A proposito delle radici religiose d'Europa

260px Siliqua Eugenius trier RIC 0106d copy (ASI) Roma - Le basi dell'affermazione della Chiesa come istituzione politico - religiosa ecumenica universale si posano fra il 380 d.C. e il 394 d.C., allorché l'Imperatore romano Teodosio I rende il Cristianesimo religione di Stato ufficiale dell'Impero, arrivando a proibire i culti della religione tradizionale che per pressoché mille anni erano stati il fondamento ideologico su cui si è basata la nascita, l'ascesa e l'affermazione del potere della Res Publica romana e del suo impero.

Questo atto di Teodosio, soggiogato in Occidente dal Vescovo Ambrogio di Milano, segna il definitivo strappo tra l'equilibrio politico - religioso su cui si basava la politica di potenza romana della "Pax Deorum" della antica repubblica consolare e del principato augusteo, rispetto all'accentramento dispotico del potere nel dominato che si era venuto sempre più ad affermare dal III secolo e che nel cosiddetto basso - impero aveva allontanato sempre più la società civile dalle istituzioni imperiali.

Infatti, se per alcuni il pagano diventa semplicemente il seguace di una religione diversa dal Cristianesimo (fatta eccezione per l'Ebraismo), oppure l'abitante del villaggio, del paese, secondo altri il pagano stava ad indicare il "civile", cioè il borghese, da distinguersi dai militari, tra le cui fila, i culti orfeici, misterici, salvifici e monoteistici orientali che si diffusero a Roma dal II secolo d.C. (da cui il Cristianesimo ha preso alcuni dei suoi riti, simboli e miti) erano molto sentiti.

Questa manovra che voleva rafforzare soprattutto la coesione interna mettendo un po' di ordine alla miriade di culti che c'erano all'interno dell'ecumene romano e la fedeltà dell'esercito all'imperatore in un momento di forte difficoltà, di marasma generale e di pericolo con i barbari che premevano alle porte, in realtà si dimostrerà un elemento di rottura che se permetterà di far sopravvivere la parte orientale dell'Impero per oltre mille anni, contribuirà in modo determinante alla caduta in pochi decenni della parte occidentale e al progressivo esaurimento del ruolo di potenza universale dell'impero che a partire dall'VII - VIII secolo comincerà a perdere progressivamente la supremazia nel Mediterraneo, a favore dei califfati islamici, poiché l'avvento della nuova religione ufficiale cristiana con la forza d'imperio dello Stato rappresenta la fine della tolleranza religiosa tipica dell'Impero Romano che col suo "phanteon" degli Dei aveva sempre incluso i nuovi culti delle popolazioni che via via venivano assimilate in quelli dello Stato Romano, fatta eccezione ovviamente per quelle religioni che negavano la possibile convivenza con altri culti o che creavano disordini, o che avevano riti troppo efferati o contrari alla morale pubblica, come ad esempio il monoteismo più radicale, o la danza dionisiaca orgiastica della Sicinnide. La tolleranza religiosa dipendeva dal sincretismo che Roma aveva ripreso dall'Ellenismo.

A tal proposito, ora vedremo brevemente come, a meno di un secolo dall'Editto di Milano di Costantino e Licinio ( del febbraio 313 d.C.) che permetteva libertà di culto a tutte le religioni, il Cristianesimo sia diventato religione ufficiale dell'Impero, come si sia giunti al divieto di qualsiasi forma di culto tradizionale romano, e a quali conseguenze ha portato fino ai giorni d'oggi questa scelta epocale e come si sta evolvendo la situazione in questo scorcio di nuovo millennio (il terzo dell'Era Cristiana e a 2772 anni " ad urbe condita", cioé dalla fondazione di Roma).

L'atto decisivo che ha portato alla fine di qualsiasi possibilità di restaurare il culto tradizionale romano a religione di Stato, è sicuramente la Battaglia del fiume Frigido (Frigidus in Latino), svoltasi sulle sponde di questo affluente dell'Isonzo sul versante sloveno delle Alpi Giulie che storicamente spalanca le porte per le invasioni d'Italia da nord - est, il mattino del 5 settembre 394 d. C., fra due eserciti, entrambi “romani” di nome, ma, in realtà, ampiamente barbarizzati, ciascuno di circa 50 mila uomini, il fior fior dell'esercito da campo mobile della parte occidentale dell'Impero Romano, contro quella orientale. Ad Occidente l'usurpatore del trono imperiale Flavio Eugenio, spalleggiato dal generale di origine franca Arbogaste e dall'altra il più o meno legittimo imperatore Flavio Teodosio con il suo generalissimo Stilicone. L'esercito occidentale si avvaleva di ausiliari franchi, mentre quello orientale di ausiliari goti che addirittura arrivavano a pareggiare il numero del contingente romano orientale, non ancora ripresosi totalmente come numero di effettivi dalla pesantissima sconfitta di Adrianopoli di quattordici anni prima (378 d.C.) proprio ad opera dei Goti.

A prima vista, questo scontro bellico poteva sembrare semplicemente una delle tante lotte di potere fra pretendenti alla porpora imperiale, come avveniva troppo spesso nel Basso Impero dal III secolo in poi, ma, in verità lo scontro ha un valore epocale, perché sulle rive del Frigido per l’ultima volta nella storia del mondo antico si affrontano un esercito pagano ed uno cristiano, decidendo di fatto quale delle due religioni sarebbe stata quella ufficiale dell'Impero Romano dalla Bretagna alla Siria, ma contribuendo anche a debilitare ancora di più le forze armate di campo dell'Impero in un momento di importante bisogno.

In una posizione sopraelevata strategicamente favorevole c'è l’esercito dell'Imperatore d'Occidente Flavio Eugenio, ex "magister scrinii", cristiano moderato (proclamato imperatore dal generale pagano di origine franca Arbogaste dopo l'assassinio del giovane Valentiniano II il 15 maggio del 392 d.C.) che ha revocato i provvedimenti anti pagani, ridando ai templi i contributi statali, facendo ricollocare l’Altare della Vittoria nell’aula del Senato Romano, revocando il divieto e la limitazione alle pratiche dell’antico culto, non per perseguitare i Cristiani, ma semplicemente per restaurare quel clima di tolleranza religiosa, che era stato possibile fino a Valentiniano I (364 al 375 d.C.), funzionale al loro progetto di egemonia imperiale, contraria all'intransigenza cristiana della dinastia di Teodosio, politica ben gradita dalla corrente pagana che in maggioranza dominava ancora fra i membri del Senato e fra i funzionari pubblici.

Dall’altra parte, proseguiva la sua marcia a tappe forzate verso l'Italia l’esercito di Teodosio I, paladino dell'ortodossia cristiana cattolica, nemico sia dei pagani che degli ariani, partito a giugno da Costantinopoli col pretesto di vendicare la morte di suo cognato Valentiniano II e di restaurare l’unità dell’Impero.

Teodosio, era largamente influenzato nelle sue scelte dalla carismatica figura del vescovo Ambrogio di Milano, che per due volte gli aveva già imposto il suo volere, umiliandolo, facendogli rimangiare l’ordine di ricostruire la sinagoga di Callinico sull’Eufrate a cura e spese dei Cristiani che l'avevano distrutta e imponendogli una penitenza pubblica per la strage di Tessalonica del giorno di Natale del 390 d.C..

Teodosio, contravvenendo alla consueta tolleranza religiosa degli Augusti romani, vieta nel febbraio del 390 ogni culto pagano anche in forma privata e incruenta, nell’estate dello stesso anno fa distruggere il tempio di Serapide ad Alessandria d’Egitto, infine nell’aprile del 392 ritira un suo precedente provvedimento che vietava ai monaci che con la loro oratoria fomentavano disordini, di risiedere nelle città.

La battaglia, sul cui esito scrive dettagliatamente lo storico Corrado Barbagallo, inizia il 5 settembre 394 con l’attacco dell’esercito di Teodosio con le insegne del Cristo che viene facilmente respinto in virtù della posizione in alto di vantaggio strategico dei reparti di Arbogaste con vessilli di Ercole e statue di Giove che ordina di contrattaccare l’esercito orientale con una veloce manovra di aggiramento che però non porta alla distruzione del nemico. Ciò non avviene solo perché il reparto dell'esercito occidentale, sulla cui manovra il generale Arbogaste conta, si lascia corrompere e permette, così, alle truppe di Teodosio di ritirarsi in ordine.

Il 6 settembre, gli storici cristiani raccontano che Teodosio da una altura visibile ad entrambi gli schieramenti in campo, si mise ad invocare il Dio dei Cristiani per la vittoria. A questo punto, si narra che polvere sollevata dal fortissimo vento di bora che spira spesso in quelle zone carsiche, accecò l’esercito occidentale di Flavio Eugenio ed Arbogaste che era controvento e non riusciva né a manovrare, né a colpire da lontano il nemico, così alla fine fu sconfitto e annientato. Come usanza romana repubblicana, i suoi comandanti militari, tranne l'Imperatore d'Occidente Flavio Eugenio, preferirono l'onore di perire sulla loro spada piuttosto che l'onta di finire nelle mani del nemico: si tolsero la vita il Console Flaviano che comandava uno dei corpi dell’esercito di Occidente e Arbogaste che in fuga sulle montagne, vedendo che non aveva scelta, non accettando la clemenza di Teodosio per il suo valore militare, preferì togliersi la vita due giorni dopo pur di non finire nelle mani del nemico. Eugenio, invece, fatto prigioniero, fu condotto con le mani legate dietro la schiena al cospetto di Teodosio e decapitato dai soldati, poi secondo quanto racconta lo storico greco Zosimo, la sua testa fu conficcata su un'asta e mostrata in bella vista a tutti nel campo militare.

Alla fine, dunque, grazie al tradimento di un reparto e alle condizioni climatiche favorevoli vinse ancora una volta il labaro cristiano di Teodosio che vantò l'onore di essere l'ultimo imperatore che governò l'Impero Romano unito da Occidente ad Oriente, dalla Britannia al Medio Oriente. Ma, la vittoria oltre che a livello ideologico, comportò pesanti conseguenze negative per l'Impero a livello militare e difensivo, sia per la perdita di migliaia di soldati, sia per il danneggiamento delle fortificazioni difensive "Claustra Alpium İuliarium" nella zona alle porte d'İtalia, al confine fra la Regio X Venetia et Histria, Pannonia e Norico, attraverso cui passarono tutte le grandi invasioni barbariche del V secolo, cioè i Visigoti e gli Unni.

Da questo momento crebbe a tal punto l'intolleranza religiosa del regime instaurato da Teodosio che l'Altare della Vittoria di Augusto (oggetto della disputa politico - teologica fra il cristiano Vescovo di Milano Ambrogio e il pagano Prefetto dell'Urbe Simmaco sull'importanza o meno della sua collocazione nella sede del Senato Romano sotto i predecessori di Teodosio, gli Augusti Graziano e Valentiniano II che avevano abbandonato la carica di Pontefice Massimo, iniziando la politica pro cristiana della dinastia), simbolo del culto e della potenza dell'antico Stato romano caro agli Dei, fu tolto e scomparse per sempre, forse distrutto, fu spento il fuoco sacro di Vesta e profanato il suo tempio dove vivevano le sacerdotesse vergini vestali che distrussero o forse nascosero per sempre il Palladio di Troia nel 394, portato secondo leggenda in riva al Tevere da Enea, simulacro ligneo che secondo la mitologia greco - romana aveva il potere di difendere la città. A tal proposito, si narra che Serena, la moglie del Generale Stilicone, nipote di Teodosio I, nel 401 profanò il tempio della Dea Vesta rubando la collana che ornava la statua di Rea Silvia, madre di Romolo e Remo, mitici fondatori della città, subendo la maledizione di una vecchia vestale rimasta nel tempio che secondo lo storico Zosimo, colpì Serena e la sua famiglia, considerando quale sorte toccò a Stilicone pochi anni più tardi il 22 agosto 408, fatto decapitare dall'Imperatore Onorio, figlio di Teodosio, accusato di alto tradimento per la mancata pronta reazione delle truppe romane nell'arginare le invasioni barbariche sul confine del Reno e di voler usurpare il trono imperiale. Nel 391 d.C., i monaci che Teodosio aveva allontanato e poi riammesso nelle città per volere del Vescovo di Milano Ambrogio, guidarono le masse popolari cristiane di Alessandria d'Egitto alla distruzione di uno dei massimi monumenti della cultura antica, il Serapeion con la sua importantissima biblioteca, poiché dedicato a Serapide divinità sincretica ellenistica, edificato nel III secolo a.C. da Tolomeo III. A questo grave atto seguì la morte sopraggiunta dopo atroci torture della filosofa neoplatonica e sacerdotessa Ipazia sempre ad Alessandria d'Egitto, sempre per mano dei Cristiani nel 415 d.C. che sempre in quegli anni inaugurarono il rogo per gli eretici.

Anche il sacco di Roma del 410 a opera ei Goti di Alarico colpì prevalentemente i templi pagani dell'antica capitale dell'Impero che se diventata per convenienza cristiana in superficie, era nel profondo del cuore suo sempre pagana. Anzi, i colti pagani vedevano nel sacco proprio la collera degli antichi dei abbandonati e oltraggiati che avevano protetto fino a quel momento la Res Publica romana.

Nella fine della religione ufficiale dello Stato romano, non c'è solo il cambio dell'assetto politico che non tornerà come prima (perché dopo Teodosio si smembrerà per sempre l'Impero creato da Ottaviano Augusto con il fondamento ideologico della sua sincretica "Pax Deorum"), ma siamo di fronte ad un vero e proprio cambio epocale, con la distruzione e la perdita di gran parte della cultura antica che nel corso dei primi secoli del Medioevo è stata cancellata o arrivata a noi secondo le interpretazioni e le censure fatte prima dai monaci amanuensi e poi dagli umanisti rinascimentali.

Da quel momento, il Paganesimo che era l'ideologia su cui si fondava lo Stato Romano e il fondamento culturale e scientifico del mondo antico, cessò di essere una forza organizzata, ma sopravvisse nella cultura e nei singoli riti arcaici dei villaggi e nelle campagne; così il Cattolicesimo per affermarsi come religione universale dovette poi nel Medioevo assimilare tali credenze, culti e riti tradizionali, riprendendo il sincretismo delle religioni pagane, facendo corrispondere ad ogni divinità antica un Santo protettore o una Santa protettrice.

Dunque, possiamo ben dire che dietro le radici cristiano - giudaiche che hanno caratterizzato la tradizione religiosa europea degli ultimi 1500 anni circa, c'è un fondamento pagano che costituisce anche esso parte del Dna della tradizione culturale del Vecchio Continente.

Pertanto, oggi che stiamo vivendo un nuovo cambiamento epocale con la "Globalizzazione" e il suo relativismo culturale che sta mettendo in crisi i dogmi delle religioni abramitiche, potrebbe esserci in un futuro neanche troppo lontano, la rinascita di un nuovo politeismo sincretico, cioè una nuova tolleranza, commistione e unione fra più culti, riti e simboli che rappresentano una stessa comunità e divinità universale, fondamento ideologico dell'attuale tentativo di costruzione di un nuovo impero ecumenico mondiale. Segni di ciò sono già nella visione privata e individuale della religione nella società capitalistica americana o cinese, ma anche nella situazione della Chiesa Cattolica dopo il Concilio Vaticano II con una miriade di realtà che a volte hanno in comune solo il riconoscimento dell'autorità del Pontefice di Roma. Se ciò che viene teorizzato si realizzasse, sarebbe idealmente la rivincita della Roma dei Cesari su quella dei Papi. Corsi e ricorsi della storia.

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Nella foto moneta con effige di Flavio Eugenio, ultimo imperatore che difese il paganesimo (tratta da Wikipedia).

 

Cristiano Vignali - Agenzia Stampa Italia

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