Eichmann eseguiva gli ordini e nel momento in cui i treni partivano il suo compito era finito. E alla domanda posta dal pubblico ministero “Si sente in pace con la sua coscienza?”, il tedesco risponde: “La mia coscienza si fondava su una scissione consapevole. Dovuta a un duro addestramento e all’educazione di una visione del mondo”. Più che l'intelligenza ad Eichmann sembra mancasse la capacità di "immaginare cosa stesse facendo".

Ma la Hannah rivoluzionaria è colei che fa nuovamente discutere sulla tragedia dell'Olocausto, consentendo di puntare i riflettori su un aspetto in parte nascosto. La filosofa ebrea, infatti, solo dopo aver tratto ispirazione dal processo, mette mano alla "Banalità del male", un libro geniale, che rompe con la tradizione e suscita aspre critiche da parte dell'opinione pubblica.

Fu proprio la scrittrice a chiamare in causa le responsabilità di alcuni capi ebraici "accusati di aver in qualche modo non ostacolato la deportazione". E saranno proprio le osservazioni della Arendt a sollevare contestazioni e a suscitare sdegno fra gli intellettuali e fra gli stessi ebrei.

Non è un caso che la Trotta abbia scelto di portare sullo schermo il periodo più difficile della vita di Hannah. Un periodo rivoluzionario in cui trova sfogo il pensiero indipendente della scrittrice, magistralmente interpretata da Barbara Sukova. È lei che, "senza dire una parola, a volte addirittura con gli occhi chiusi riesce a trasmettere il lavoro della mente di Hannah, le sue titubanze, le paure, le gioie."

Siamo di fronte ad un film capolavoro in cui trova spazio la figura illuminante di una pensatrice rivoluzionaria.

 

Maria Vera Valastro- Agenzia Stampa Italia

 

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