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Unità d'Italia.  Intervista alla Prof.ssa Angela Pellicciari sulle celebrazioni
(ASI) Il prossimo 17 marzo in tutta la penisola ci si appresta a celebrare il centocinquantenario dalla proclamazione ufficiale del Regno d’Italia. Le istituzioni e i media si stanno mobilitando già da mesi per rendere all’evento un’ampia risonanza tra i cittadini al fine di trasmetterne un profilo storico privo di macchie, in perfetta sintonia con la retorica patriottica del Risorgimento. Pochi e discreti gli spazi concessi alle voci discordanti. Agenzia Stampa Italia ha voluto approfondire una lettura non conforme di questo evento storico proponendo un’intervista alla Professoressa Angela Pellicciari, esimia ricercatrice che ha dato alla luce diversi lavori sul tema, uno dei quali – Risorgimento da riscrivere (ed. Ares, 1998) – venne pubblicamente consigliato dal premier Berlusconi durante una conferenza ad Atreju (festa dei giovani del PDL).  
Si precisa che si tratta di un'intervista telefonica con tutti limiti che questa comporta.

Professoressa, è indubbio che l’unità di un popolo, per poter essere autenticamente ritenuta tale, debba fondarsi su di un comune bagaglio culturale. Nel caso degli italiani, il bagaglio in questione è la fede cattolica. Tuttavia, lei sostiene che i fautori del Risorgimento avviarono un processo volto alla soppressione dell’identità religiosa degli italiani…

R: Questo non lo sostengo io, bensì tutti i documenti sia di parte cattolica – compreso il Papa – che di stampa liberale. Il Regno di Sardegna, in base ad una supposta superiorità morale di cui si riteneva depositario, si fece artefice dell’unità politica della nazione italiana. Questa superiorità consisteva nell’essere fautore di una monarchia costituzionale in uno Stato liberale. Ebbene, l’Articolo 1 dello Statuto Albertino dichiarava la religione cattolica come l’unica religione di Stato, tuttavia il nuovo Regno procedette ad una soppressione di tutti gli ordini religiosi della chiesa di Stato: è così che 57.000 persone (tanti gli esponenti dei vari ordini) vennero derubate di tutto, vedendosi costrette a non poter più svolgere i compiti a favore della popolazione – in particolare di quella povera – per cui erano stati costituiti i loro ordini. Quando, qualche anno più tardi, il governo liberale sopprimerà anche tutte le 24.000 opere pie in cui operavano italiani laici e che erano costituite anch’esse per svolgere mansioni finalizzate al bene, e quando il Piemonte estenderà a tutta Italia la sua legislazione e la sua tassazione altissima per i tempi, si avrà come conseguenza inevitabile, in nome del Risorgimento e per la prima volta nella più che bimillenaria storia italiana, un’immigrazione di massa perché la popolazione sarà messa sul lastrico da coloro che a parole volevano toglierla dall’oppressione pontificia.

Ritiene dunque che lo Statuto Albertino, quale garanzia di tutela dei diritti di tutti i cittadini italiani, sia stato calpestato dall’allora neonato governo italiano?

R: Molti articoli dello Statuto Albertino vennero infranti: a cominciare dall’articolo 28 che afferma la tutela di libertà stampa; la stampa sarà sì libera, ma solo quella liberale, cioè quella dell’1% della popolazione. Cavour, per citare un esempio indicativo, in Piemonte non permetteva venissero stampate le Encicliche del Papa, non ne consentiva dunque la divulgazione, tanto era libera la stampa. Infranto anche l’articolo che garantiva la proprietà privata, in qualsiasi forma si presentasse: la proprietà della Chiesa è stata smantellata. Proprietà della Chiesa che consisteva in ciò che Papa Gregorio Magno definì i beni dei poveri, ossia le donazioni che gli italiani nel corso di 1500 anni di storia le offrirono. Questa era dunque una proprietà collettiva, della quale si è appropriato indebitamente l’1% della popolazione liberale. Quindi, questo processo di unificazione è convenuto solo ad un’infinitesimale parte di popolazione che ha rapinato i beni della Chiesa, cioè della collettività, in nome della libertà.

Eppure, in molti oggi ritengono che quello dei risorgimentali non fosse anticattolicesimo, piuttosto un attacco al Clero, ritenuto invadente in ambito secolare e dunque un ostacolo ai disegni d’unità. Come giudica questa teoria?

R: C’è una circolare della massoneria, redatta nel 1888 dal Grande Oriente, che motiva ai “fratelli” la necessità di non sembrare (e non di non essere) anticattolici bensì solo anticlericali. Sono i fatti a dire che il loro nemico non fosse il clero, poiché il Risorgimento perseguiva un progetto volto a rifare gli italiani. Non a caso Massimo D’Azeglio diceva “l’Italia è fatta, bisogna fare gli italiani”, nei termini che riteneva necessario fare gli italiani diversi da quelli che erano, perché si credeva che gli italiani, in quanto cattolici, fossero arretrati, oscurantisti, bigotti. I liberali pensavano nella più totale superficialità di poter privare gli italiani della loro ubbidienza cattolica rifacendoli nuovi. Il risultato fu che hanno, sì, fatto nuova la popolazione, nel senso che l’hanno a tal punto immiserita da doverla costringere ad emigrare in massa.

Condivide l’idea secondo la quale Pio IX e le alte cariche ecclesiastiche fossero contrari ad un’unificazione dell’Italia?

R: Assolutamente, ciò non è vero. A metà dell’800, tutta la popolazione italiana, compreso il Papa, era favorevole a trovare una forma di unificazione federale italiana, che chiamarono la “lega”. Se non che Carlo Alberto volle “fare da sé” contro tutti gli altri, contro gli italiani. E’ evidente che alla luce di questa sua volontà gli altri non poterono aderire a questo disegno.

Intravede un connubio di intenzioni tra protestantesimo e Risorgimento italiano?

R: Il membro della Chiesa Valdese e storico Giorgio Spini ha documentato come intorno all’Italia cattolica fosse sorta una rete protestante mondiale che concorreva con collette, con aiuti di tutti i tipi perché anche in Italia si potesse eliminare il cattolicesimo. Possiamo quindi sostenere che si mobilitò una vera e propria “internazionale protestante” contro la cattolica Italia. D’altronde, i Savoia fecero la stessa politica contro i cattolici che i sovrani protestanti fecero secoli prima, quella di Lutero, Calvino, Enrico VIII: togliere alla Chiesa la personalità giuridica, sopprimendo gli ordini religiosi. La differenza sta nel fatto che loro lo fecero apertamente per odio dichiarato contro la chiesa di Roma, mentre in Italia la peculiarità di questo processo fu che le misure erano le stesse, però vennero fatte in nome della Chiesa cattolica. Anzi, come gli stessi liberali dicevano, furono fatte per rendere la Chiesa cattolica più pura. L’ho detto prima, in Italia i Savoia non dichiararono apertamente l’ostracismo verso il cattolicesimo perché erano vincolati a quella morale secondo la quale erano migliori degli altri in quanto costituzionali.

Può esser posta in linea di coerenza con questo processo politico anticattolico anche la nascita dell’Unione Europea?

R: La nascita dell’Unione Europea viene salutata con entusiasmo da tutta l’intellighenzia e da tutta la popolazione cattolica, perché l’anima dell’Europa è cristiana e su questo non vi è alcun dubbio. Di questo comune sentire filoeuropeo si è però appropriata strumentalmente un’élite, una monocrazia internazionale - per i medesimi motivi che hanno guidato le azioni dei liberali italiani nel Risorgimento - che pensa sia suo dovere agire contro la fede cattolica, finendo anche per negare il fatto incontrovertibile delle radici cristiane dell’Europa.

Si procede oggi ad un’esaltazione di alcuni personaggi chiave del Risorgimento, Cavour è elogiato quale artefice dell’Unità d’Italia. Lei lo ha definito “maestro di doppiezza ed incoerenza”; ci spieghi da cosa deriva questa posizione…

R: Cavour era maestro nel dire una cosa oggi ed il suo contrario domani, facendolo con un’improntitudine rara. Se questo equivale a dire che fosse un uomo di Stato, allora era un perfetto uomo di Stato. E’ indubitabile che senza l’intervento di Cavour l’unità d’Italia sotto i Savoia non sarebbe stata realizzata, perché non erano in grado di realizzare questo progetto né Vittorio Emanuele II, né tantomeno lo erano Garibaldi o Mazzini. C’è voluto il genio assolutamente spregiudicato di Cavour che ha intrigato in modo tale, attraverso le relazioni internazionali che coltivava, da poterlo rendere realizzabile. Durante il Congresso di Parigi nel 1856, al quale partecipò come presidente del consiglio piemontese, fece mettere all’ordine del giorno la conquista da parte dei Savoia degli altri Stati italiani in nome della “morale”. A quale morale faceva riferimento?A quella secondo la quale i governi dell’Italia centro-meridionale (Stato Pontificio e Regno dei Borboni), a suo giudizio e a giudizio del suo amico il plenipotenziario inglese a Parigi Clarendon, fossero la quintessenza dei governi barbarici. I due misero all’attenzione del mondo la questione secondo la quale le popolazioni centromeridionali “gemevano” sotto il malgoverno pontificio e borbonico. Falso, poiché, nonostante soldi ed armi, non riuscirono a far insorgere questi popoli autori di supposti gemiti. Quindi Cavour escogitò e si fece artefice di un’invasione per raggiungere ugualmente il proprio scopo.

Anche sulla figura ritenuta cristallina ed eroica di Garibaldi nutre qualche perplessità?

R: Non qualche! Garibaldi, ossia colui che viene definito libertador, è stato un commerciante di schiavi. Nel 1854 egli stava in Perù e sbarcava il lunario nel seguente modo: era capitano di una nave di nome Carmen, che partiva dal porto di Callao per trasportare guano in Cina, ritornando poi dal porto cinese di Canton con un carico di persone cinesi. Garibaldi nelle sue memorie, sebbene siano dettagliatissime, questo non lo racconta. Lo racconta però l’armatore genovese di questa nave Carmen (tale Pedro Denegri), che si spende anche in una lode nei confronti del libertador perché i cinesi che portava in Perù godevano tutti rigorosamente di buona salute.

Per concludere, quale ritiene sia il giusto comportamento che i cattolici italiani dovrebbero assumere a fronte delle celebrazioni in pompa magna del prossimo 17 marzo?

R: Io penso, in linea con quanto hanno sempre detto i Papi, che l’identità italiana preceda di secoli la costituzione di uno Stato unitario ed abbia come cemento la lingua, la cultura e la religione. Venendo meno la religione cattolica come religione della maggioranza degli italiani, vengono anche meno, a mio modo di vedere, le ragioni profonde di unità, tanto è vero che rischiamo oggi la dissoluzione. Stando così le cose, io ritengo molto opportuna la scelta che la gerarchia vaticana ha fatto di celebrare questa unità italiana, perché se è certamente vero che non è stato un valore la lotta alla nostra identità perpetrata dai risorgimentali, è altrettanto vero che l’unità profonda degli italiani e la storia d’Italia così gloriosa e unica al mondo sono invece valori, dei quali è dovere nostro riappropriarci ed esserne orgogliosi.

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