Cina. Da Dalian un monito a coniugare inclusione e globalizzazione
Andrea Fais
(ASI) Si è chiusa oggi a Dalian, nella provincia cinese del Liaoning, l'edizione 2017 dell'Incontro Annuale dei Nuovi Campioni del Forum Economico Mondiale, conosciuta anche col nome informale di Davos estiva. Se l'appuntamento dello scorso anno a Tianjin si era concentrato sull'innovazione e sull'Industria 4.0, stavolta il vertice ha affrontato i temi della stabilità, della sostenibilità e dell'inclusione sociale proprio nel contesto della quarta rivoluzione industriale.
Nel suo intervento introduttivo, il primo ministro cinese Li Keqiang ha sottolineato che «rispetto alle precedenti rivoluzioni industriali, la quarta offre maggiori possibilità di condurre ad una crescita inclusiva, in virtù dei cambiamenti rivoluzionari occorsi in tanti settori industriali grazie agli avanzamenti tecnologici apportati da Internet, dalla digitalizzazione e dall'intelligenza artificiale».
In questo processo di inclusione, secondo il premier cinese, la globalizzazione economica gioca un ruolo determinante ma va guidata meglio, attraverso la ricerca delle buone opportunità, la facilitazione e la liberalizzazione del commercio e degli investimenti ed il perseguimento di modalità di sviluppo che promuovano contemporaneamente la produttività e l'equità.
 
Un contributo decisivo all'economia mondiale
Secondo il fondatore del Forum Economico Mondiale, Klaus Schwab, «la crescita della Cina contribuisce in modo straordinario all'economia globale». Stando ai dati ufficiali, l'andamento economico della potenza asiatica si è finora rivelato il principale fattore di stabilizzazione e traino dell'economia mondiale, contribuendo addirittura al 30% della crescita globale alla luce di un ritmo pari al 6,9% registrato nel primo trimestre di quest'anno rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso.
Oltre al dato strettamente quantitativo, tuttavia, è la composizione della crescita cinese a suscitare maggiore entusiasmo. Nel 2016, infatti, il 64,6% del PIL cinese è stato frutto dei consumi, mentre il terzo settore ha contribuito alla produzione per il 51,6%. Queste cifre, meglio di altre, ci consegnano il quadro di un Paese in trasformazione, capace di rispondere abbastanza bene alle tappe che si è dato nel nuovo percorso della riforma strutturale dell'offerta, previsto dal 13° Piano quinquennale.
Le cinque parole d'ordine di questo processo di cambiamento sono ormai un vademecum per la politica nazionale a tutti i livelli, dal governo centrale alle province e alle municipalità, passando per le regioni autonome: innovazione, coordinamento, verde, apertura e condivisione. Questi cinque pilastri vanno così a comporre il paradigma di sviluppo in base al quale Pechino intende affrontare la globalizzazione, seguendo l'idea del «mare da cui è impossibile chiamarsi fuori» ma nel quale, al contrario, si deve «saper nuotare», spiegata dal presidente Xi Jinping durante l'ultimo Forum Economico Mondiale del gennaio scorso. Sulla scia di quanto espresso a Davos da Xi, a Dalian Li Keqiang ha ribadito che i problemi e gli ostacoli che i singoli Paesi oggi si trovano a dover risolvere non sono dovuti alla globalizzazione in sé, bensì all'incapacità di affrontarli in modo adeguato.
Sul piano dell'innovazione e del coordinamento, uno dei risultati più eclatanti per il Paese asiatico viene dalla cosiddetta imprenditorialità di massa, che sta aumentando esponenzialmente il numero delle nuove imprese attive in Cina, in particolare quelle piccole e medie, grazie anche ad una significativa riduzione della tassazione e alla semplificazione degli oneri amministrativi. Secondo i numeri forniti dal primo ministro cinese, nel corso del triennio 2014-2016 ogni giorno sono state registrate in media circa 14.000 nuove aziende.
Questo trend è tuttavia inscindibile dal processo, altrettanto impressionante, di riduzione della povertà, che durante gli ultimi trent'anni ha consentito a 700 milioni di cinesi di superare la soglia dell'indigenza e di entrare progressivamente nel ciclo economico del Paese. Ricorrendo all'immagine tradizionale cinese degli Otto Immortali che «attraversano il mare, ognuno coi suoi poteri magici», Li Keqiang ha inoltre sottolineato che in questo contesto di imprenditorialità diffusa e di innovazione non sono coinvolte soltanto le imprese e gli istituti di ricerca, ma anche tante persone comuni che possono provare a fare del loro meglio per mettere a frutto le capacità creative individuali, secondo l'idea generale espressa dal pilastro della condivisione.
Questa nuova stagione va dunque a costituire il passo successivo nel riorientamento del sistema Paese, che vede alleggerirsi il peso delle grandi imprese, a partire da quelle di proprietà statale ma non solo. L'obiettivo di breve-medio periodo è senz'altro quello di ridurre l'esposizione delle banche cinesi rispetto alle grandi compagnie che, tra il 1999 (anno del lancio della politica del Go Global) ed oggi, hanno operato all'estero acquisendo aziende straniere o parti di esse. Proprio di recente, colossi come Dalian Wanda, Anbang e Hna Group sono finiti sotto la lente di ingrandimento della Commissione di Regolazione Bancaria. Eppure, il vero obiettivo di lungo periodo è quello di costruire un'industria sempre più specifica, innovativa e ad alto contenuto tecnologico, guidata dalla creatività e caratterizzata da qualità e sostenibilità, mettendo in pratica quanto auspicato dal pilastro politico del verde.
 
Apertura e comprensione reciproca
Per quanto riguarda l'apertura, invece, dal palco di Dalian il primo ministro Li Keqiang ha annunciato che «la Cina estenderà l'accesso al mercato nei settori dei servizi e della manifattura, allenterà le restrizioni sulla proprietà straniera e tratterà imprese locali ed estere su basi di uguaglianza». Li ha poi ricordato che in alcune città del Paese, gli investitori cinesi e quelli esteri stanno già accedendo a procedure di registrazione identiche.
È, più estesamente, la strategia Made in China 2025 a racchiudere una serie di obiettivi strategici che vedono Pechino impegnata a rendere la sua economia di mercato più funzionale, più semplice e più innovativa, anche in linea con quelli che sono i dettami dell'Organizzazione Mondiale per il Commercio (WTO). Su questa base, Li ha invitato le compagnie straniere ad investire in Cina. In particolare si è rivolto alle multinazionali, esortandole ad aprire sedi regionali in loco, e a tutte le aziende estere ad investire nelle province centrali, occidentali e nord-orientali della Cina, cioè quelle meno avanzate rispetto alle aree costiere e precostiere della fascia orientale del Paese.
L'impegno della Cina a procedere nella direzione di una nuova graduale intensificazione del livello di apertura economica, ovviamente, non è incondizionato. Li Keqiang ha ribadito a Dalian che tutte le nazioni del pianeta devono individuare interessi convergenti e completarsi a vicenda per raggiungere risultati dal mutuo vantaggio, a partire dal principio della consultazione paritetica, dalla comprensione reciproca e dall'equo trattamento senza discriminazioni, evitando sia l'imposizione di norme unilaterali sia la politicizzazione del commercio.
Questo principio di reciprocità e convergenza degli interessi nazionali è alla base anche dei grandi progetti infrastrutturali, logistici e commerciali legati all'iniziativa Belt and Road, con cui Pechino, in concerto coi numerosi Paesi coinvolti tra Asia, Europa ed Africa, intende ricostruire le antiche direttrici terrestri e marittime della Via della Seta. I massicci investimenti messi in campo fino ad oggi e gli impegni recentemente assunti a Jeju (Sud Corea) da AIIB, la banca a guida cinese per lo sviluppo infrastrutturale dell'Asia, ci mettono di fronte ad uno scenario internazionale in rapido mutamento, col quale tutti, a cominciare dagli Stati Uniti di Donald Trump e dall'Unione Europea, dovranno rapportarsi.
 
Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia
 
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