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Una giornata particolare al Centro sperimentale di cinematografia.

(ASI) Il cinema di ieri, di oggi e di domani si è incontrato al teatro Blasetti del Centro sperimentale. Una “giornata particolare” (titolo dell’incontro), unica, dal sapore degli anni d’oro del cinema. Registi e attori quali Marco Bellocchio, Carlo Verdone, Giancarlo Giannini, Lino Capolicchio, Valentina Lodovini ma anche noti produttori come Pietro Valsecchi e Riccardo Tozzi e tantissimi personaggi dello spettacolo hanno voluto prendere parte all’inaugurazione dell’anno accademico del Centro sperimentale. La grande famiglia del cinema si è ritrovata accolta dal neo Presidente del Centro, Stefano Rulli che ha esordito con un magnifico discorso.  Una serata in crescendo dove gli ospiti   hanno condiviso una cena, hanno assistito ai filmati degli allievi diplomati con anche una nottata in discoteca (per i più giovani). E’ difficile descrivere l’emozione del Centro, luogo dove ha insegnato De Sica, Soldatri, o dove si è formata la Sophia Loren, Dino De Laurentiis  e tanti altri che sono poi diventati astri. Particolarmente sentito è stato l’intervento del nuovo consigliere di amministrazione, Carlo Verdone, che fin da bambino frequentava quel luogo magico, dal momento che il padre prima fu funzionario e poi  dirigente. L’attore-regista romano ha ricordato a quando fu lasciato per la prima volta ad assistere a delle prove, mentre il padre lavorava e di come fu catturata la sua attenzione di bambino di sei anni, quando calò il silenzio, venne il buio, si accese la luce dei fari e una donna iniziò a spogliarsi;iIl giovane Carlo rimase disorientato, poi qualcuno si accorse della sua presenza e urlò “Ferma! Minore”, egli si spaventò e pianse e la sua prima impressione fu che al Centro c’erano “persone cattive”, un’immagine che di lì a poco avrebbe capovolto, innamorandosi del luogo che fa nascere il vero cinema.

Ci sembra opportuno riportare l’importante quanto bel  discorso del Presidente Stefano Rulli:

Pare che il destino di noi italiani sia quello di restare sospesi nel nulla, gattopardi pronti a rivoluzionare tutto perché niente cambi, ovvero destinati ad essere mostri sempre uguali a se stessi, come i protagonisti del film di Risi. E invece esistono 'giornate particolari' in cui, mentre gli uomini del destino chiamano a raccolta le folle per parate demagogiche e di cartapesta, ci sono persone che, in opposizione a tanta retorica, cercano di parlare sommessamente tra loro della vita vera, dei problemi vissuti sulla loro pelle, del loro lavoro, degli interessi più autentici, dei sogni possibili, e del desiderio di cambiare qualcosa. Abbattere, distruggere, cancellare tutto, tasse, sindacati, partiti, oggi come ieri, genera entusiasmo. Cambiare soltanto, no. Cambiare in Italia è sempre troppo. O troppo poco. E invece è l'unica cosa di cui si dovrebbe parlare. Cose concrete e semplici che racchiudono dentro di sé grandi emozioni e valori, come i gesti e le parole pronunciate dai due indimenticabili protagonisti del film di Scola. Ecco cos'è per me una 'giornata particolare': quella in cui si sente dentro, come una cosa reale, il sogno di poter essere diversi. Proviamo a farlo tutti insieme. Proviamo a sentire come vero che cambiare si può.

E cambiare si deve, perché il mondo è già cambiato, perciò o noi cerchiamo di mutare noi stessi al passo delle trasformazioni in atto o prima o poi ne saremo travolti.

Questo vale anche per il Centro Sperimentale di Cinematografia. Perché nel settore dell'audiovisivo è cambiato tutto in pochi anni: nuove tecnologie hanno soppiantato le antiche, nuovi modi di fruizione -primo tra tutti internet- hanno cancellato la centralità della sala, la narrazione per immagini ha dilatato i suoi confini al punto da far esplodere vecchie gerarchie estetiche legate al mezzo espressivo (la serie a del cinema, la b della televisione, la c del documentario etc.) L'autore è oggi tale a prescindere dal mezzo prescelto per esprimersi, ed è tanto più autore, vitale e autonomo, quanto più è in grado di scegliere di volta in volta linguaggi e modelli narrativi in totale libertà. E dunque è necessario innovare la formazione affiancando -soprattutto per regia, sceneggiatura e produzione- a una solida formazione cinematografica una altrettanto articolata per il documentario e la serialità televisiva. Per questo, d'accordo con il direttore generale, ho deciso nella previsione di bilancio, a parità di budget. di aumentare del dieci per cento le risorse previste per la didattica.

Se esiste dunque l'urgenza di fornire agli autori di domani tutte le conoscenze utili per poter alimentare il proprio talento, non meno importante è affrancarli da un'idea di autorialità che nega l'importanza del contributo creativo degli altri collaboratori artistici. Un film, una serie, o un documentario, si distinguono invece da altre forme artistiche proprio per la specifica condizione di una creatività che si fa sintesi collettiva di diversi talenti. Saper lavorare in gruppo non è solo un ideale astratto, ma un elemento strutturale della narrazione cinematografica e televisiva.

Perciò anche questo elemento deve avere un ruolo decisivo nella didattica. Fare gruppo assieme ai propri compagni di corso significa saper ascoltare ciò che gli altri pensano del tuo lavoro e al tempo stesso garantire loro il bene prezioso delle tue idee e del tuo punto di vista in un confronto dialettico che è una ricchezza per tutti.

Fare gruppo nella realizzazione di un corto o di un documentario, significa saper interagire anche con colleghi di altri corsi nella prospettiva non di una esaltazione narcisistica del proprio ruolo ma di uno scambio che abbia come obiettivo comune la qualità dell'opera. E' perciò giusto riconoscere titolo di autore non solo al regista e allo sceneggiatore ma a chiunque fornisca un contributo creativo decisivo al film, dall'attore al produttore, dallo scenografo al montatore, dal direttore di fotografia al fonico.

In quest'ottica, la relazione docente-allievo può essere letta anche come qualcosa di altro: come confronto tra due generazioni di autori, che attraverso l'esperienza didattica hanno la possibilità di scambiarsi l'un l'altra qualcosa. Perchè, qui più che altrove, insegnare non è solo dare ma anche ricevere. E se è vero che, come responsabili didattici, dobbiamo trasmettere ai giovani le conoscenze che riteniamo necessarie, al tempo stesso dobbiamo saper rispettare la loro personalità, le loro rabbie, i loro disagi e le loro accuse, perché riflettere su queste può essere uno stimolo per rimetterci in discussione e ritrovare dentro di noi nuovi stimoli creativi.

Imparare a 'fare gruppo' vuol dire, a un altro livello, pensarsi non solo come autori dei propri film ma anche come parte di un cinema italiano che, invece di farsi la guerra per qualche metro quadrato in più di potere personale, unisce le sue forze per conquistare leggi, finanziamenti, e modelli produttivi migliori nell'interesse di tutti.

In questa prospettiva mi auguro che il nuovo Centro possa diventare uno spazio di riflessione e confronto aperto a tutti, senza distinzione di sigle o associazioni. Mai come oggi c'è bisogno infatti di un luogo dove interrogarci sul nostro lavoro e sulle sue prospettive, sulla rivoluzione tecnologica in atto che condiziona sempre più l'evoluzione del nostro modo di narrare, ma anche su una crisi di identità che ci riguarda in quanto esponenti di un Occidente sempre più insicuro e confuso. E mai come oggi, a distanza di quasi ottant'anni, appare d'attualità l'idea fondante di questo Centro Sperimentale, sorto non tanto per insegnare i fondamentali di un'arte nuova a pochi allievi, ma per riflettere sulla sua peculiarità estetica, soprattutto in rapporto ad altre forme espressive. Quale è il futuro del cinema dopo la rivoluzione del digitale, cosa resterà del diritto d'autore nell'era di internet, e se -per dirla con Croce- non possiamo non dirci europei, esiste un immaginario che ci accomuna davvero oppure, fatta l'Europa, siamo ancora lontani dal fare gli europei?

Su queste domande ed altre ancora dovremmo tornare a ragionare tutti insieme come artisti e intellettuali, per dare un nuovo orizzonte al nostro operare artistico. E questa riflessione, al di là della Scuola Nazionale, dovrà coinvolgere in egual misura la Cineteca così che, attraverso la rilettura del patrimonio di film italiani che essa è tenuta a conservare, organizzando rassegne ed eventi culturali, ci aiuti a trovare nuovi sguardi sulla nostra identità e sul nostro immaginario. Per questo ho voluto al ruolo di responsabile della Cineteca Nazionale un giovane studioso, Emiliano Morreale, che ha già dimostrato attraverso i suoi libri un modo originale e stimolante di rileggere il nostro cinema del passato, ponendo a se stesso e a noi tutti nuovi interrogativi. Una Cineteca dunque che non tuteli solo il nostro passato ma sappia resuscitarlo a nuova vita, rendendosi sempre più soggetto attivo di proposte culturali rivolte al mondo della scuola, alle Regioni, ai festival di tutto il mondo, e in grado di mettere in sinergia un patrimonio filmico, fotografico e bibliografico assolutamente unico.

Ma altrettanto decisiva come parte attiva di questa riflessione dovrà essere la rivista 'Bianco e Nero', con l'auspicio che -in questo interrogarsi sul futuro del cinema e dei nuovi 'media'- sappia ritrovare un rapporto vivo con un pubblico non solo accademico. E forse le pagine di questa rivista storica potranno accogliere accanto agli interventi della critica anche le riflessioni ' dall' interno' di chi il cinema lo fa, facendo saltare quella sorta di incomunicabilità e sospetto di due soggetti - la critica e gli autori- dal cui confronto aperto e ravvicinato il nostro cinema - soprattutto negli anni migliori, come quelli del neorealismo- ha sempre tratto vantaggio.

Di diritto è da ascrivere a protagonista di questa comune ricerca e di un più ricco rapporto con l'esterno, il settore dell'editoria del Centro Sperimentale nonchè la monumentale 'Storia del cinema italiano' avviata molti anni fa da Lino Miccichè, e di cui sarà mio impegno personale garantire la pubblicazione degli ultimi volumi.

Aprirsi all'esterno significa dunque prima di tutto dire a tutti voi, che del cinema e della televisione siete protagonisti, che questo Centro è casa vostra. Ma vuol dire anche rivolgersi a soggetti istituzionali e non, per costruire assieme delle esperienze sperimentali, che siano al tempo stesso formative e propedeutiche a un accesso non estemporaneo al mondo del lavoro.

In questi miei primi tre mesi al CSC, una delle cose più sorprendenti è stato verificare la disponibilità di molti interlocutori di primo piano a elaborare assieme a noi progetti concreti che vadano in questa direzione. L'Istituto Luce-Cinecittà, nella persona del suo Amministratore Delegato Roberto Cicutto, si è reso disponibile fin d'ora a mettere a disposizione gratuitamente l'intero patrimonio documentario per consentire agli allievi del Centro di realizzare film di repertorio o i loro saggi finali. A nome di Rai Cinema, il direttore Paolo Del Brocco e Carlo Brancaleoni, responsabile tra le altre cose del settore opere prime, si sono proposti di vagliare idee o soggetti di scg, registi e produttori dell'ultimo anno per individuare tra di essi uno che possa essere sviluppato in un film lungometraggio, cui dovranno collaborare come troupe gli allievi del Centro e la CSC production per la produzione. Con la nuova Raifiction di Tinni Andreatta, abbiamo cominciato a immaginare un percorso ideativo che porti ogni allievo, a conclusione del triennio, a elaborare il concept di una serie tv e la Rai a valutarne la qualità ed eventualmente anche la fattibilità rispetto alle sue reti più innovative (dalla nuova Rai2 a Rai4). Sempre con Raifiction si è ipotizzato un progetto di web-series da realizzare con gli allievi, primo embrione di una possibile produzione crossmediale del CSC.

Per non dire dell'interesse del Festival di Roma a progettare assieme una iniziativa permanente per mettere a disposizione del pubblico della capitale il cinema del nostro passato e del nostro presente, degno di attenzione ma invisibile ai più. Anche la Banca Nazionale del Lavoro si è proposta di rafforzare la sua storica vicinanza al cinema italiano giovane ipotizzando un progetto per investire ogni anno una cifra consistente, come tax credit esterno, su un film lungometraggio ideato da uno dei nostri allievi che sta per diplomarsi o è appena diplomato. Se a questo uniamo gli stages già attivati con delle case di produzioni cinematografiche, è facile capire che uno degli obiettivi del Centro sarà d'ora in poi quello di fornire ai nostri giovani occasioni per conoscere da vicino risorse e problemi legati ai committenti reali.

Aprire all'esterno significa anche aprirsi all'Europa: alle sue esperienze didattiche più avanzate, così come a progetti nel campo della formazione, delle cineteche e delle biblioteche, che da troppo tempo ci vedono assenti. Recuperare un ruolo in ambito europeo avrà positive ricadute non solo a livello culturale ma anche nel reperimento di nuove risorse per progetti strategici come quello della digitalizzazione del nostro patrimonio, 80 mila bobine che rischiano di restare inutilizzate nei cellari di via Tuscolana visto che presto la pellicola scomparirà dalle sale cinematografiche di tutta Europa.

Aprire all'esterno sarà altresì un modo per garantire aria nuova all'interno. C'è bisogno infatti non solo di coinvolgere tutte le parti del CSC in un nuovo progetto didattico e culturale ma anche far sì che ognuna di esse sia informata sulle attività svolte dalle altre. Sarà utile in questo senso creare una newsletter che informi periodicamente dirigenti, lavoratori, docenti e allievi sullo stato delle cose, così che ognuno possa esprimere in merito domande, idee, proposte, nella consapevolezza di contribuire in questo modo alla costruzione di momenti decisionali che riguardano tutti.

In questa ottica massima sarà la mia apertura all'informazione e al confronto con il coordinamento dei docenti e degli allievi, con tutte le associazioni di categoria e con i sindacati, con i rappresentanti dei partiti e i parlamentari delle commissioni cultura, con le Regioni e con il Ministero dei beni e delle attività culturali, nella certezza che lo spirito di collaborazione sarà favorito dal comune interesse per lo sviluppo del Centro Sperimentale e delle sue attività. Per i responsabili culturali delle Regioni che finanziano, pur tra le mille difficoltà del momento, le nostre sedi del Piemonte e della Lombardia, dell'Abruzzo e della Sicilia, è a mio parere giusto prevedere occasioni di periodica consultazione per affrontare tutti assieme le scelte che riguarderanno questi nostri centri, a prefigurare una struttura del CSC, anche se non ancora federativa, di certo meno centralistica.

Cambiare, dunque. Cambiare davvero. Senza tagliare teste ma anche senza rassegnarsi a un compromesso qualunque. Cambiare, giorno dopo giorno, seguendo un progetto. Con pazienza, caparbietà, ironia e passione. Cambiare il senso delle cose. Cambiare noi stessi”.

Daniele Corvi – Agenzia Stampa Italia

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