Il falso mito dell‘ autonomia regionale: Abruzzo docet

autonomia(ASI) L‘ “autonomia regionale” è parola magica, che pare favorire una maggiore libertà dei cittadini, beneficiati da un potere istituzionale piu‘ vicino di quello dello Stato centrale, teorizzato come perennemente “lontano” come se si fosse nell‘Italia del secolo scorso, quella precedente i progressi nei trasporti e la rivoluzione informatica.                                                                                                 

Ma non è così, anche se il 60 per cento degli italiani ha preferito cassare il referendum del 4 dicembre: in realtà l’autonomia di certi enti locali è uno dei falsi miti della nostra epoca, che non hanno fatto che indebolire dal basso gli Stati un tempo sovrani (correggo: con un buon tasso di vera sovranità) mentre i dogmi europei e la globalizzazione vantata da Soros e seguaci facevano e fanno la stessa cosa dall‘alto.
Di questi problemi mi occupo, in chiave inizialmente etnica, da piu‘ di un quarto di secolo: interessato ai problemi internazionali e in particolare dell‘Africa e del Medio Oriente, nel 1989 dedicai un numero di Quaderni Internazionali a “La questione nazionale dopo la decolonizzazione; per una rilettura del principio di autodecisione dei popoli”. Seguì dieci anni dopo un saggio su Limes, “Popoli senza Stati e ideologi senza cervello”: che voleva dire, basta con l‘idea assurda che ogni popolo ha diritto all‘autodeterminazione, perché nei paesi popolati a macchia di leopardo non si può essere indipendenti dal vicino di casa (Bosnia), perché le balcanizzazioni portano quasi sempre a forme di neocolonialismo su Stati poco estesi; perché sia nella tradizione marxista ben letta sia in quella liberale, questo dogma o non è mai esistito (a cominciare da Marx sull‘Irlanda) o è contestato, da chi ad esempio come Gideon Gottlieb su Foreign Affairs, di fronte allo sfacelo della Jugoslavia, era giunto a criticare l‘ambiguità del principio di autodecisione nei 14 punti di Wilson. Non sempre valido in effetti il “principio”, secondo disegni colonialisti, vedi la sua violazione in occasione della spartizione dell‘Impero Ottomano tra Francia e Inghilterra dopo la fine della I guerra mondiale.

Insomma, forse perché inizialmente mi occupavo del Terzo Mondo, mi sono spesso ritrovato a manifestare una tendenza favorevole a uno Stato centrale forte. Ma nel tempo ho scoperto che i miti delle autonomie riguardano anche l‘Italia e l‘Europa, ed eccone altre due: la prima è l’autonomia della Banca d’Italia e del sistema bancario in generale, che ha azzerato la mezza sovranità monetaria dello Stato italiano nata nel 1936 e sussunta dalla Repubblica dopo il 1948. La crisi del modello inizia già con la nomina di Guido Carli a governatore (1960), prosegue negli anni 70 con la teorizzazione esplicita dello sganciamento della Banca centrale dal controllo della Stato (vedi l‘intervista di Scalfari allo stesso Carli) e va a completarsi - dopo la lettera di Andreatta a Ciampi che abrogava l‘obbligo della Banca centrale di comprare i titoli di Stato - l‘11 luglio 1992 quando il governo Amato, privatizzando l‘intera industria di Stato (anch‘essa istituita da Mussolini, epperò non solo sussunta, ma ampliata dalla Repubblica: ENI, ENEL), privatizzò anche le Banche di interesse nazionale interne all‘IRI, a loro volta facenti parte della BdI. Infine, il disastro europeo del 2002, la cessione totale della sovranità monetaria di tutti i paesi dell‘eurozona alla privata BCE.

Gli effetti si sono noti. Ma allora, come si fa a usare un termine positivo come “autonomia” per illustrare un percorso tragico di perdita di ogni controllo sull‘emissione monetaria da parte dello Stato?Si fa e basta: come nel caso del kabulismo di 30 anni fa, dei negazionismi, dei populismi, i contenuti non contano, conta la magia negativa o positiva della parola usata; è il caso degli “alleati”, per indicare gli anglo-americani o gli anglo-francesi che bombardano la Yugoslavia, l‘Iraq, la Libia; e dei “conservatori” e “progressisti” riferiti a forze politiche di segno opposto al termine utilizzato. Eltsin, tutto finanza e famiglia, un “progressista”? E chi in Iran si oppone alle privatizzazioni di banche e industrie è un “conservatore”?

Così va “la stampa, bellezza”. Ed ecco allora un'altra cosiddetta “autonomia”, quella universitaria, che vuol dire da una parte l’abbandono degli Atenei da parte di uno Stato sempre piu’ succube del Debito pubblico e della crisi della sfera produttiva soffocata dalla finanziarizzazione. E dall’altra rappresenta tutto il contrario di quel che significa autonomia: l’irreggimentazione cioè, del ceto accademico grazie a criteri numerici e di mercato per valutare il livello scientifico dei singoli docenti e ricercatori. Tra gli scandali, anche se ormai l’assuefazione passiva prevale, le riviste di classe a e b, la valutazione segreta tra pari, non solo in entrata ma anche in uscita (cosicché nell’anonimato si possono consumare vendette o semplici delitti tra appartenenti alla stessa area disciplinare), e la progressiva esautorazione del CUN (organo collegiale elettivo di docenti e ricercatori). L’ANVUR è nominato dal ministro.

IL RETTORE INDOSSA I GUANTONI

E finalmente siamo di nuovo alle prese con l’autonomia delle Regioni ex articolo 117 della Costituzione: un altro falso mito, di cui un esempio eclatante è quanto sta accadendo in Abruzzo, e in particolare a Teramo. La vicenda è questa: a Teramo nel gennaio scorso il sindaco Brucchi respinge l’ennesimo tentativo di accollare alla spesa pubblica il costoso progetto di una funivia tra Teramo Città e le Facoltà di Colleparco: 10 milioni di euro. Il Rettore D’Amico è uno degli sponsor della funivia, e dopo un colloquio col primo cittadino, risponde che nel prossimo incontro avrebbe indossato “i guantoni”.

Un match tra una Università statale e un sindaco insensibile al bene pubblico, nel caso specifico al miglioramento radicale dei collegamenti tra l’Ateneo ubicato in collina e la città sottostante?

Ma nemmeno per sogno: il Rettore sostiene che sta difendendo gli interessi degli studenti, ma dietro questo scenario ci sono anche gli interessi di chi possiede i terreni prospicenti Giurisprudenza, dove lo stesso D’Amico, circa 3 anni fa, in un discorso al Consiglio della Facoltà Scienze Politiche, aveva disvelato che sarebbe sorto un grande quartiere. Di chi i terreni? Tutte le fonti interpellate mi dicono il banchiere Paolo Tancredi. Pronto a correggere se non è vero. L‘onorevole Tancredi del resto è colui con il quale il Rettore ha avuto occasione di incontrarsi in incontri pubblici almeno 2 volte: la seconda recentemente, la prima nell‘ ottobre 2012, appena defenestrata la Rettora Tranquilli Leali con il contributo determinante de Il Centro (accanito sponsor del Rettore)

Sia chiaro: è assolutamente legittimo che quale che sia imprenditore – e dunque anche il proprietario dei terreni circostanti l‘Ateneo – punti a accrescere la sua attività e a espandere i propri profitti attraverso una funivia, che farebbe lievitare subito i terreni circostanti alla Facoltà, nei quali egli potrebbe costruire subito un centro commerciale con a disposizione immediata una clientela di qualche migliaia tra studenti, amministrativi e docenti.

E però opinabile, come si suol dire, che tale legittimo obbiettivo venga obliato - non da lui, ma dal Rettore - dietro gli interessi degli studenti, in modo tale che siano i cittadini di Teramo ad accollarsi direttamente o indirettamente (ad es. in caso di fondi governativi o europei per il capoluogo, distratti da altre opere utili a Teramo città) la copertura del costoso progetto della funivia. Un capoluogo che da decenni ha subìto una costante delocalizzazione delle risorse, che l‘hanno impoverito oltre gli effetti già problematici della crisi economica nazionale e internazionale.

UN OTTIMO INCIUCIO: E L‘AIUTO VIENE ANCHE DALLA TERCAS

Ed ecco dunque il secondo capitolo della vicenda: lo scatto di autonomia vera della Politica teramana. I grillini come al solito, gli unici politici puri dello scenario nazionale, vi avranno letto un inciucio sul quale astenersi o al quale opporsi, ma il voto convergente centrosinistra-centrodestra, a favore della trasformazione dell‘ex Rettorato in Casa dello Studente, ha rappresentato una svolta importante per la città: una inversione di tendenza alla delocalizzazione continua delle risorse e un avvio di ri-radicamento degli studenti a Teramo, dai molteplici effetti positivi sugli esercizi urbani; bar, edicole, ristoranti, copisterie (tranne la mensa, tutti assenti a Colleparco). Gli aiuti non sono mancati, dal Miur e dalla Tercas, che ha promesso un buon contributo. Ottimo.

Ma è stata una vera svolta? Purtroppo ancora no. E veniamo alla questione delle false autonomie, narrando l’intervento kamikaze della Regione a schiacciare l’autonomia di Teramo. Il Presidente Luciano D Alfonso è evidentemente anche lui un componente del “partito della Funivia”, supportato dal quotidiano la Città, che gufa per le dimissioni di Brucchi da mesi: eccolo infatti compiere una discriminazione plateale nei confronti del capoluogo teramano. I soldi pubblici per il progetto della Casa degli Studenti debbono passare attraverso l’ADSU, l’azienda preposta ai servizi per gli studenti, e con una pensata decisionista eccezionale, lui, il Luciano I, corre in aiuto di Luciano II e del proprietario dei terreni di Colleparco, e decide di dare i soldi di provenienza tutta statale, solo alle ADSU di Chieti e di Pescara.

Fine del discorso? Forse no, ma esce fuori un altro progetto, evidentemente sotto una fortissima pressione del “partito della funivia”, con quattro nuovi punti di spesa, tra cui un percorso in bici da Teramo città a Colleparco. Tutto in salita. Con premio di qualche euro per gli studenti che lo percorreranno. Pare una opzione pazzesca, ma questo passa il convento iperlaico dei due Luciano, teoricamente del PD, ma in realtà come scrissi mesi fa, due alieni che esprimono solo gli interessi di poteri locali. D’Alfonso del resto è stato fischiato recentemente dal PD. D’Amico nasce di destra, ma si è convertito all‘antifaismo (un antifascismo degenerato, dai tratti dogmatici e esaltati) per motivi a me ignoti.

Così è. I dubbi residui sono tanti: per esempio, se l’annosa questione del disservizio dei trasporti urbani tra Teramo città e l‘Ateneo, c‘entri qualcosa con il progetto della funivia. Per esempio se la reazione rabbiosa dei due è solo nei confronti del sindaco Brucchi, e del voto trasversale PDL (una parte) e del PD a favore del progetto della Casa dello studente, oppure anche verso altri segnali di riordino dell’esistente provenienti dall’alto: vedi l‘intervento ANAC contro il doppio incarico Rettore-Presidente ARPA-TUA; vedi la clamorosa svolta della giornata sulla Shoah del 17 febbraio scorso: senza il Rettore, senza il Presidente dell’Istituto storico della resistenza, senza studenti universitari (era dedicata solo a quelli liceali) e promossa non da una facoltà ma - iniziativa assolutamente legittima - da un solo singolo collega, un docente di Scienze delle comunicazioni.
Se infine, tornando ai dubbi e alla pista ciclabile, nel progetto in fieri non sorgerà la necessità di riattrezzare il percorso con qualche tratto di tapis-roulant in salita e coperto, o altre idee dello stesso tipo, aumentando il costo dell’impresa, e impoverendo le casse cittadine, dell‘ADSU e persino regionali per un progetto che non è stato né deciso né votato dal Consiglio Comunale del capoluogo.

Una cosa è certa: l‘episodio qui raccontato (quale sia la conclusione: peraltro senza TV e per difficoltà di accesso a internet, ho difficoltà a conoscere tempestivamente i piu‘ recenti sviluppi della situazione) mostra che l’autonomia regionale sta schiacciando l‘autonomia del capoluogo teramano, e con decisioni discriminatorie molto opinabili, e dai risvolti non tutti chiari. Forse qualcuno dovrebbe intervenire.

Prof. Claudio Moffa

 

Per approfondire

Claudio Moffa, “Stato e autonomismi in Italia: il contesto europeo e internazionale nell‘età postbipolare”, In Rivista della Cooperazione Giuridica internazionale,, anno XVI, n.47, maggio-agosto 2014, Aracne editrice, Roma 2014

Claudio Moffa, Rompere la gabbia: sovranità monetaria e rinegoziazione del debito contro la crisi, Arianna editrice, 2013.

Claudio Moffa, “L‘ethnicité en Afrique: l‘implosion de la question nationale après la décolonisation”, Politique Africaine, n. 66, 1997.

Claudio Moffa “Il passo del gambero di Marx”, intervista di Emanuela Irace all autore di Rompere la gabbia ...

Claudio Moffa, “!936.1992: la lezione della Storia; riprendersi la sovtanità monetaria è doveroso e possibile”, intervento al convegno “Ragionando su una legge per la sovranità monetaria”, Dottorato di ricerca “Multilevel governance”, XXIX ciclo; con Marco Mori, Tiziano Tanari, Gennaro Varone, paper on line

 

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