A Pechino tutto pronto per celebrare 70 anni di Repubblica Popolare: enormi progressi ma anche grandi sacrifici

138436520 15698525506231n(ASI) Considerando il fuso orario, il grande giorno per la Cina è ormai arrivato. Tra poche ore, Piazza Tienanmen, cuore politico e amministrativo del Paese, si riempirà di reparti delle Forze Armate pronti a marciare per celebrare il settantesimo anniversario della fondazione della Repubblica Popolare, ma anche di tanti cittadini ansiosi di ammirare la parata e di prendere parte ai numerosi eventi in questa settimana di festa.

Da qualche giorno è già stata installata una mostra che permette ai visitatori di conoscere gli straordinari progressi economici, sociali e tecnologici compiuti dalla Cina nel corso di questi settant'anni, in particolare negli ultimi quarantuno, da quando, cioè, Deng Xiaoping, il Piccolo Timoniere, avviò le politiche di riforma e apertura aprendo una stagione di sviluppo, avanzamento e modernizzazione senza precedenti nel mondo. In appena quattro decadi, infatti, la Cina ha praticamente colmato il suo divario industriale e tecnologico con l'Occidente, fino a superare - per innovazione e vendite - alcuni mercati tradizionalmente avanzati e specializzati in ambiti quali la telefonia mobile, l'informatica e la robotica.

Commentatori di tutto il mondo, dagli ambasciatori stranieri agli imprenditori esteri attivi in Cina sino a giornalisti ed esperti, hanno sottolineato in questi giorni l'impressionante livello di sviluppo e progresso raggiunto dal Paese asiatico, ormai guadagnatosi l'ammirazione di tantissime nazioni in via di sviluppo che, dall'Asia Meridionale all'America Latina e all'Africa, ne hanno fatto un modello di riferimento per il proprio cammino presente e futuro.

Pochi avrebbero potuto immaginare che quel primo ottobre del 1949, quando Mao Zedong proclamò la nascita del nuovo Stato a guida comunista, sarebbe iniziato un percorso tanto efficace da consacrare la Cina nel ruolo di seconda economia mondiale, addirittura prima se si considera il PIL a parità di potere d'acquisto. Quella asiatica è anche la prima potenza commerciale del pianeta, in virtù di un volume di interscambio di beni aumentato di oltre 4.000 volte dal 1950, ed il primo investitore mondiale in energie pulite, nonostante un calo in questo settore nel corso del 2019, e in infrastrutture. In questi settant'anni sono stati inaugurati 131.000 km di ferrovie, 4,85 milioni di km di autostrade, 127.000 km di vie navigabili e 8,38 milioni di km di rotte aeree. In sette decadi, le città urbanizzate sono passate da 132 a 672. Circa 800 milioni di cinesi (oltre il 70% del totale mondiale) sono stati strappati ad una condizione di povertà, aumentando l'aspettativa di vita dai 35 anni del 1949 ai 77 di oggi. Nello stesso periodo, la quota di popolazione povera delle aree rurali è scesa dal 97,5% all'1,7% del totale. Più in generale, un Paese che settant'anni fa era piombato nel cosiddetto terzo mondo è oggi una nazione a reddito medio-alto.

C'è ovviamente un prima e un dopo. Non tutto è stato facile ed in discesa, come chi non conosce la storia del Paese poterebbe pensare. L'avanzata decisiva dell'Esercito Popolare di Liberazione, ribattezzato nel 1946 col nome che porta ancora oggi, giunse a compimento di una lunga e tribolata fase storica, definita dai cinesi con l'emblematica espressione di "secolo delle umiliazioni", cioè oltre cento anni di guerre, colonizzazioni, carestie e crisi sociali. Cominciato nel 1839, con la prima Guerra dell'Oppio, questo periodo storico ha minato in pochi decenni le basi istituzionali, politiche e sociali di un impero fondato duemila anni prima dalla Dinastia Qin (221-206 a.C.) e colpito a morte, durante l'ultima fase della Dinastia Qing (1644-1911) da invasioni straniere e corruzione interna.

Nel 1911, la rivoluzione repubblicana di Sun Yat-sen (Rivoluzione Xinhai) aprì una nuova fase per il Paese, creando i presupposti per la fondazione della Cina moderna sulla base dei cosiddetti Tre Principi del Popolo: Mínzú, Mínquán e Mínshēng, ovvero unità nazionale, potere su base popolare e giustizia sociale. Eppure, dopo la morte di Sun nel 1925, il successore Chiang Kai-shek avviò una serie di campagne di annientamento nei confronti del Partito Comunista Cinese, fondato quattro anni prima in un momento di coesione nazionale che aveva permesso, sotto l'egida del Cremlino, la nascita del primo "fronte unito" tra nazionalisti e comunisti nella comune lotta contro i signori della guerra nel Nord del Paese.

Nonostante la sempre più incombente pressione militare giapponese, negli anni Trenta Chiang continuò incessantemente a colpire le milizie rosse che, tra il 1934 ed il 1935, furono costrette a compiere una delle più vaste manovre di ripiegamento della storia militare moderna: oltre 100.000 soldati dell'Armata Rossa Cinese percorsero 12.000 km, raggiungendo soltanto in circa 8.000 uomini la provincia centro-settentrionale dello Shaanxi. Malgrado le enormi perdite, la Lunga Marcia diventò un episodio simbolico: l'eroismo, il coraggio e il sacrificio mostrati da coloro che ne affrontarono le asperità accrebbero presso milioni di contadini cinesi il carisma e la popolarità di Mao Zedong, Zhu De, Zhou Enlai, Liu Shaoqi e di tante altre figure apicali, divenute quindici più tardi colonne portanti dell'élite politica e militare del Paese.

Quando il Giappone avviò su vasta scala le operazioni militari in Cina nel 1937, la situazione drammatica convinse Chiang Kai-shek a ratificare un nuovo accordo con i comunisti cinesi, dando vita al secondo "fronte unito". Tuttavia, la guerra civile fu solo rimandata. Pochi mesi dopo la resa del Giappone nel settembre 1945, il governo di Nanchino riprese le ostilità contro i comunisti cinesi ma in un contesto dove i rapporti di forza tra le parti si erano quasi completamente ribaltati. Col supporto militare degli Stati Uniti, Chiang Kai-shek tornò a colpire le aree del Paese in mano a Mao Zedong e ai suoi generali.

Dopo intensi scontri e bombardamenti, tra il settembre 1948 e il gennaio 1949, le milizie maoiste conquistarono l'intera Manciuria (Campagna di Liaoshen), le aree a nord del Fiume Azzurro (Campagna dello Huaihai), Tianjin e Pechino (Campagna di Pingjing). Circa tre mesi più tardi, l'Esercito Popolare di Liberazione prese anche Nanchino, costringendo i leader del Kuomintang alla fuga verso i territori insulari di Taiwan. Il primo ottobre dello stesso anno, Mao Zedong, dalla Porta del Cielo in Piazza Tienanmen, proclamò la nascita della Repubblica Popolare Cinese, concretizzando le parole pronunciate poche settimane prima alla Conferenza Politico-Consultiva del Popolo: «La nostra nazione non sarà più offesa e umiliata [...] Ci siamo alzati in piedi».

Gli anni della costruzione del nuovo Stato furono indubbiamente tra i più difficili e ancora oggi risultano di complessa e tutt'altro che agevole lettura storica. Sintetizzando è possibile affermare che due anime, già presenti nel Partito prima della presa del potere, cominciarono ad assumere contorni sempre più nitidi, indicando obiettivi e necessità diversi, sempre più inconciliabili fra loro. All'inizio degli anni Sessanta, quando il fallimento del Grande Balzo in Avanti provocò pesanti carestie, decretando il primo gravissimo errore politico di Mao, Liu Shaoqi e i suoi ne misero definitivamente in discussione la leadership, tornando ad indicare il vero problema del Paese: non la lotta di classe contro una borghesia per altro quasi inesistente, ma la generale arretratezza industriale e tecnologica.

La Rivoluzione culturale che Mao, pur non prendendovi mai parte direttamente, cercò di utilizzare per riconquistare il potere perduto, non fece che aggravare la situazione spaccando la società ed isolando il Paese in un contesto pesantemente condizionato da un più vasto scontro - quello della Guerra Fredda - che aveva insanguinato la Corea (1950-'53) e stava facendo pure di peggio in Vietnam (1964-'75). Quello compreso fra il 1966 e il 1976 è tutt'oggi ritenuto in Cina il vero "decennio perduto": dal punto di vista politico ed economico, indubbiamente, ma pure sociale e culturale. È stato anche l'ultimo vero dramma collettivo del Paese. Nessun altro scontro, né politico né generazionale, ha potuto minimamente eguagliare quella fase, nemmeno le tensioni di Piazza Tienanmen nel 1989, dove tanti media occidentali hanno sempre enfatizzato i toni della narrazione, a fronte di una situazione in realtà molto più complessa.

I millenial cinesi rappresentano di fatto la prima generazione che ha potuto vivere in un Paese sostanzialmente pacificato, sviluppato e denso di opportunità formative e professionali. Tuttavia, in Cina, a differenza di quanto si possa ritenere, le macchie del passato non sono state rimosse o nascoste. Vengono studiate ed affrontate costantemente perché dagli errori del passato si possa imparare e maturare, costantemente. Del resto, tale approccio fa parte della cultura di questa civiltà che, di fondo, rimane sempre la stessa malgrado i tanti cambiamenti.

Una leggenda taoista, richiamata da Mao nel 1945, narra di un anziano, di nome Yu Kong, intento con l'aiuto dei figli a spianare una montagna a colpi di zappa. Un altro anziano, vedendoli all'opera, scoppiò a ridere dicendo: «Che sciocchezza state facendo! Non potrete mai, da soli, spianare due montagne così grandi». Yu Kong rispose: «Io morirò, ma resteranno i miei figli. Moriranno i miei figli, ma resteranno i nipoti e così le generazioni si susseguiranno all’infinito. Le montagne sono alte, ma non possono diventare ancora più alte e ad ogni colpo di zappa, esse diverranno più basse. Perché non potremmo spianarle?».

Diversi storici, o semplici appassionati, hanno sempre collegato questa leggenda alla "pazienza" o alla "perseveranza", caratteristiche tipiche delle società orientali, ma oggi comprendiamo che, più opportunamente, questo racconto restituisce l'immagine plastica di quella che si è soliti chiamare "visione". I visionari della Cina di ieri, a partire dallo stesso Mao, da Liu Shaoqi e da Deng Xiaoping, hanno costruito le fondamenta della Cina di oggi. E forse, chissà, un giorno, anche in Europa, potremmo dover prendere atto che le idee di Xi Jinping sulla nuova Via della Seta, oggi viste mediamente con diffidenza da questa parte del continente eurasiatico, hanno anticipato i tempi della storia, cogliendone la direzione.

 

Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia

 

 
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