Dura Lex. Ancora buche sul marciapiede.

legge copy(ASI) Il Tribunale di Milano ha accolto la domanda risarcitoria di una donna che, nei luoghi da lei abitualmente frequentati, inciampa in una buca sul marciapiede non segnalata, si procura delle lesioni fisiche e, all’esito della malattia, dei postumi permanenti. Il Comune, soggetto passivo dell’azione di risarcimento della signora, in quanto per legge tenuto alla manutenzione delle strade del tessuto urbano, chiedeva il rigetto delle pretese, perché la malcapitata conosceva bene la strada, il marciapiede ed ergo, anche la buca.

 

I giudici meneghini, però, non sono stati della stessa opinione e, fondandosi su due precedenti importanti della Corte Suprema di Cassazione, Cassazione civile n. 22604/2009 e Cassazione civile n. 7403/2007, hanno ribadito, in modo chiaro e sintetico, che le ragioni dell’Ente comunale non meritavano pregio, per diversi ordini di motivi.

In base alla prima delle due sentenze citate, la strada pubblica non può essere equiparata ad un’area privata, come quella condominiale, circoscritta e conoscibile dai fruitori, per esempio.

La corte milanese ribadisce che nel nostro ordinamento non esiste una norma che importi l’obbligo del cittadino di conoscere a menadito ogni difformità del manto stradale, anche se trattasi di anomalie presenti nelle vicinanze della propria abitazione o dei luoghi abitualmente frequentati per motivi di lavoro o svago.

Anzi. In ossequio alla prima delle due sentenze citate, sussiste un obbligo da parte del proprietario o custode della strada a mantenerla in un corretto stato. Emerge, infatti, dall’arresto della Suprema Corte che: “il cittadino nutre un’ovvia aspettativa in ordine alla regolarità del manto stradale”, soprattutto quando il dissesto non viene neppure indicato con apposita segnaletica.

Le difese dell’Ente territoriale vengono rigettate anche per un secondo impianto motivazionale, in base alle argomentazioni della seconda sentenza degli Ermellini. La sentenza milanese riflette sul fondamento giuridico della domanda risarcitoria che, correttamente, viene impostata sull’art. 2051 del codice civile. A norma di tale previsione il danno prodotto da una cosa, la res, va risarcito da chi aveva la custodia sull’oggetto, a meno che provi il caso fortuito. Per antica tradizione giuridica, che la legge si è guardata bene dall’esprimere apertis verbis o dal rifiutare, per caso fortuito s’intende l’evento imprevedibile prodotto da forza maggiore, la colpa di un terzo estraneo o la colpa dello stesso danneggiato.

I vantaggi di chiedere il risarcimento ai sensi dell’art. 2051 consistono nell’inversione dell’onere della prova. In sintesi potremmo affermare che al danneggiato basta dimostrare di aver subito un danno prodotto dalla cosa custodita dal Comune, per esempio. Questo consente di evitare l’impianto probatorio ordinario, costituito dall’art. 2043, in base al quale chi lamenta un danno deve dimostrare la colpa del danneggiante.

Secondo i giudici meneghini, ai sensi dell’art. 2051, vi è la presunzione ex lege di responsabilità nei confronti dei custodi della strada. Inutili, a questo punto le difese del Comune, che invocava altra giurisprudenza, a loro favorevole. Secondo questo orientamento l’Ente pubblico non può essere chiamato a rispondere quando l’area da custodire sia particolarmente estesa, in quanto ad impossibilia nemo tenetur. Ma nel caso di specie la corte ha ritenuto applicabile l’interpretazione secondo la quale nella rete urbana non può invocarsi la particolare estensione e che la difformità o la degenerazione, debba essere stata repentina non consentendo un intervento riparatore. A convincere maggiormente i magistrati anche la particolare insidiosità della buca. Di piccole dimensioni, nascosta e poco visibile. Una vera trappola insomma.

Francesco Maiorca – Agenzia Stampa Italia

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