Siria, 40 morti in attacchi. Damasco accusa Usa e Gb

TRUMP ASI copy copy copy

(ASI) Due attacchi sono stati realizzati, attorno alle ore 22:30 di ieri, contro un deposito di armi della 47 esima brigata dell’esercito siriano a Nahr al Bard, a circa 60 chilometri a nord ovest di Hama, in cui sono stanziate anche le truppe di Teheran e ai danni di una base non lontana dall’aeroporto di Aleppo.

I media locali hanno riferito che le azioni hanno provocato il ferimento di una sessantina di persone e la morte di 40 soldati di Damasco, tra cui 18 iraniani. In base a quanto si è appreso, sarebbero stati lanciati 9 missili balistici dalle strutture militari, americane e britanniche, situate in Giordania (dettaglio non confermato da fonti indipendenti). La paternità dell’accaduto era stata attribuita, in un primo momento, a Israele che aveva ribadito nelle ultime ore, dopo diversi contatti con Washington, di non volere creare pericoli nei confronti della presenza russa in Siria, rivendicando tuttavia la possibilità di azioni contro la minacciosa presenza iraniana nel paese.

 

La nuova iniziativa bellica è giunta al termine della giornata di ieri che è stata caratterizzata dalla vittoria dei soldati sostenuti da Assad, nei pressi della città di Deir al - Zor nella parte orientale del fiume Eufrate ricca di risorse economiche, contro le Forze Democratiche siriane guidate dai curdi. La Reuters ha riportato che gli Stati Uniti avrebbero utilizzato la linea diretta di comunicazione, istituita per evitare incidenti con i russi, senza aggiungere tuttavia ulteriori particolari. Una fonte occidentale, citata dalla medesima agenzia di stampa, ha dichiarato che avrebbero preso parte ai combattimenti, di ieri mattina, persino le forze del pentagono. La situazione sul terreno tra queste ultime e quelle del regime resta molto tesa, soprattutto dopo i raid aerei attuati dall’amministrazione Trump in coordinamento col Regno Unito e con la Francia (Parigi e Washington avrebbero avvisato preventivamente Mosca in merito ai target da distruggere), lo scorso 14 aprile, in risposta a un presunto attacco chimico compiuto, a loro parere, dall’esercito di Damasco nella regione della Douma orientale. La Russia starebbe trasferendo, intanto, i suoi potenti sistemi missilistici in loco per evitare ulteriori rappresaglie occidentali (resta da capire il motivo per cui le contraeree, anche questa notte, non sarebbero entrate in azione). Israele ha espresso preoccupazione per il potenziamento dell’esercito siriano, di cui potrebbe beneficiare anche l’Iran che Tel Aviv considera una seria minaccia alla propria sicurezza nazionale. Il segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, aveva espresso (sempre ieri) forte preoccupazione per il rafforzamento del paese degli Ayatollah in Siria. Lo scenario è reso qui ancora più complicato dalla denuncia, dei generali americani, secondo cui l’esercito russo avrebbe lanciato un attacco elettronico per creare difficoltà alle operazioni attuate dall’aviazione della Casa Bianca (notizia né confermata, né però smentita, ad Agenzia Stampa Italia da una fonte della Nato che ha chiesto l’anonimato). Il ministro degli Esteri di Mosca aveva accusato duramente, sabato scorso, l’Occidente di volere “riformattare il Medio Oriente”, dividendo la Siria in tre parti. Sergej Lavrov aveva rassicurato tuttavia, pochi giorni prima, sul fatto che Trump e Putin si incontreranno al più presto, evidenziando in particolare la certezza di entrambi sul fatto che sarà evitata, al 100%, una guerra diretta tra i loro paesi. C’è da augurarsi che tale auspicio si concretizzi, fermando così il bagno di sangue che prosegue in Siria dal 2011 e che ha già provocato oltre 500 mila morti.

Marco Paganelli – Agenzia Stampa Italia

Continua a leggere