Il Presidente Trump a caccia di voti e i suoi limitati poteri.

(ASI)   Il 19 giugno 2019 il presidente Donald Trump ha iniziato ufficialmente la sua campagna elettorale per le nuove presidenziali del 2020. L’abitudine di tentare il secondo mandato ha suscitato, negli ultimi anni, un vivace dibattito tra gli studiosi del diritto pubblico e delle scienze politiche degli Stati Uniti d’America.

Ciò che desta maggiore interesse è il cosiddetto potere condizionale che affligge il Presidente nell’esercizio dei suoi poteri.

In realtà, la Casa Bianca ha visto crescere enormemente le sue competenze, dal lontano giorno in cui, i padri fondatori, redigendo la Costituzione, scelsero d’istituire il Congresso, composto dal binomio Camera dei Rappresentanti – Senato, da una parte e il Presidente degli Stati Uniti, dall’altra.

La formula era ispirata alla rigida separazione dei poteri, che, nel corso del tempo, si è rivelata particolarmente efficace, dato che i Costituenti erano preoccupatissimi dalle figure dei regnanti europei legibus soluti che, come il re d’Inghilterra, tentavano di mettere le mani sulle colonie americane.

Ma torniamo al dibattito sul Presidente. La riflessione che occupa gli esperti è indirizzata sia al crescente potere della West Wing, sia alle modalità di esercizio di questo potere che ha trovato forti limitazioni in presenza di determinati fattori.

 Come è noto, negli Stati Uniti, il potere legislativo appartiene al Congresso, mentre quello esecutivo al Presidente. Quest’ultimo, però, può proporre alle Camere delle proposte di legge e poiché dispone di numerosi consiglieri, esperti nelle diverse branche delle scienze, si trova in una posizione, per così dire agevolata, rispetto al Congresso, più lento nei movimenti e più difficile da coordinare. La Nazione, nei momenti di crisi guarda alla Casa Bianca per ottenere soluzioni rapide ed efficaci, anche se non sempre il popolo sembra essere consapevole del complesso procedimento legislativo.

Ma perché si parla di potere condizionale? Una prima risposta potrebbe risiedere nel fatto che, quando il Presidente vuole vedere approvata una sua proposta di legge, dovrebbe avere la maggioranza del suo partito in Parlamento e questo non sempre si verifica. Basti ricordare il caso del presidente Reagan, passato alla storia come un Presidente forte, autore del crollo del comunismo, ma che fu più volte sconfitto, proprio nei suoi disegni di legge.

Durante il suo mandato il Congresso era in mano ai Democratici, che non gli consentirono la promulgazione dei suoi progetti.

Un altro motivo che può spiegare il condizionamento della Casa Bianca, collegato al Precedente, è dato dalla compattezza dei partiti politici. Fino alla metà del novecento, per un fenomeno che può apparire bizzarro agli occhi di un europeo, negli Stati Uniti i partiti non erano concordi al loro stesso interno. Solo per fare un esempio potremmo citare i democratici del sud. Mentre il loro partito si andava delineando come il portavoce delle istanze collegate ai diritti umani e delle classi meno abbienti, la frangia meridionale era fortemente conservativa. Questa discrasia rendeva più incerta l’opera del Congresso di fronte a temi molto scottanti, come l’uguaglianza degli Afroamericani, consentendo alleanze trasversali in sede di votazione.

Nel corso degli anni i partiti sono divenuti più omogenei al loro interno, consentendo una maggiore compattezza in fase di promulgazione delle leggi, pro o contra anche le proposte del Presidente che, se non può beneficiare della maggioranza del suo partito tra gli scranni, difficilmente vedrà approvato un suo disegno.

Ultimus sed non postremus, il problema della rielezione, di cui accennavamo all’inizio. Quando si avvicinano le elezioni, i Presidenti che puntano a vedersi rinnovato il mandato, iniziano a diventare meno coraggiosi e più inclini a praticare una politica di gradimento nei confronti di possibili elettori. Ecco allora che, anche in questo caso, si torna a parlare di potere condizionale, nel senso che le attività della Casa Bianca saranno fortemente condizionate da sondaggi, opinione pubblica, nuovi bacini elettorali prima trascurati e cosi via.

In conclusione potremmo affermare che il Presidente degli Stati Uniti, pur essendo l’uomo più potente del pianeta, non ha tutto quel potere che vorrebbe e che tutto il mondo crede che abbia.

Francesco Maiorca – Agenzia Stampa Italia

              

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