Scambio di attacchi aerei fra India e Pakistan, ma la guerra dura da 72 anni

105764133 1551272772367ap 19058281561730.530x298(ASI) Le ostilità esistono dal 1947, quando i due Stati si sono separati, tanto che in India e Pakistan le nuove ostilità appaiono come una consuetudine. Al confine si tengono periodicamente perfino delle parate militari, per mostrare il potere bellico e l’inimicizia fra i due schieramenti.


C’è una particolarità che caratterizza però gli ultimi giorni di alta tensione alla frontiera del Kashmir, quando uno scambio di raid aerei ha seguito l’attentato del gruppo armato pachistano Jaish-e-Mohamed il 14 febbraio a Pulwama, nel quale sono morti 40 paramilitari indiani. Se questa è la più grave crisi dal 1971, di fatto è la più seria da quando i due Paesi sono entrambi potenze nucleari, minacciando la sicurezza della regione.
L’aviazione indiana ha reagito bombardando il 26 febbraio un campo di addestramento di presunti terroristi nella provincia pachistana di Khyber Pakhtunkhwa. A sua volta il Pakistan ha replicato abbattendo due caccia indiani che sorvolavano il confine e ha teso la mano chiedendo una tregua dopo aver pareggiato i conti.
Negli ultimi anni non sono mancati altri attacchi, come quello di Mumbai nel 2008 che ha provocato la morte di 165 persone, dove il governo pachistano è visto da Nuova Delhi come complice dei gruppi terroristici. Ora però il contesto è diverso, quando il primo ministro Narendra Modi deve affrontare ad aprile e maggio le elezioni per ottenere il secondo mandato come candidato del suo partito di destra Bharatiya janata party (Bjp). Lo schieramento politico si è mostrato progressista su alcuni aspetti, ma allo stesso tempo non può rinunciare alla vocazione nazionalista richiesta dall’elettorato, che obbliga il governo a mostrare fermezza nei confronti del Pakistan. La stessa opposizione ha chiesto a Modi una rappresaglia militare che regolasse i conti con il bellicoso paese di confine.
Imran Khan non ha invece di fronte a sé appuntamenti elettorali nell’immediato, ma deve allo stesso modo difendere l’interesse nazionale. A differenza dei rivali indiani può formalmente chiedere una tregua e negoziare la pace ma, come è avvenuto negli ultimi decenni, può chiudere un occhio sull’operato dei terroristi presenti sul territorio del proprio Paese, quasi tutti schieramenti nazionalisti che usano le armi per colpire il nemico, senza coinvolgere il governo centrale.
Ora però le tensioni sono irrimediabilmente esplose e sarà necessario un passo indietro da parte dei due leader per evitare un’escalation, magari senza perdere la faccia di fronte ai propri elettori. Dipenderà molto da cosa vorrà Modi con le elezioni che incombono, ora che Khan è pronto a trattare. Di fronte al rischio concreto di uno scontro nucleare sono pronte a mediare anche potenze straniere come Stati Uniti, Russia e Cina, ma quanto conterà la loro influenza per uno Stato concorrente come l’India, che sulla spinta delle riforme dello stesso primo ministro è cresciuta negli ultimi 5 anni il 7% l’anno?
Modi è poi vincolato al suo passato nazionalista, quando nel 2002 si affermò sulla scena politica nello Stato del Gujarat, un territorio tormentato da veri e propri pogrom anti-musulmani. Oggi in India gli Indù nel Paese sono circa l’80%, mentre i musulmani sfiorano il 20. Anche su queste percentuali si deve basare l’azione politica del primo ministro con le elezioni alle porte.
Per un popolo che vive un clima di guerra con i vicini pachistani da 72 anni, nato persino prima di quello che ha condizionato la vita dei coreani di Seul e Pyongyang.
Lorenzo Nicolao – Agenzia Stampa Italia

 
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