Infezioni nosocomiali: l’Ospedale e le sue acrobazie per la prova liberatoria.

giustizia copy copy copy(ASI) Perugia - Il 4 novembre 2019, per i tipi della rivista giuridica Ridare, è uscito un interessantissimo articolo di Mariachiara Vanini, che tenta, riuscendovi, di fare il punto della situazione in tema di infezioni nosocomiali.

Partendo da impressionanti dati statistici relativi al triennio 2008/2010, dai quali apprendiamo che le infezioni nosocomiali contratte ammontavano a circa 2.269.000 unità, la Vanini ci guida attraverso le principali complessità giuridiche della materia, con particolare attenzione al regime probatorio.

Il punto di partenza è lo stato dell’arte nel panorama giudiziario italiano che, con una serie costanti di arresti, ha chiarito quali debbano essere i criteri per identificare la responsabilità nel caso che un paziente contragga un’infezione ospedaliera.

Com’è noto, per la dottrina e la giurisprudenza maggioritaria del Bel Paese, in àmbito di responsabilità da infezioni nosocomiali, va applicato l’art. 1218 del codice civile, il quale prevede che, quando una parte di un contratto si ritenga danneggiata dall’altra, possa dimostrare il danno e che questo gli derivi dall’inadempimento. Si tratta di un’agevolazione che la legge riconosce quando due parti sono vincolate tra di loro da un rapporto contrattuale, favorendo quella che si ritenga danneggiata.

Nel caso delle infezioni contratte in nosocomio il paziente può chiedere il risarcimento allegando di aver preso la malattia in Ospedale e addossando la colpa a quest’ultimo che, però, è ammesso a difendersi fornendo una prova tutt’altro che facile: può, infatti, dimostrare che il paziente fosse già infetto o che non ha preso l’infezione a causa sua o che il contagio sia di quelli imprevedibili o inevitabili.

C’è da dire che, in base ad un recente orientamento giurisprudenziale, anche l’attore dovrebbe fornire un apparato probatorio maggiormente approfondito ed allargato, dimostrando che non aveva precedenti infezioni, che ha seguito tutte le indicazioni dei medici e che, in sostanza, vi sia nesso causale tra l’infezione ed il comportamento colposo dell’Ospedale.

Certamente una siffatta impostazione appare eccessivamente severa nei confronti del danneggiato, anche perché egli non ha accesso a tutte quelle informazioni che sono, invece, a semplice disposizione della struttura.

A confortare la scelta di maggiore carico per l’Ospedale è ora intervenuto anche il legislatore che, con la legge Gelli Bianco, ha diviso nettamente l’onere probatorio in base all’attribuzione di responsabilità. Se si chiede, infatti, il risarcimento alla struttura, sia essa pubblica sia privata, si applicherà l’art. 1218 del codice civile, con il favore e le agevolazioni per l’attore, se s’intende agire nei confronti del medico, si applicherà l’art. 2043 del codice civile, che prevede la piena prova della colpa a carico di chi accusa, con notevole favore, quindi, per il medico.

L’autrice, poi, passa in rassegna le sentenze più significative sull’argomento, scoprendo come, per i principali Tribunali italiani, gli Ospedali non hanno vita facile a dimostrare la loro estraneità nel campo delle infezioni. I giudici, infatti, per riconoscere la prova liberatoria, richiedono dei requisiti oggettivi precisi, quali il controllo sull’operato del personale ospedaliero, l’adozione di protocolli e linee guida in materia di infezioni, l’indicazione precisa, in cartella clinica o nei referti successivi, delle procedure adottate per evitare il contagio e così via. Ecco perché appare quanto mai indispensabile ed auspicabile, a carico delle strutture, l’adozione di ogni cautela per evitare il propagarsi delle infezioni nosocomiali, a partire dalla corretta tenuta delle cartelle cliniche, troppo spesso lacunose sulle procedure messe in atto in fase di cura dei pazienti. In ultima analisi la Vanini analizza la previsione della Suprema Corte di Cassazione, che ribadisce, come linea guida per il giudice che si troverà nuovamente a decidere, l’importanza di valutare con particolare attenzione al caso concreto, di volta in volta posto all’attenzione della Curia.

In conclusione l’autrice propone, de jure condendo, una soluzione per tutte quei casi infettivi ove non vi sia responsabilità dell’ente, suggerendo l’istituzione di un Fondo che possa indennizzare e non risarcire, tutte le vittime di infezioni nosocomiali senza la colpa del medico o della struttura.

Francesco Maiorca – Agenzia Stampa Italia

 

 

 

 

 

 

 

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