Cina. Prosegue l'impegno per l'ambiente

xialberi(ASI) Mercoledì scorso, molte testate cinesi ed asiatiche hanno pubblicato le immagini del presidente Xi Jinping impegnato, assieme ad una classe di giovani studenti, a piantare nuovi alberi in un'area di oltre 13 ettari nella prima cintura verde della municipalità di Pechino, un ex villaggio disabitato e rimboschito.

«Piantare alberi oggi recherà beneficio alle future generazioni domani, dovremmo rimboccarci le maniche per piantarne ancora di più ogni anno, generazione dopo generazione», ha commentato il leader cinese ai microfoni di Xinhua, ricordando la tradizionale piantatura degli alberi a ridosso della festa del Qingming, ossia il Giorno degli Antenati, che quest'anno cadrà il prossimo 4 aprile.
Xi ha ricordato a tutti i bambini cinesi l'importanza di prendersi cura dell'ambiente sin dalla più tenera età, esortandoli a piantare piccoli alberi per il bene del Paese e del pianeta. Ha inoltre rimarcato gli obiettivi fin'ora raggiunti dal piano nazionale di riforestazione, tra cui spicca il vasto progetto della cosiddetta Grande Muraglia Verde, pensata per contrastare la desertificazione nelle zone aride del Nord, e da tante altre iniziative incluse in un più vasto processo di salvaguardia dell'ecosistema e di lotta ai cambiamenti climatici.
 
 
Il G20 tentenna, ma Pechino va avanti
 
L'ultimo vertice dei ministri delle Finanze del G20 a Baden Baden, in Germania, lo scorso 17 marzo, ha segnato un parziale punto di svolta rispetto al recente passato, che lascia in sospeso questioni internazionali fondamentali. L'orientamento della nuova amministrazione statunitense ha palesemente influenzato l'atteggiamento dei partner europei, che hanno preferito omettere il contrasto al protezionismo e la lotta ai cambiamenti climatici dal resoconto conclusivo dei lavori per non indispettire Donald Trump. Il presidente americano, da par suo, ha deciso di andare dritto per la sua strada, cancellando le regole fissate dal suo predecessore per limitare carbone e gas serra.
Chi non cambia opinione è invece la Cina, che ha più volte l'intenzione di procedere su un percorso cominciato oltre venticinque anni fa allo scopo di riqualificare i terreni marginali o incolti, rimboschire zone aride o a rischio desertificazione e risanare i bacini idrografici compromessi, lavorando non solo sul lato della natura, con appositi interventi, ma anche su quello dell'uomo cambiando modalità di produzione e consumo.
Dal punto di vista sociale, la riforma strutturale dell'offerta è soltanto il più recente processo di trasformazione del modello di sviluppo. Giunta ad un picco di produzione manifatturiera, la forza motrice della crescita del Paese non poteva più essere costituita da un pur vasto export di prodotti a basso valore aggiunto, tanto meno in un contesto economico mondiale caratterizzato da una significativa contrazione della domanda estera nei Paesi avanzati. Ad incombere sul sistema Cina, infine, non c'era soltanto il forte rischio-indebitamento per le aziende, ma anche una domanda interna trainata dalla richiesta di prodotti di sempre maggiori qualità, affidabilità ed idoneità agli standard internazionali.
 
 
 
Una riforma strutturale a tutto campo
 
Il potentissimo salto in avanti dell'e-commerce ha messo in evidenza che il consumatore medio cinese, forte di un crescente potere d'acquisto, è sempre di più alla ricerca di servizi di qualità e di beni ad alto valore aggiunto. In questi settori, se fino a qualche anno fa preferiva tendenzialmente rivolgersi a nomi esteri, oggi sono i grandi marchi cinesi ad affermarsi in patria, e progressivamente anche all'estero, in settori che spaziano dalla telefonia mobile all'elettronica, dallo stesso e-commerce all'e-payment e così via.
Una società dove si estende il ruolo del mercato nel processo di allocazione dei beni e dei servizi è una società dove più forte si fa la necessità di un alleggerimento della presenza dello Stato nell'economia, di una riduzione degli oneri fiscali, di una semplificazione amministrativa, di un più solido stato di diritto, di un welfare più esteso ed efficace ma anche, ovviamente, di una maggiore qualità della vita e di un ambiente salubre, dove l'uomo si trovi in armonia con la natura che lo circonda.
È in questi termini che, nel quadro del nuovo piano quinquennale 2016-2020, il governo cinese si esprime per traghettare il Paese più popoloso al mondo, terzo per superficie geografica dopo Russia e Canada, in quello che si prospetta come il più grande processo di trasformazione politico-economica nella storia contemporanea. La riforma dell'offerta è così una riforma necessaria e soprattutto "globale", nella misura in cui la sua forza propulsiva stimolerà, direttamente o indirettamente, cambiamenti in tutti i settori della società e non solo nell' ambito dei consumi.
 
 
 
Il Programma del 2007
 
Il Programma Nazionale Cinese sui Cambiamenti Climatici del 2007 indicava che già «a partire dalla fine degli anni Ottanta, il governo cinese ha riservato sempre maggiore attenzione al cambiamento del modello di crescita e alla ristrutturazione economica, integrando all'interno delle sue politiche industriali nazionali istanze quali la riduzione del consumo di energia e di altre risorse, la promozione di una produzione pulita, la prevenzione e il controllo dei rifiuti industriali».
A quel tempo, l'impatto dei cambiamenti climatici sulla Cina fu individuato in diverse aree di pubblico interesse, a partire dal settore agricolo e dell'allevamento, dall'ambito idrografico e da quello forestale. Tra le zone messe più a rischio dall'alterazione delle condizioni climatiche venivano segnalati le steppe del Nord, la fascia costiera, l'altopiano del Qinghai-Tibet, la catena montuosa del Tien-Shan ed i fiumi Hai, Huai, Giallo, Songhua, Azzurro e delle Perle.
Sulla base dei concetti di sviluppo scientifico e di società armoniosa, introdotti dall'allora presidente Hu Jintao, Pechino si diede così alcune linee-guida principali per affrontare la sfida posta dai cambiamenti climatici, fra cui l'implementazione della politica nazionale per la conservazione delle risorse e la protezione ambientale, il monitoraggio delle emissioni di gas serra, il potenziamento dello sviluppo sostenibile, l'efficientamento energetico e la ricerca scientifica applicata alle tecnologie green.
La Cina confermava dunque il suo impegno nel quadro delle iniziative della Piattaforma ONU per la Convenzione sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC), dando seguito ad una serie di misure e iniziative. L'UNFCC ed il Protocollo di Kyoto venivano considerati «i principali dispositivi legali in mano alla comunità internazionale per affrontare i cambiamenti climatici», pur senza escludere varie forme di cooperazione regionale da sfruttare quale «utile complemento» ai due trattati principali.
 
 
 
 
Il bilancio 2005-2014
 
Nel giugno 2015, sei mesi prima della Conferenza di Parigi sui Cambiamenti Climatici, la Cina aveva presentato il suo rapporto INDC (Intended Nationally Determined Contribution) presso l'UNFCCC, indicando gli obiettivi già raggiunti nel decennio precedente.
Oltre ad aver sviluppato vasti piani low-carbon, finalizzati alla riduzione delle emissioni di carbonio in 42 tra province e città, tra il 2005 e il 2014 le emissioni di anidride carbonica per unità di PIL sono diminuite del 33,8%, la quota di combustibili non-fossili nel consumo di energia primaria ha raggiunto l'11,2% sul totale utilizzato, l'area boschiva e il volume di risorse forestali sono cresciuti rispettivamente di 21,6 milioni di ettari e di 2,188 miliardi di metri cubi, la capacità installata di energia idroelettrica ha raggiunto quota 300 gigawatt per un incremento pari a 2,57 volte, la capacità installata di energia eolica collegata ha raggiunto quota 95,81 gigawatt per un incremento di 90 volte, la capacità installata di energia solare ha raggiunto quota 28,05 gigawatt per un incremento di 400 volte e la capacità installata di energia nucleare ha raggiunto quota 19,88 gigawatt per un incremento di 2,9 volte.
 
 
 
Gli ultimi sviluppi
 
Il 14 marzo scorso, Ma Haibing, direttore del Programma Cina presso il Worldwatch Institute di Washington, ha dichiarato che il consumo di carbone nel Paese asiatico è diminuito per il terzo anno consecutivo. Ma, interpellato dal China Daily, ha affermato che «la Cina ha compiuto molti passi in avanti nello sviluppo delle sue capacità di produrre energia combustibile non-fossile nel corso degli ultimi 10-15 anni». Stando agli ultimi dati a disposizione, alla fine del 2016 i combustibili non-fossili avevano contribuito al 19,7% del consumo nazionale totale, ad un passo dall'obiettivo del 20% fissato a Parigi oltre un anno fa. Durante lo scorso anno, il carbone ha invece inciso sul consumo complessivo per il 62% del totale, rispetto al 64% del 2015. Si tratta «dei livelli più bassi registrati in Cina dal 1990».
Malgrado i leader dei singoli Paesi membri si siano momentaneamente adeguati alle parole d'ordine di Trump, le istituzioni europee sembrano condividere le intenzioni ecologiche di Pechino. Poco più di una settimana fa, la Banca Europea per gli Investimenti (EIB) ha infatti annunciato di voler stanziare 500 milioni di euro nel 2017 a copertura di progetti per la protezione ambientale e la lotta ai cambiamenti climatici nel Paese asiatico. Stando a quanto dichiarato dal vicepresidente Jonathan Taylor, EIB sta espandendo i suoi investimenti in Cina negli ambiti del trasporto urbano, della politica forestale e dell'efficienza energetica, oltre a sondare la possibilità di cooperare con la Banca Asiatica per gli Investimenti Infrastrutturali (AIIB) in materia green.
L'impegno cinese, tuttavia, non si limita al solo territorio nazionale. In una crescente dinamica di internazionalizzazione di capitali, competenze ed expertise, Pechino ha annunciato mercoledì scorso di voler partecipare attivamente ai piani per la preservazione del Mare Artico. Il vicepremier Wang Yang non ha lasciato spazio a dubbi durante il suo intervento al 4° Forum Internazionale Artico, svoltosi nella città russa di Arkhangel'sk. Wang ha richiamato i rappresentanti degli oltre 30 Paesi partecipanti ad un utilizzo appropriato delle risorse dell'Artico, in linea con il diritto internazionale.
 
 
 
Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia
 
 
 
 
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