Perugina. Tanta solidarietà agli operai contro il piano di Nestlè, ma la politica non è esente da responsabilità
IMG 20171007 112811 resized 20171007 024640980PERUGIA - Poco dopo le 10 di stamattina, Piazza Matteotti è già gremita. Sigle sindacali, politiche ma soprattutto tanta gente comune affolla lo spazio riservato alla manifestazione indetta dai lavoratori della Perugina, storica azienda del settore dolciario che, fondata a Perugia nel 1907 dal genio imprenditoriale di Luisa Spagnoli e Francesco Buitoni, vede oggi a rischio 364 posti di lavoro, nonostante i confortanti dati produttivi e commerciali.

 

La Nestlè - proprietaria del marchio dal 1988, quando la acquistò dalla CIR di Carlo De Benedetti che l'aveva rilevata appena tre anni prima - sembra intenzionata a non tornare sui propri passi, minacciando licenziamenti definitivi. Dall'altra parte, i sindacati recriminano per quello che considerano un «accordo disatteso» rispetto agli impegni assunti dalla proprietà elvetica nel corso degli ultimi tre anni, prefigurando un più generale disimpegno, già cominciato con la chiusura delle linee di produzione di Ore Liete e Rossana, che potrebbe portare ad una morte lenta dello storico marchio alimentare, simbolo della città.
Presenti in piazza molte autorità, a partire dal primo cittadino del capoluogo umbro, Andrea Romizi (Forza Italia), e dalla presidente della Regione Catiuscia Marini (PD), sino ai sindaci di altri Comuni del comprensorio. Notevole la presenza di partiti e associazioni legati al mondo della sinistra: dal Partito Democratico a Rifondazione Comunista, da MDP a SiCobas, oltre all'ex segretario nazionale della Fiom Maurizio Landini. Presenti anche diversi consiglieri regionali, come Giacomo Leonelli (PD), Valerio Mancini (Lega Nord) e Andrea Liberati (M5S). Le adesioni sono numerose e a portare solidarietà direttamente dal palco degli interventi arrivano anche i rappresentati di altre aziende del territorio regionale che vivono o hanno vissuto situazioni di criticità, come la Colussi (Perugia-Assisi), la ex Novelli (Terni), l'AST (Terni), Umbra Cuscinetti (Foligno), la ex Merloni (Gualdo Tadino) e la ex-FCU (Ferrovia Centrale Umbra), la cui agonia ha fortemente penalizzato le aree urbane ed industriali dell'Altotevere (Città di Castello e Umbertide).
La piazza, tuttavia, resta piuttosto fredda, quasi consapevole di un inevitabile destino, e pare scaldarsi un po' soltanto nel finale con l'accorato intervento del rappresentante RSU dei lavoratori Perugina, che attribuisce l'improvviso dietrofront di Nestlè al recente ingresso del nuovo amministratore delegato Ulf Mark Schneider nell'organigramma societario della struttura mondiale della multinazionale svizzera. Insomma, secondo gli operai Perugina, ben vengano le innovazioni dell'Industria 4.0 ma non a discapito del lavoro e dei lavoratori. Del resto, i sindacati affermano di essersi già impegnati per rilanciare lo stabilimento di San Sisto come hub nazionale del cioccolato, appoggiando un piano di investimenti da 60 milioni di euro. E forse la chiave di questa crisi, più che nella «ricerca smisurata del profitto» citata da qualche intervento un po' retrò, potrebbe essere proprio nella logistica.
Serpeggia, infatti, l'ipotesi che Nestlè, più che voler sostituire la manodopera umana con quella robotica, cerchi di rientrare dei costi di stoccaggio e trasporto, a discapito dei dipendenti. L'Umbria, storicamente marginalizzata ed esclusa dalle grandi arterie autostradali e ferroviarie, potrebbe dunque rappresentare un territorio sul quale investire è poco conveniente, per lo meno in termini di grandi numeri come quelli su cui, giocoforza, big del calibro di Nestlè-Perugina, Colussi o Thyssen-AST devono ragionare. Non è certo un caso se tra il 2008 e il 2016, negli anni più duri della crisi, l'Umbria, un tempo fortemente industrializzata tanto da volgere lo sguardo più al Nord che a Roma, ha perduto il 13,7% del PIL, la seconda peggiore performance italiana dopo quella del Molise, ovvero 7,7 punti percentuali in più rispetto alla media nazionale (-6%).
La Regione si è recentemente impegnata ad investire, attraverso i fondi del governo, sulla modernizzazione infrastrutturale. La ex Ferrovia Centrale Umbra - che collega direttamente Perugia e Terni, senza transitare per Foligno e Spoleto - è in fase di passaggio ad RFI, allo scopo di integrarla alla rete ferroviaria nazionale ed "agganciarla" all'alta velocità, ma i lavori di adeguamento del tracciato sono cominciati da appena un mese e non termineranno prima di tre anni. Per quanto riguarda le strade, il progetto del Nodo di Perugia, ideato all'inizio degli anni Duemila, non è ancora partito, impedendo di creare un anello che fungesse da tangenziale Ovest-Sud attorno al capoluogo per decongestionare il traffico, separare il flusso automobilistico urbano da quello extraurbano ed evitare che l'incrocio tra le quattro superstrade che convergono sul capoluogo - E45/SS3bis (Orte-Ravenna), RA6 (Perugia-Bettolle), SS75-SS3 (Perugia-Foligno-Spoleto), SS318-SS77 (Perugia-Ancona) - diventasse un groviglio di automobili ed autoarticolati in coda.
Non è certo un caso se nel 1915, l'azienda del cioccolato decise di abbandonare i laboratori del centro storico per spostarsi in un nuovo grande stabilimento a pochi metri dalla Stazione ferroviaria di Fontivegge (Perugia centrale) e a pochissimi km da dove sarebbero sorte le principali arterie stradali della città. Insomma, parlando di Industria 4.0, logistica avanzata e connettività, il pensiero non può che andare alla disastrata situazione dei trasporti in Umbria. La speranza è che non sia troppo tardi per convincere gli investitori ad impegnarsi seriamente sul territorio di questa regione, un tempo terra di eccellenze ma oggi in forte crisi.
 
 
Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia

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