Cina. Il giapponese Abe sbarca a Pechino: seconda e terza economia mondiale fanno fronte comune?

136745377 15104436471751n(ASI) Il primo ministro giapponese Shinzo Abe è arrivato oggi a Pechino per una visita di tre giorni in Cina, dove incontrerà i massimi vertici istituzionali del Paese di mezzo. Sarà l'occasione per celebrare i quarant'anni dall'entrata in vigore del Trattato di Pace e Amicizia tra i due Paesi, avvenuta proprio il 23 ottobre del 1978, a seguito dell'accordo raggiunto durante l'estate di quell'anno tra i due ministri degli Esteri Huang Hua e Sonao Sonoda. A quel tempo fu l'allora leader cinese Deng Xiaoping, artefice delle politiche di riforma e apertura del gigante asiatico, a raggiungere Tokyo per ufficializzare l'intesa. Oggi - segno dei tempi - è invece il capo di governo nipponico a raggiungere la capitale cinese.

Il Trattato ha una durata quarantennale ed è previsto in scadenza per il 30 giugno 2019. L'incontro, dunque, potrebbe prevedere una nuova stretta di mano che ne estenda, presumibilmente per altri quarant'anni, la durata. Sulla base della normalizzazione dei rapporti bilaterali nel 1972, i negoziati, cominciati nel 1974 con tre accordi preliminari su commercio, spazio aereo e navigazione, e proseguiti l'anno dopo con un quarto accordo sulla pesca, portarono col tempo ad un'intesa più generale su vasti ambiti di cooperazione quali politica, economia, scienza, tecnologia e cultura, oltre al fondamentale aspetto della sicurezza nella regione Asia-Pacifico.

Con l'apertura agli investimenti esteri, nel corso degli anni Ottanta, diverse aziende giapponesi cominciarono ad operare in Cina, sfruttando le potenzialità di un mercato allora caratterizzato da un'alta intensità di manodopera a basso costo e da un'elevata domanda di trasferimento tecnologico. Con lo straordinario sviluppo economico del Paese di mezzo ed il suo ingresso nel WTO (2001), l'interscambio commerciale sino-giapponese è esponenzialmente aumentato. 

Non sono certo mancati i momenti di tensione, non solo e non tanto in materia di pratiche commerciali, ma anche e soprattutto dal punto di vista politico-diplomatico. Negli ultimi otto anni in particolare, a rimarcare le distanze fra i due Paesi sono stati dapprima il rinfocolarsi della disputa sulle isole contese (Diaoyu per Pechino, Senkaku per Tokyo) tra il 2010 e il 2012, a seguito di alcune decisioni del governo giapponese in merito allo sfruttamento di quei fondali, e poi la proposta di riforma costituzionale annunciata nel 2014 dallo stesso Abe in relazione alla revisione dell'Art. 9, ovvero quello che stabilisce la natura pacifica ed antimilitarista del Giappone post-bellico, impedendo tuttavia allo Stato - secondo l'interpretazione dei promotori - di poter inquadrare e normalizzare le Forze di Autodifesa (Jeitai) in base ai criteri di un vero e proprio organismo di forze armate.

Sebbene tale questione riguardi prevalentemente i rapporti strategici fra Tokyo e Washington, la visita di Abe nel 2013 al santuario Yasukuni - dove, fra i circa 2,5 milioni di soldati ricordati ve ne sono elencati in lista 1.068 giudicati colpevoli per gravi crimini di guerra - aveva scatenato le ire non solo della Cina ma anche della Corea del Sud, due dei Paesi maggiormente colpiti dall'imperialismo nipponico nella prima metà del Novecento, lasciando supporre che quella proposta di riforma costituzionale nascondesse l'intenzione di avviare un avventato piano di riarmo da parte di Tokyo.

Oggi questo rischio pare completamente scongiurato, in favore di una nuova fase di cordialità e amicizia tra i due Paesi. All'orizzonte non c'è soltanto l'intenzione di chiudere una volta per tutte le ostilità di oltre un secolo di contrapposizioni per contribuire allo sviluppo pacifico delle relazioni multilaterali nella regione Asia-Pacifico, ma anche la volontà di convogliare questo rinnovato clima di distensione fra la seconda e la terza economia mondiale verso un solido rapporto di cooperazione a tutto campo.

«La Cina proseguirà incessantemente nel suo percorso di riforma e apertura», ha sottolineato il primo ministro cinese Li Keqiang, citato da Xinhua, aggiungendo che «l'apertura su più vasta scala del Paese al resto del mondo ha fornito più ampi spazi di cooperazione ad altissimo livello fra Cina e Giappone». Il premier cinese ha infine esortato il Giappone a partecipare più attivamente a questa nuova fase dello sviluppo della Cina. «Il Giappone e la Cina condividono una grande responsabilità per la prosperità regionale e mondiale», ha detto dal canto suo il primo ministro Abe durante la conferenza stampa tenuta a Tokyo poco prima di imbarcarsi sul volo di Stato per Pechino. Secondo quanto riportato da Xinhua, il capo di governo giapponese ha poi aggiunto di voler discutere con la leadership cinese della necessità di stabilire un sistema commerciale libero ed equo, di fronte al riemergere di pesanti misure protezionistiche che preoccupano entrambi i Paesi.

Abe ha evidentemente compreso che la Cina potrebbe essere soltanto il primo grande obiettivo dei dazi di Donald Trump. Dopo Pechino, infatti, potrebbe toccare proprio al Giappone, oltre che all'Unione Europea, finire nel mirino delle aggressive politiche commerciali di Washington. Non a caso, all'ultimo vertice ASEM di Bruxelles della scorsa settimana, le maggiori economie dell'Europa e dell'Asia hanno trovato una sostanziale convergenza in difesa del sistema multilaterale del commercio, sottolineando «l'esigenza fondamentale di mantenere un'economia mondiale aperta e il sistema commerciale fondato su regole imperniato sull'Organizzazione Mondiale del Commercio», come recita il comunicato ufficiale del Consiglio UE.

Sul tavolo dell'incontro Cina-Giappone ci saranno anche i due grandi progetti economici avanzati da Pechino. Sul lato del commercio, il Partenariato Economico Globale Regionale (RCEP), prossimo alla conclusione dopo quasi sette anni di negoziati, mirato a creare la più grande area di libero scambio al mondo fra i Paesi che attualmente compongono il vertice ASEAN+6: i dieci Paesi membri della Comunità Economica del Sud-est asiatico (AEC), la Cina, il Giappone, la Corea del Sud, l'India, l'Australia e la Nuova Zelanda. Sul lato degli investimenti, invece, a catturare le attenzioni del leader giapponese - dopo l'iniziale diffidenza di qualche anno fa - è l'iniziativa Belt and Road per la ricostruzione in chiave moderna delle antiche direttrici terrestri e marittime della Via della Seta, con grandi margini di cooperazione nei Paesi terzi dell'Asia Centrale, del Subcontinente indiano e del Medio Oriente, dove l'elevato know-how e l'expertise cinese e giapponese in materia di infrastrutture e trasporti potrebbero trovare un terreno comune.

 

Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia

 

 

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