Doing Business. Cina super per clima investimenti, in due anni scalate 47 posizioni in classifica

shanghai 1484452 1920(ASI) Nella giornata di ieri, la Banca Mondiale ha pubblicato l'annuale rapporto Doing Business per il 2020. La presentazione del documento, diventata un appuntamento fisso ormai dal 2003, è il risultato finale di una serie di complessi studi ed analisi condotte nel corso dell'anno, e ha l'obiettivo di misurare, in base ad una serie di parametri, la facilità di fare impresa in 190 economie nazionali o territoriali, prendendo a riferimento le normative ed i regolamenti per le piccole e medie imprese locali vigenti nel centro economico più importante di ciascuno dei Paesi presi in esame, con l'aggiunta di una seconda città per 11 di loro.

I dieci parametri analizzati per la determinazione del punteggio finale sono relativi ai tempi e ai costi necessari all'avviamento di un'impresa, ai permessi di costruzione, all'accesso all'elettricità, alla registrazione della proprietà, all'accesso al credito, alla protezione degli investitori di minoranza, agli oneri fiscali, al commercio transfrontaliero, all'esecuzione dei contratti e alla risoluzione dell'insolvenze. A questi si aggiungono anche altri due parametri, avulsi dal punteggio e dalla classifica generale, ovvero la flessibilità sul mercato del lavoro e le procedure per le gare d'appalto.

Con uno score complessivo pari a 77,9 punti, nel rapporto di quest'anno, la Cina si piazza al 31° posto mondiale compiendo una considerevole scalata rispetto al 46° posto (73,64 punti) dello scorso anno e, soprattutto, al 78° (65,29 punti) di due anni fa, attestandosi persino al di sopra di economie avanzate come Francia (32a), Svizzera (36a), Belgio (46°) e Italia (58a). Un balzo in avanti impressionante, quello del Paese asiatico, che, secondo lo studio della Banca Mondiale, risulta fra le prime dieci economie per miglioramento nel punteggio assieme ad India, Arabia Saudita, Nigeria, Giordania, Togo, Bahrein, Tagikistan, Pakistan e Kuwait. La Cina spicca indubbiamente tra queste economie emergenti poiché, ad eccezione del Bahrein (43°), si piazzano tutte alle spalle del sessantesimo posto, dal 62° dell'Arabia Saudita e dal 63° dell'India sino al 108° del Pakistan e al 131° della Nigeria.

Secondo quanto affermato da Rita Ramalho, tra i coordinatori del progetto-studio Doing Business, «il momento topico delle riforme nella regione Asia-Pacifico va avanti, con significativi miglioramenti registrati in alcune economie, come ad esempio la Cina». In particolare, Pechino, con il suo imponente processo di riforma strutturale dell'offerta, ha fatto segnare consistenti passi in avanti in ben otto delle dieci aree prese in esame dalla Banca Mondiale: tempi e costi per l'avviamento di un'impresa, permessi di costruzione, accesso all'elettricità, protezione degli investitori di minoranza, oneri fiscali, commercio transfrontaliero, esecuzione dei contratti e risoluzione delle insolvenze. Restano leggermente più indietro gli ambiti della registrazione delle proprietà e dell'accesso al credito.

In cima alla classifica si confermano tradizionali colossi in termini di attrattività e competitività come Nuova Zelanda, Singapore, la regione amministrativa speciale di Hong Kong (calcolata, come di consueto, separatamente dalla Cina continentale), Danimarca, Corea del Sud e Stati Uniti. Tra gli outsider compare ancora una volta la Georgia, settima in classifica, che negli ultimi anni ha fatto registrare passi da gigante, piazzandosi persino davanti a Regno Unito e Norvegia, che chiudono la top-10 mondiale.

In generale, il rapporto evidenzia a partire dal 2004 un progressivo ma deciso abbattimento dei costi per l'avviamento di un'impresa nelle economie a reddito medio-basso che, in questo particolare aspetto, si stanno costantemente avvicinando alle economie a reddito alto. Parlando della Cina, nel dettaglio, gli esperti della Banca Mondiale ricordano come, assieme al caso dell'India, i leader abbiano posto l'accento sulla modernizzazione, modellando le loro strategie di riforma sulla base degli indicatori Doing Business. «Negli ultimi anni - sostiene il rapporto - la Cina ha mostrato entusiasmo nella riforma delle aree intercettate dal Doing Business», sottolineando come il suo utilizzo «quale indicatore di riferimento si allinei con l'ambizione del governo centrale di migliorare la competitività dell'economia cinese».

Nel concreto, Pechino ha messo in campo la riforma delle tasse sulle imprese «in modo consistente nel corso degli anni, con notevoli risultati». A titolo d'esempio, se nel 2006 un'azienda operativa a Shanghai impiegava mediamente «832 ore all'anno per preparare, presentare e versare le tasse», che comportavano ben «37 pagamenti», da quest'anno quello stesso monte orario si è ridotto «a sole 138 ore» per «7 pagamenti» totali. I tempi, dunque, sono stati abbattuti di sei volte ed il numero dei pagamenti di cinque volte.

A questo significativo processo di semplificazione ha contribuito anche la tecnologia digitale per effetto di nuovi servizi di pagamento attraverso applicazioni mobili quali WeChat e Weibo. Nel 2015, il governo cinese ha lanciato la cosiddetta Internet+Taxation Initiative, sfruttando il potenziale dei big data in chiave fiscale mentre nel 2017 l'Amministrazione Fiscale di Stato ha inaugurato il sistema Golden Tax III, finalizzato a «facilitare la presentazione on-line delle diverse imposte di registro». Inoltre, negli ultimi due anni, sono state approvate una serie di misure che hanno «semplificato le tasse sul reddito d'impresa, le tasse sul lavoro, le dichiarazioni IVA e la fatturazione elettronica».

Ovviamente non tutte le regioni della Cina sono paragonabili a Shanghai, Pechino o Shenzhen, tuttavia l'imponente lavoro di riforma e apertura sta migliorando il clima per gli investimenti anche nella Cina occidentale, in particolare nelle aree meno avanzate di quella parte del Paese. Con l'entrata in vigore, prevista a partire dal prossimo primo gennaio, della nuova legge sugli investimenti esteri, chiamata a migliorare l'accesso al mercato cinese per le imprese straniere e a potenziare i meccanismi di tutela dei diritti di proprietà intellettuale, il prossimo anno Pechino potrebbe avanzare ulteriormente in classifica, avvicinandosi sempre più al gruppo dei dieci di testa.

 

Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia

 

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