Perugia, una città che deve rinascere

(ASI) Se un qualsiasi utente della rete dovesse scrivere "Perugia" nella barra di ricerca di Youtube, il più celebre contenitore di contenuti multimediali in rete, i primi risultati che ne verrebbero fuori sarebbero i video-inchiesta sul degrado e sul narcotraffico presenti in città, che alcune redazioni radiotelevisive nazionali hanno realizzato nel corso del triennio 2011-2013.

Considerato il peso specifico di Internet nella vita quotidiana di centinaia di milioni di cittadini, consumatori e turisti, è facile comprendere la devastante portata dell'impatto che la visualizzazione di immagini del genere può avere sull'internauta medio, italiano o straniero.
In questo 2015 l'Italia è chiamata all'appello, dopo tanti, troppi anni segnati dalla crisi economica, dall'instabilità politica e dalla corruzione diffusa. L'Expo di Milano costituisce un'occasione unica ed irripetibile per il nostro sistema-Paese di tornare a mostrare quelle carte in regola che spesso ha saputo sfoggiare in passato. In generale, l'Expo è la chance di riconnettersi col mondo, ad oltre sette anni di distanza dallo scoppio del terremoto finanziario statunitense, che segnò l'inizio di uno dei periodi più bui che la storia dell'economia occidentale ricordi. Quando, tra diversi anni, l'Unione Europea si sarà del tutto ripresa dalla crisi, avendo risolto - si spera - i suoi problemi strutturali, il mondo dove si ritroverà ad agire nelle nuove condizioni di normalità sociale e di stabilità finanziaria, sarà completamente cambiato rispetto a quello "salutato" nel 2006, un anno prima dell'esplosione nel mercato dei sub-prime.
La città di Perugia ha vissuto un declino ancora peggiore di quello italiano, dovendo fare i conti in prima linea con una serie di problematiche sociali, radicatesi nel territorio da diverso tempo. Il decadimento del tessuto industriale locale, già pesantemente ridimensionato tra gli anni Ottanta e Novanta, una pubblica amministrazione gonfiata e appesantita dalla rete delle "clientele" politiche, l'aumento della pressione fiscale (di competenza comunale) e l'esclusione da quasi tutti i progetti nazionali di modernizzazione infrastrutturale e viaria, hanno creato gravi squilibri tra settore pubblico e settore privato ed isolato la città dalle grandi reti autostradali, aree e ferroviarie. Col tempo, a questo scenario si è aggiunto uno spaventoso aumento del tasso di criminalità, che ha minato uno dei tradizionali punti fermi della città per gran parte del secondo dopoguerra: la qualità della vita.
In un contesto simile, è evidente che il caso-Meredith del 2007 ha semplicemente squarciato il velo posato sopra un territorio dove il marcio sociale aveva già da tempo pienamente attecchito, rendendo Perugia una delle principali città italiane ad alto rischio in termini di sicurezza, sia reale che percepita. Oggi, a più di sette anni di distanza da quel drammatico episodio di cronaca nera, le ferite non sono ancora rimarginate. A partire dal 2009, l'Università di Stato ha registrato una drastica diminuzione delle iscrizioni e, parallelamente, anche l'Università per Stranieri, de facto rimasta l'unico fattore di promozione della città all'estero, ha visto il suo prestigio pesantemente compromesso, tanto da essere scavalcata dall'analogo istituto di Siena nelle classifiche di preferenza degli studenti stranieri.
Negli ultimi anni, centinaia di cinesi (la maggioranza), spagnoli, russi o tedeschi che avrebbero potuto veicolare, con la loro sola presenza, il nome di Perugia e le sue eccellenze all'estero, si sono ritrovati a vivere un centro storico diventato in pochi anni una selva di spacciatori, tossicodipendenti in cerca di elemosine, pericolosi nottambuli sotto effetto di alcool o droghe e quant'altro. Sebbene centro minore - e forse proprio per questo - Perugia è diventata il simbolo di un'Italia in declino, di un Paese che, con le sue province e i suoi comuni, ha affascinato per secoli il resto del mondo, ma che oggi è costretto a subire un destino che non merita.
Lo scontato esito negativo nel tentativo di agganciare goffamente Perugia alla preesistente candidatura di Assisi come capitale europea della cultura per il 2019, è solo l'ultimo dei disastri generati nei quindici anni compresi tra il 1999 e il 2014. Tre lustri che sono stati sufficienti a maturare nei perugini - tradizionalmente "chiusi", conservatori e restii ai cambiamenti - un'insofferenza tale da decidere di punire in massa il centro-sinistra al ballottaggio dell'anno scorso, consegnando Perugia al centro-destra per la prima volta dal dopoguerra.
Le sfide che si presentano dinnanzi alla nuova amministrazione sono ardue, ma non impossibili. Le competenze legislative non raggiungono quell'ampio spettro decisionale che sarebbe necessario per risollevare le sorti di una città così malmessa. Tuttavia, è compito di una giunta comunale anche quello di esercitare pressione ai livelli istituzionali più alti al fine di ottenere, quanto meno a pioggia, risultati importanti per il proprio territorio. Tutto dovrebbe passare attraverso l'idea portante dell'internazionalizzazione, un processo che connetterebbe finalmente Perugia al resto d'Europa e del mondo: agganciare la città alle tratte dell'alta velocità ferroviaria per collegare il capoluogo umbro ai principali corridoi paneuropei; completare gli interminabili lavori per la realizzazione della strada statale Perugia-Ancona per fare della città lo snodo principale nelle direttrici tra i due Mari; incentivare la piccola e media impresa locale ed attrarre investimenti esteri trasparenti e vantaggiosi nel territorio per tornare a fare di Perugia una città nota al mondo per i suoi prodotti; mettere in sicurezza il centro e la periferia, garantendo controlli serrati e ferma repressione dei fenomeni criminosi; promuovere la città sul piano turistico attraverso campagne pubblicitarie nazionali e internazionali, anzitutto sfruttando le opportunità più immediate della rete; valorizzare il patrimonio storico-culturale di una delle acropoli più antiche d'Italia, sfruttando anzitutto le origini etrusche per favorire lo scambio turistico e accademico con la Turchia, l'Ungheria e i Paesi turcofoni dell'Asia Centrale (Kazakistan, Uzbekistan, Turkmenistan e Kirghizistan), dove la civiltà etrusca è oggetto di ammirazione e di accurate ricerche universitarie, come in gran parte del restante mondo asiatico. Chi scrive ha recentemente visitato un'esposizione dedicata proprio agli Etruschi all'interno del padiglione "a tema" del Museo dell'Esercito di Terracotta, a poche decine di chilometri da Xi'an, in Cina.
Molto dipenderà dalla direzione che l'Italia deciderà di prendere in questo 2015, necessariamente segnato dalle determinanti transizioni cui assisteremo per quanto riguarda il Quirinale e Palazzo Chigi. Tuttavia, Perugia può progettare la sua rinascita a partire da ora, affinché l'inaugurazione del "nuovo" Arco Etrusco, da poco restaurato, non rappresenti soltanto un'oasi nel deserto.

Andrea Fais – Agenzia Stampa Italia

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