La lira turca recupera, ma la crisi rimane. Erdogan attacca Trump

(ASI) Ankara- Rimbalza il valore della lira turca dopo giorni di perdite. Respirano i mercati europei, anche in Italia dove lo spread fra i Btp e i Bund tedeschi è sceso dopo giorni di rialzi e preoccupazione.

 

Il +6% restituisce ossigeno a un contesto economico a rischio contagio, dopo che la lira turca aveva perso quasi il 50% del proprio valore rispetto al dollaro. Venerdì 10 agosto l’apice della crisi con il -15% in un solo giorno, per un totale del -35% all’apertura delle borse lunedì 13, comparato con l’inizio dell’anno.

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan è convinto che la crisi sia tutta opera della politica dei dazi sull’acciaio e l’alluminio del presidente americano Donald Trump. «Dopo il golpe fallito il 15 luglio 2016 gli Stati Uniti per batterci hanno puntato sui ricatti economici», ha detto Erdogan. Ma quanto sta accadendo nei mercati turchi è dovuto anche alla crescita dell’inflazione (rialzo di 20 punti in pochi giorni), inesorabile dopo l’erogazione della moneta per finanziare lo Stato negli ultimi mesi.

La tensione fra i due Paesi alleati nella Nato sta spingendo Ankara a cercare altri partner che possano sostenere una Turchia in difficoltà. Su tutti la Russia di Vladimir Putin e l’Iran di Hassan Rouhani.
Lunedì 13 agosto sono trapelate delle indiscrezioni sull’incontro fra il ministro degli Affari esteri russo Sergej Lavrov e il primo ministro turco Cavusoglu ad Ankara. La riunione degli ambasciatori riportata dalla portavoce del Cremlino Maria Zakharova metteva al centro del dialogo la crisi siriana e il progetto per la costruzione di una centrale nucleare, ma i rappresentanti dei due Paesi avranno certamente anche parlato di nuovi rapporti bilaterali.

Con gli Stati Uniti la disponibilità della diplomazia turca è ai minimi termini. Le ritorsioni economiche di Washington, usate per Erdogan come «palle di cannone» dalla Casa Bianca, sono conseguenza della mancata estradizione del pastore evangelico statunitense Andrew Brunson, ora ai domiciliari in Turchia e incarcerato dal 2016. Il governo di Ankara è convinto sia legato all’Imam Fetullah Gulen, mente del golpe ai danni di Erdogan e ora rifugiato politico proprio negli Stati Uniti.

Trump ha ribadito che i destinatari delle sanzioni sono il ministro dell’Interno turco Suleyman Soylu e quello della giustizia Abdulhamit Gul, «perché responsabili delle gravi violazioni dei diritti umani perpetrate in Turchia». Erdogan ha replicato seccamente, affermando che la guerra commerciale del presidente Usa vuole portare la Turchia a ricorrere al Fondo Monetario Internazionale, sacrificando così la propria indipendenza. Il leader turco ha poi detto che i prodotti elettronici realizzati in America saranno boicottati in tutto il Paese, favorendo quelli asiatici, ma non ha ancora chiarito come queste limitazioni saranno attuate.

Le ragioni della crisi economica turca e dell’indebolimento della lira sembrano di giorno in giorno sempre più politiche, ma è evidente che perfino un leader autocratico come Erdogan non possa ignorare l’economia del proprio Paese. Il pugno duro di Trump ha fatto leva su valori economici già instabili.     

Lorenzo Nicolao – Agenzia Stampa Italia

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