La rivolta della Tradizione contro il mondo moderno. Intervista al professore Renato Del Ponte.

delponte1(ASI) Perugia – Per Agenzia Stampa Italia ci troviamo a Gualdo Cattaneo, in provincia di Perugia, dove si è tenuto il IV Campo Italico: un raduno culturale di due giorni, nel quale sono state trattate tematiche inerenti a Roma e alla Tradizione italico-romana.                                                                                                                     Il Campo Italico è stato organizzato dall’associazione culturale “Il Solco della Tradizione”. Importante ospite di questa quarta edizione è stato Renato Del Ponte, il quale ha tenuto una conferenza dal titolo “Indigitamenta: nuove ipotesi interpretative e proposte di ricerca”. Storico e docente italiano d’impostazione tradizionalista e negli anni ’80 cofondatore del Movimento Tradizionale Romano, il professore Del Ponte è un’autorità nella storia delle religioni e in particolare della Tradizione romana. Ha scritto molti libri tra cui Dei e miti italiciLa religione dei romani che avrà una seconda ripubblicazione per l’edizioni Arya di Genova, Evola e il magico gruppo di URNella terra del drago e molti altri.

 

Professore Del Ponte, da studioso delle vie tradizionali ci spieghi, brevemente, che cos’è la Tradizione e, più specificatamente, che cos’è la Tradizione italica.

Renato Del Ponte: «La Tradizione, semplicemente, è la fedeltà ad un ideale dei nostri antenati: cioè seguire la via indicata dai nostri antenati. La Tradizione italica, o meglio la Tradizione italica e romana, è quella che accumuna tutti i popoli d’Italia nel nome della civiltà di Roma, nella fedeltà ad un ideale religioso. Un ideale religioso che si può sintetizzare nell’onoranza di un certo patto che è stato stabilito, alle origini, tra il fondatore di Roma, vale a dire Romolo, e determinati Dei della stirpe italica. Questi Dei sono: innanzitutto Giove – Giove Ottimo Massimo – che ha dato il riconoscimento a Romolo come primo re di Roma, da cui tutto il resto è seguito; Vesta la custode del focolare – il Fuoco sacro –; Marte il Dio della guerra che è anche il Dio dei campi, della difesa dei campi, venerato dai Fratelli Arvali i quali sono un importante e il più antico collegio religioso di Roma; Giano il Dio primigenio che da sempre risiede nel Lazio; e da una serie di altre divinità che rappresentano il corteggio degli Dei: vale a dire i dodici Dei consenti che siedono, secondo la Tradizione, in un consesso divino e sono all’obbedienza del Dio del cielo, ovvero Giove. Seguire la Tradizione romana vuol dire essere fedeli a questo ideale religioso.».

 

Lei, professore, ebbe anche l’onore di conoscere quello che può essere definito il più importante studioso e filosofo della Tradizione in Italia e in Europa del ‘900, ovvero Julius Evola. Ci racconti il suo incontro con Evola e le collaborazioni che ne nacquero.

Renato Del Ponte: «Quando studiavo all’università, ero studente e militante del FUAN (Fronte Universitario d'Azione Nazionale, movimento politico universitario vicino al Movimento Sociale Italiano; ndr), decisi ad un certo punto, suggestionato dalla lettura delle opere di Evola – preciso che allora si era negli anni ’60 e poche opere di Evola potevano circolare, oggi si possono trovare pressoché tutte –, di fondare un Centro Studi Evoliani e dopo aver ottenuto alcuni risultati decisi di consultare direttamente Evola per esporgli i risultati del mio lavoro. Quindi non contattai immediatamente Evola, prima lavorai sul campo, soprattutto nella diffusione dei libri e delle opere dello stesso Evola, cerando anche di mettere in pratica, per quando i limiti umani lo consentissero, determinate dottrine elencate nei libri di Evola – mi riferisco soprattutto a La Dottrina del Risveglio –, dopodiché fu fatto il grande passo di andare a trovare Julius Evola. Gli scrissi una prima lettera nel 1969, ma andai a trovarlo soltanto nel 1971, vale a dire dopo che il lavoro si era già sviluppato con il nostro Centro Studi Evoliani. Evola è stato dipinto da Adriano Romualdi come una persona certamente generosa ma un po’ scostante, nella realtà dei fatti non era così. Era un uomo di una grande generosità, disposto a ricevere chiunque si presentasse – devo dire anche gente non degna, ma chiaramente in questo caso la prima visita sarebbe stata l’ultima –, era un uomo che già dal primo incontro poteva capire chi aveva davanti, e in base al suo giudizio stabiliva se il rapporto sarebbe continuato. Nel mio caso fui fortunato e il rapporto si snodò per tutto il resto della vita di Evola la quale fu purtroppo breve, perché come è noto Evola morì nel giungo del 1974. Dopo di allora, mantenendo un giuramento che io avevo fatto a me stesso, cercai di fare rispettare le ultime volontà di Evola. Ovvero che Evola fosse cremato – e la cosa avvenne in un cimitero proprio a pochi chilometri da qui, in Umbria, vale a dire a Spoleto, ove fu cremato in un antico forno crematorio con legno di quercia, come si usava nell’antichità – e successivamente io fui del gruppo che trasportarono le ceneri di Evola sul Monte Rosa un mese dopo. Alla fine di agosto del 1974 le ceneri di Evola furono trasportate fino al Colle del Lis, vale a dire quasi al confine italo-svizzero, e sprofondate in un crepaccio all’altezza di circa 4.100 metri. E io, come ho già detto, fui tra coloro che accompagnarono le guide e che portarono a perfetta esecuzione le ultime volontà. Successivamente, dopo la morte di Evola, il Centro Studi Evoliani chiuse la sua attività, ma in compenso se ne aprirono molto altre tra cui soprattutto è da segnalare nel 1972, con Evola ancora vivo, la rivista Arthos che tutt’ora continua, e un’infinità di altre iniziative.».

 

Negli anni della tremenda lotta politica in Italia, che vanno dalla fine degli anni ’60 agli inizi degli anni ’80, il pensiero di Evola diviene un monito, un riferimento per la destra nazionalpopolare. Detto ciò vorremmo sentire direttamente da lei, che ha vissuto in prima persona quegli anni, quanto il pensiero di Evola sia stato importante per portare la destra italiana del secondo dopoguerra da posizioni neofasciste, o comunque meramente nostalgiche, a posizioni nuove e realmente alternative.

Renato Del Ponte: «Il contributo di Evola è stato certamente importante, però è stato importante soltanto, devo dire, per poche personalità. E’ vero, ci fu un’influenza all’inizio su vaste masse di giovani del pensiero nazionale, ma non ebbe nessuna influenza sui quadri dirigenti dei partiti allora esistenti. Tant’è vero che l’ultimo – sciagurato! – segretario del Movimento Sociale Italiano, vale a dire – inorridisco a citare il nome – Gianfranco Fini, che accolto in Israele arrivò a dire, rispondendo alle domande di un giornalista che gli chiedeva «Come la mettiamo con Evola?», e lui rispose «Se io sono qui non può esserci Evola». A me, invece, è capitato di dire, nel corso di una conferenza su Evola, «Se io sono qui è perché non c’è Fini». Questo per dire che l’influenza è stata notevole, ma non ha influito purtroppo sulle classi dirigenti. Il pensiero di Evola è stato demonizzato, da parte della sinistra o dei giornali borghesi, al punto tale che ancora oggi è difficile riuscire a parlare ad un pubblico che non sia nostro. In compenso, però, la produzione e la stampa delle opere di Evola non ha mai avuto uno sviluppo così grande come in questo periodo. Si ristampano continuamente le sue opere, si vendono, l’autore si legge e si diffonde sempre di più. Però sempre sottotraccia.».

 

Come sappiamo, però, la destra nazionalpopolare rinnovata dal pensiero evoliano non è riuscita – come direbbe Julius Evola – a “cavalcare la tigre”. Ovvero non è riuscita né a fronteggiare quel “mondo moderno” che poneva come suo nemico, né tantomeno a cambiarlo. Altresì divenendo una forza marginale nella politica e nella società nostrana odierna. Dunque, professore, in un mondo dove la globalizzazione sembra annientare ogni forma di Tradizione e cultura delle Nazioni e dei popoli, perché diventa invece fondamentale la riscoperta della Tradizione? E in quali modi oggi, se politici o culturali, la Tradizione potrebbe compiere quella “rivolta contro il mondo moderno” di cui parlava Evola?

Renato Del Ponte: «Bisogna essere piuttosto pessimisti. La situazione attuale del mondo moderno è tale che un raddrizzamento non è al momento possibile: ma devo dire che già lo pensava Evola in quegli anni lontani. L’unica cosa da fare, e lo pensava già Evola, è un lavoro interiore, un lavoro di purificazione interiore che può essere anche collettivo, però sempre in un ambito elitario. A livello di massa la cosa è impossibile al punto in cui oggi si sono ridotte le cose. E’ possibile questo lavoro di purificazione interiore e convegni come quello di oggi ne sono una buona indicazione, una buona traccia, perché indicano appunto la via da seguire. O meglio è una delle vie da seguire ed è quella che privilegio anch’io, naturalmente, altrimenti non sarei stato qui. Ma esistono anche altre vie, altre possibilità che sono indicate da Evola nelle sue opere: ho citato prima La Dottrina del Risveglio, potrei citare La Tradizione Ermetica, nei libri di Evola ci sono diverse indicazioni per diverse vie possibili, è l’eredità che lui ci ha lasciato e che noi cerchiamo di mantenere.».

 

Un’ultima domanda più culturale che politica. Oggigiorno in diversi studiosi del mondo della Tradizione parlano di forme “larvali” nella Tradizione romana o comunque nel culto romano, lei che pensiero ne ha al riguardo?

Renato Del Ponte: «Come rispondevo, poco fa, ad una persona che aveva esposto questo problema, le larve non esistono se non sono già in noi. Se queste larve sono già dentro di noi, vale a dire se il nostro animo purtroppo è già bacato e soltanto noi siamo in grado di dare questa risposta. Le larve non esistono e non ci possono fare alcun male. Se noi siamo in buona fede, se noi riteniamo di esserlo e siamo convinti di questo, il successo non ci potrà mancare. Perché c’è una forza tale interiore nella coscienza pulita che può rompere molti ostacoli. Quindi le larve sono fuori di noi, sta a noi non diventare tali. Ma questo spetta soltanto alla nostra disciplina e al nostro senso dell’onore.».

 

Federico Pulcinelli – Agenzia Stampa Italia

 

 

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