×

Attenzione

JUser: :_load: non è stato possibile caricare l'utente con ID: 113
Mani Pulite. Intervista a Ugo Intini, ex deputato di spicco del PSI

 

(ASI) Tutto iniziò all’improvviso, le manette ai polsi del dirigente d’azienda Mario Chiesa, esponente socialista, diedero inizio ad una stagione destinata a segnare per sempre la storia politica italiana. Un’atmosfera di frenesia collettiva si propagò dalle aule giudiziarie agli organi d’informazione, convincendo l’opinione pubblica che dalle ceneri di quel sistema politico che i magistrati stavano demolendo sarebbe nata un’agognata “nuova Italia”. Vent’anni di distanza possono essere sufficienti per guardare a Mani Pulite con animo più sereno, non più condizionato dall’enfasi del momento.
Ne parliamo con Ugo Intini (nella foto è insieme a Craxi, ndr), già direttore dei quotidiani “Avanti” e “Il Lavoro di Genova”, scrittore, deputato tra il 1983 e il 2006, viceministro e sottosegretario agli Esteri nei governi Amato e l’ultimo di Prodi. Intini, portavoce del Partito Socialista Italiano dal 1987 al 1993, dà a quella fase storica che coinvolse il suo partito una lettura più ampia, invitando a “guardare più in là di un orizzonte provinciale per individuare e fotografare i tanti pezzi, sparsi per il mondo, di un puzzle complesso”.

 

Onorevole Intini, anzitutto mi preme sciogliere una curiosità. Quando ci siamo sentiti al telefono per concordare quest’intervista mi è parso che non abbia condiviso la mia affermazione secondo la quale sono passati vent’anni da Mani Pulite. E’ così?

Sono passati vent’anni dall’inizio di Mani Pulite, ma i processi e le polemiche si sono trascinati molto a lungo. Lo scontro tra politica e magistratura poi è ancora in pieno sviluppo, così che assume le caratteristiche di una guerra dei venti anni (forse lo sarà dei trenta o dei quaranta). Anche la corruzione continua, anzi, si è enormemente aggravata. In particolare la guerra dei venti anni è unica al mondo, oltre che gravemente destabilizzante. Non esiste alcun Paese dove i poteri dello Stato (legislativo e esecutivo da una parte, giudiziario dall’altro) siano in conflitto permanente.

Nel suo libro “La politica globale” colloca la fase di Mani Pulite in un contesto più ampio, internazionale. Di che si tratta?

L’Italia è diventata sulla stampa internazionale un caso da studiare e altre Mani Pulite si sono sviluppate in quasi tutti i Paesi europei (sia pure con conseguenze meno devastanti). Il nostro inoltre non è un Paese ininfluente nel mondo e tanto meno isolato. Mani Pulite ha decapitato l’industria chimica italiana (ENI e Montedison con la morte di Cagliari e Gardini). Ha aperto il nostro Paese agli acquisti delle aziende più competitive da parte straniera. Si è sviluppata mentre era in corso una guerra commerciale ed economica senza esclusione di colpi (soprattutto tra Stati Uniti ed Europa). E mentre i servizi di intelligence, finita la guerra tra Est e Ovest - e non ancora cominciata quella contro il fondamentalismo islamico - si occupavano soprattutto di concorrenza. Non è credibile che fuori dai nostri confini nessuno si sia interessato concretamente a Mani Pulite.

In un altro suo libro, “La privatizzazione della politica”, spiega che “la campagna contro la corruzione, che ha ridotto il peso e la legittimazione della politica, ha i suoi narratori, le sue menti, e anche le sue braccia, attraverso organizzazioni sovranazionali, pubbliche e private”. A quali organizzazioni si riferisce?

Mani Pulite, ma soprattutto la campagna che ha reso egemone la cultura liberista, hanno contribuito alla “privatizzazione della politica”. I liberisti dapprima hanno privatizzato l’economia. Poi hanno privatizzato anche la politica, perché oggi, soprattutto in Italia (ma non solo), cancellati o ridimensionati i partiti, i dirigenti politici contano, anche politicamente, meno dei mercati. E chi sono i mercati? Sono delle entità astratte? Delle divinità irraggiungibili? No. Sono i grandi gruppi finanziari multinazionali, che oggi pesano più degli Stati (anche perché gli Stati sono chiusi nei loro anacronistici confini nazionali, mentre il potere economico è globale, senza frontiere). I grandi gruppi hanno privatizzato la politica e per il momento hanno vinto. Se la politica vera ci fosse ancora, non sarebbe stata possibile la catastrofe finanziaria alla quale abbiamo assistito; una economia di carta, basata sui titoli derivati e su Borse trasformate in casinò senza frontiera, non avrebbe distrutto l’economia reale, basata sul lavoro e sullo spirito imprenditoriale.

Passiamo a quelli che lei definisce “i narratori”. Quali furono le responsabilità della stampa rispetto alle inchieste e alla piazza?

La stampa da tempo ha rinunciato a manifestare spirito critico. Ignazio Silone diceva: “Grida quando tutti gridano. Tace quando dovrebbe gridare”. Ha anche rinunciato a svolgere una informazione credibile. Possibile ad esempio che nessuno dei grandi fondisti e economisti si sia accorto della catastrofe finanziaria che dal 2007 in poi si sarebbe abbattuta sull’Occidente?

De Benedetti ha recentemente dichiarato che il Partito Comunista Italiano fu protetto durante Mani Pulite. Crede all’esistenza di un asse tra comunisti e Magistratura?

Può darsi. Certo, il passaggio dalla magistratura al Parlamento con casacca di sinistra di molti protagonisti delle inchieste non giova alla credibilità né dei giudici né dei partiti che sfruttano la loro notorietà. Ma il PCI fu protetto paradossalmente soprattutto dal centralismo democratico di origine leninista, ovvero da un difetto di democrazia interna. Nel PCI, non esistevano correnti né campagne elettorali personali (con i relativi costi). Il finanziamento (lecito e non) veniva raccolto in modo iper-centralizzato da funzionari assolutamente separati dalla dirigenza politica del Partito. Tale dirigenza non toccava denaro e neppure era informata dei particolari, anche quando prendeva decisioni amministrative richieste nell’interesse del finanziamento. Questa centralizzazione e questo funzionamento a compartimenti stagni (addirittura maturato ai tempi della clandestinità) ha assicurato una particolare impermeabilità rispetto alle inchieste.

Alle inchieste furono estranei anche il Movimento Sociale Italiano e la Lega Nord. Questi due partiti erano forse più onesti di altri o vi era una precisa volontà di proteggerli dalle epurazioni?

Questi due partiti restarono estranei a inchieste giudiziarie nei loro confronti fin quando rimasero ai margini del potere e della gestione amministrativa. Nel momento in cui sono saliti ai vertici della politica - confluendo nelle file del Pdl nel caso dei missini - sono stati colpiti anche loro da indagini.

Come è cambiato il rapporto tra magistratura, stampa e opinione pubblica dopo Mani Pulite?

Gli eccessi della magistratura e della stampa sono sempre gli stessi. La politica invece è passata da un eccesso all’altro. Ai tempi di Mani Pulite, i dirigenti si dimettevano un istante dopo aver ricevuto un avviso di garanzia. E dichiaravano (magari ipocritamente) di avere fiducia nella magistratura. Adesso, i dirigenti non si dimettono, anzi, sbeffeggiano e insultano i magistrati, delegittimando la magistratura stessa.

Un’ultima domanda mi preme rivolgergliela. Craxi, di cui lei è stato stretto collaboratore, potrebbe aver pagato con Mani Pulite lo “strappo” di Sigonella?

L’Italia, fin dai tempi del primo governo Craxi, si rivelò un affidabile alleato atlantico. Brzezinski, ex segretario di Stato del presidente americano Carter, definisce il PSI un “protagonista piccolo, ma assolutamente determinante, in un momento decisivo”. Il momento decisivo cui egli fa riferimento è la “guerra fredda”, che il blocco occidentale stava combattendo in quegli anni, in un conflitto di nervi, contro i sovietici. Senza l’approvazione italiana di installare gli “euro-missili” posizionati contro l’Unione sovietica sul proprio territorio, quei missili in Europa non ci sarebbero stati neanche altrove; dunque, lo squilibrio degli armamenti sarebbe rimasto a favore dei sovietici e la guerra non sarebbe stata vinta.
La crisi di Sigonella ha costituito un vulnus nel rapporto tra Italia e Stati Uniti. Craxi, tuttavia, non fece altro che tener fede a una precisa convinzione: l’interesse nazionale del nostro Paese doveva prevalere sull’alleanza atlantica. Del resto l’Italia non può rinnegare una naturale vocazione al contatto diretto e alla collaborazione con i Paesi arabi. Per fare questo, non ha bisogno di intermediari.
In molti sono convinti che quell’episodio ebbe un peso determinante sulle vicende giudiziarie che colpirono Craxi. E’ una delle teorie finalizzate a spiegare l’inizio di Mani Pulite ma, non essendo suffragata da fatti concreti, ad oggi resta appunto una teoria.

 

Federico Cenci – Agenzia Stampa Italia

 

Continua a leggere