BRICS. Da Xiamen, Xi Jinping lancia le proposte per una nuova governance globale
brics3(ASI) Dal 3 al 5 settembre scorsi, nella città costiera cinese di Xiamen è andato in scena il 9° vertice generale dei Paesi del BRICS, tra i leader delle cinque potenze in ascesa di Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica. Sebbene marginalizzato, o comunque sottodimensionato, dai media generalisti occidentali, specie quelli radiotelevisivi, l'evento, dal significativo titolo Un più forte partenariato per un più radioso futuro, ha confermato l'importanza di queste economie e la loro crescente influenza in campo internazionale.

Nel 2001, anno in cui l'economista britannico Jim O'Neill coniò l'acronimo BRIC (prima che il Sudafrica vi facesse ingresso, aggiungendo la "S" alla fine), il blocco di questi Paesi contribuiva all'8% dell'economia mondiale, mentre oggi pesa quasi per il 22%. Le tendenze di medio-lungo periodo sembrano poter sciogliere anche i dubbi sulla loro tenuta, emersi tra il 2014 ed il 2015 in concomitanza con il rallentamento globale. Russia e Brasile hanno lentamente ripreso la marcia dopo oltre due anni di recessione, la Cina è entrata in una fase di nuova normalità che la vede viaggiare ad un ritmo compreso tra il 6,5 ed il 7%, l'India è cresciuta ad un ritmo del 7,6% nel 2016 con una previsione del 7,1% per quest'anno, mentre il Sudafrica, dopo una lunga fase di incertezza, ha segnato un +2,5% nel secondo trimestre di quest'anno.
 
La visione globale di Xi Jinping
«Un rapporto costruito col giusto approccio sfida la distanza geografica. È più viscoso della colla e più forte del metallo e della pietra». Con questo antico adagio cinese, il presidente Xi Jinping ha voluto cominciare lo scorso 4 settembre il suo discorso a Xiamen, riportato da Xinhua, salutando il decennio di cooperazione tra i cinque protagonisti assurti a capofila ed emblema delle economie emergenti di tutto il mondo. Il leader cinese ha ricordato il rispetto reciproco, la «cooperazione economica, politica e tra i popoli in uno spirito aperto, inclusivo e caratterizzato dal mutuo vantaggio», ed il lavoro congiunto «con gli altri mercati emergenti ed i Paesi in via di sviluppo per sostenere la giustizia e l'equità internazionale».
La cooperazione fra i cinque membri ha raggiunto livelli molto alti, eppure c'è ancora un grande spazio di manovra. «Le statistiche - ha sottolineato Xi Jinping - evidenziano che dei 197 miliardi di dollari che i nostri Paesi hanno investito all'estero nel 2016, soltanto il 5,7% ha riguardato le nostre economie». Proprio al fine di rendere più concreta e tangibile la cooperazione intra-BRICS, il presidente cinese ha ricordato che quest'anno sono stati elaborati la Roadmap del BRICS per la Cooperazione nel Commercio di Servizi, le Linee-Guida del BRICS per la Facilitazione degli Investimenti, l'Iniziativa del BRICS per la Cooperazione nell'E-Commerce, il Piano d'Azione del BRICS per la Cooperazione nell'Innovazione ed il Piano d'Azione per l'Approfondimento della Cooperazione Industriale tra i Paesi BRICS.
«Abbiamo lanciato il Centro Regionale Africano della Nuova Banca per lo Sviluppo (NDB), abbiamo deciso di stabilire il Modello E-Port Network del BRICS e concluso accordi estesi in materia di tassazione, e-commerce, obbligazioni in valuta locale, partenariati pubblico-privato e reti di istituzioni e servizi finanziari», ha aggiunto Xi Jinping, che ha anche annunciato lo stanziamento iniziale, da parte di Pechino, di 500 milioni di yuan (pari a circa 65 milioni di euro) per il lancio del Piano di Cooperazione Economica e Tecnica dei Paesi BRICS al fine di facilitare lo scambio di politiche e la cooperazione pratica negli ambiti dell'economia e del commercio.
L'impegno della Cina è quello di coordinare le politiche adottate nell'ambito della cooperazione tra i BRICS con gli obiettivi dell'Agenda ONU al 2030 per lo Sviluppo Sostenibile. «Dobbiamo identificare quelle aree verso cui convergano le nostre politiche e priorità di sviluppo, e continuare a lavorare allo scopo di raggiungere l'obiettivo della connettività nel commercio e negli investimenti, nella politica monetaria e nella finanza, e nelle infrastrutture». Il quadro delle aree di intervento prevede l'espansione degli interessi comuni e la condivisione delle esperienze negli ambiti dell'innovazione, dell'imprenditoria, dell'avanzamento industriale e della produttività, «per rafforzare il rispettivo sviluppo economico» di ognuno dei Paesi del BRICS.
Alla base di queste direttrici economico-finanziarie, c'è una visione politica che vede nel «multilateralismo» e nelle «norme fondamentali che governano le relazioni internazionali» gli strumenti per la realizzazione di un «nuovo tipo di rapporti internazionali» e l'affermazione di un «clima stabile e pacifico per lo sviluppo di tutte le nazioni». A questo proposito, Xi Jinping ha ricordato che i Paesi del BRICS dovranno rendere la globalizzazione economica «aperta, inclusiva, equilibrata e vantaggiosa per tutti», costruendo «un'economia mondiale aperta», supportando «un sistema commerciale multilaterale» ed opponendosi al protezionismo. Secondo il presidente cinese, tutto questo sarà possibile aumentando la rappresentanza e la voce dei mercati emergenti e dei Paesi in via di sviluppo.
 
I cinque ospiti speciali
Il summit di Xiamen ha inserito in cartello anche il Dialogo tra le Economie di Mercato Emergenti e i Paesi in Via di Sviluppo, andando a coinvolgere altre cinque realtà di rilievo, a partire dal Messico, dall'Egitto e dalla Thailandia. Anche il Tagikistan e la Guinea, tuttavia, nei rispettivi contesti regionali svolgono - o potrebbero svolgere - un ruolo non secondario.
Il Messico è uno dei più grandi produttori di petrolio e costituisce il vero e proprio baricentro geopolitico tra le due porzioni del Continente americano. Nei suoi quasi cinque anni di presidenza, Enrique Peña Nieto, noto per le sue posizioni centriste e moderate, aveva sin qui mantenuto un solido partenariato con gli Stati Uniti, pur guardando con crescente interesse anche a Cina, Russia ed Europa. Ora, le cose potrebbero cambiare in conseguenza della politica ostile di Donald Trump, non tanto nel tentativo di bloccare l'immigrazione clandestina dal Messico attraverso il progetto di potenziamento/completamento della barriera di confine, già rafforzata dal Secure Fence Act del 2006, quanto piuttosto nella proposta di accollarne le spese di realizzazione al governo messicano e nel paventato ritiro unilaterale di Washington dal Trattato Nord-Americano di Libero Scambio (NAFTA), che include anche Canada e Messico.
Dal canto suo, l'Egitto è il Paese più importante del mondo arabo. Al controllo del Canale di Suez e alle notevoli riserve di materie prime, va aggiunta anche la centralità politico-culturale rispetto all'intero panorama dell'Islam sunnita, in virtù del decisivo ruolo dottrinale svolto dall'Università al-Azhar del Cairo. L'ascesa al potere del generale al-Sisi, che defenestrò nel 2013 l'ex presidente Mohamed Morsi, espressione dei Fratelli Musulmani, ha progressivamente spostato gli equilibri anche in Siria, Iraq e Libia, avvicinando notevolmente l'Egitto alla Russia pur senza venire meno, almeno per ora, agli impegni assunti nell'ambito della Lega Araba al fianco di sauditi ed emiratini.
La Thailandia è uno dei cinque Paesi membri fondatori dell'Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico (ASEAN), che dalla fine degli anni Novanta ne include altri cinque, andando a comporre un PIL aggregato pari a circa 2.800 miliardi di dollari, tanto da fare della regione la settima economia mondiale. Unico Paese dell'area a non aver subito la colonizzazione europea nel corso del XIX secolo, quando era ancora noto come Regno del Siam, dopo il 1945 la Thailandia, sebbene caratterizzata per decenni da una forte instabilità politica, fu uno dei più stretti alleati degli Stati Uniti in Asia. Oggi è la Cina ad investirvi in modo significativo, a partire dal progetto da 5,2 miliardi di dollari per la modernizzazione della linea ferroviaria Bangkok-Nakhon Ratchasima, nel quadro del più esteso piano di collegamento ad alta velocità tra la città cinese di Kunming e la città-Stato di Singapore.
Il Tagikistan è, assieme al Kirghizistan, il più piccolo Paese dell'Asia Centrale. Non può competere in termini di risorse naturali con i vicini del Kazakhstan, dell'Uzbekistan e del Turkmenistan ma occupa una posizione strategica, incuneandosi tra Cina, Afghanistan, Pakistan ed il resto della regione centrasiatica. Nel 2004, in collaborazione con Pechino, fu riaperto al traffico stradale e commerciale il Passo Kulma, un valico montano di confine rimasto inaccessibile per oltre un secolo, posizionato ad oltre 4.000 metri di altezza sulla catena del Pamir.
La Guinea, piccola ed arretrata nazione francofona dell'Africa Occidentale, bagnata dall'Oceano Atlantico, si trova proprio al centro della rotta immaginaria tracciabile dal Brasile all'Europa. Colpita, assieme ad altri Paese della regione, dalla grave epidemia di Ebola tra il 2014 ed il 2016, la Guinea si sta ora riprendendo ed attivando per recuperare gli investimenti esteri ed il flusso turistico perduti. Alla luce degli ingenti investimenti cinesi sul trasporto ferrato in patria e all'estero, ipotizzando futuri collegamenti ferroviari moderni tra la capitale Conakry e Algeri, via Bamako (Mali) e Tindouf (Algeria), non è difficile immaginare la possibilità di trasportare in maniera intermodale le merci tra l'Europa e l'America Latina, evitando la navigazione per intero, sino allo Stretto di Gibilterra.
 
 
Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia
 
 
 
 
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