Dura Lex. La Cassazione e l’estate di san Martino ovvero i topolini hanno partorito l’elefante.

(ASI) Il danno non patrimoniale è salito agli onori della cronaca con le sentenze gemelle della Cassazione dell’11 novembre 2008. Le note pronunce di san Martino, hanno contribuito a sistemare una branca della responsabilità civile in modo organico, facendo chiarezza sui molteplici pregiudizi che all’epoca erano in vigore.

Non parliamo, chiaramente, di danni espressamente previsti e catalogati dalla legge in modo preciso e puntale. Parliamo del frutto di un’elaborazione che ha visto il poderoso contributo della prassi, della dottrina e della giurisprudenza. Le sentenze della Suprema Corte, contrariamente a quanto si pensi, non hanno cancellato o eliminato alcuni danni, come quello esistenziale, ma hanno portato a considerare quelle che erano voci singole e cumulabili, come componenti dell’unico danno non patrimoniale, facendo salvo, ovviamente, quello patrimoniale, inteso come pregiudizio avente natura prettamente economica fin dal suo inizio. Dopo i predetti arresti degli Ermellini, non è stato più possibile fare la somma dei diversi danni, considerati spesso anche quale frazione matematica o percentuale gli uni degli altri, penso a quello morale, calcolato frequentemente in percentuale al danno biologico, ma si è dovuto ricorrere al concetto di unitarietà, che comprende in sé tutti i danni, qualora esistenti. Per fare un esempio della vita quotidiana pensiamo ad un sinistro stradale con lesioni permanenti di lieve entità. Prima delle sentenze un avvocato avrebbe chiesto il biologico, il morale (trattandosi del reato di lesioni colpose) ed il danno esistenziale (perché il soggetto danneggiato non ha potuto svolgere le normali occupazioni della vita per tutta la malattia ed in seguito agli esiti permanenti delle lesioni). Il legale avrebbe richiesto singolarmente ognuno di questi danni, facendo la somma matematica dell’equivalente in denaro. Dopo le pronunce di San Martino non è stato più possibile procedere a questi automatismi. Innanzitutto il danneggiato deve adesso dimostrare i singoli pregiudizi subiti, non potendo ricorrere alle presunzioni sic et simpliciter. È vero che una lesione di lieve entità rimane un reato, ma è anche vero che spesso non comporta quella sofferenza intensa e transeunte che potrebbe connotare il subire un reato di percosse davanti a persone che si conoscono e s’incontrano ogni giorno, magari al posto di lavoro. In secundis non si può ora sommare semplicemente le voci di danno, ma bisogna considerare che essi sono solo aspetti dell’unica compromissione non patrimoniale e che sarà possibile sottolineare l’esistenza delle diverse componenti. Potremmo fare l’esempio dell’incidente stradale causato da soggetto in stato di ebrezza, che abbia causato gravi lesioni, non abbia soccorso lo sventurato danneggiato, che nella vita, come hobby, si dedicava con grande profitto e successo, ad uno sport amatoriale ad alto livello. In casi come questo la Cassazione ci dice, con gli arresti in questione, che è possibile provare seriamente tutte le circostanze del fatto e procedere ad una severa personalizzazione del danno, che tenga conto di tutti questi elementi della concreta fattispecie.

Non più, quindi, risarcimenti in formato lista della spesa, ma danni rigorosamente provati ed argomentati in modo tale da comporre quel danno che si distingue dalla perdita economica pura e si compone di quel pregiudizio che si preoccupa della componente affettiva, spirituale, emotiva, relazione, biologica e culturale della vita umana.

Francesco Maiorca – Agenzia Stampa Italia

 

 

Fonte foto: Sergio D’Afflitto [CC BY-SA 3.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0)], via Wikimedia Commons

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