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Libia, Frattini in Senato  parla della crisi

 

(ASI) La crisi libica, oltre a farsi risentire sul piano economico in Italia, è stata al centro di un intenso dibattito politico che ha infiammato opposizione e maggioranza. I forti legami economici con i quali l'Italia si è strettamente legata alla Libia, fanno giocare, agli occhi della comunità internazionale, un ruolo chiave per la risoluzione dei gravosi spargimenti di sangue attuati dal governo di Tripoli per sedare le rivolte.
Preoccupato il Ministro degli Esteri Italiano che, in attesa di dare il via libera al Ministro della Difesa, La Russa, circa il recupero dei connazionali rimasti in Libia, in Senato illustra con un lungo discorso la situazione secondo le fonti in possesso al nostro governo, visto il susseguirsi di notizie spesso anche smentite. Vi riportiamo la dichiarazione ufficiale che Frattini, lo scorso 23 febbraio, ha presentato alla Camera affermando: "Signor Presidente, onorevoli colleghi, è certamente di grande importanza il fatto che il Parlamento intenda ancora una volta ascoltare il Governo su una situazione diversa da quella di cui parlammo la scorsa settimana, ma certamente ancor più drammatica e potenzialmente destabilizzante per l'intero bacino mediterraneo. Evidentemente, la questione libica non è per la prima volta all'attenzione del Governo italiano e del Parlamento italiano. Il Governo dell'Italia, non da oggi ma almeno dall'inizio degli anni Novanta, cominciò a lavorare per la progressiva normalizzazione di un rapporto che aveva caratterizzato nei decenni la relazione italo-libica, con momenti di speciale difficoltà, con momenti talvolta di grave crisi, con momenti di vera e propria inimicizia e ostilità. Governi di diverso colore politico, (con primi Ministri anch'essi di diverso colore politico e altrettanto per i Ministri degli affari esteri) dall'inizio degli anni Novanta con il Governo Berlusconi, poi con il Governo Prodi, poi D'Alema, poi Amato, poi ancora una volta il Governo Berlusconi lavorarono - e lavorammo anche noi in questa legislatura - per definire un quadro che sostituisse l'inimicizia e il retaggio del colonialismo italiano in Libia con una nuova prospettiva di stabilità.
Il Parlamento italiano condivise questa impostazione approvando il Trattato bilaterale con la Libia nel 2009, alla Camera con ampia maggioranza e in questa Aula del Senato, nel febbraio 2009, con la larga maggioranza di 232 voti a favore e di 22 voti contrari. È evidente che - come fu segnalato da coloro che intervennero nel Parlamento - era il segno della volontà dell'Italia nel suo complesso per ristabilire una relazione e per rendere di nuovo possibile non solo coltivare interessi economici con la Libia, ma anche definire un rapporto equilibrato per la gestione mediterranea, migratoria e umana. Ricordate il grande problema dei profughi e degli esiliati che, tra l'altro, nell'ambito di questo accordo ancora non ha trovato, a mio personale avviso, la completa soddisfazione.
Allora è evidente che se questo accadde, accadde perché anche in Europa qualcosa era cambiato, anche in Europa ci si era resi conto che la Libia, Paese mediterraneo, doveva essere ricondotto ad un quadro negoziale con l'Unione europea. Quando giustamente sulle colonne di un grande giornale qualche giorno fa il presidente Prodi ha rivendicato il merito di aver sdoganato in Europa la Libia, lo fa riconoscendo che in quel momento storico la strada che i Governi stavano percorrendo era quella giusta.
Oggi la situazione è completamente cambiata. Abbiamo di fronte a noi una situazione drammatica, anzi estremamente drammatica, in cui il bagno di sangue annunciato ieri da Gheddafi segue le morti già viste, testimoniate, constatate nelle strade, non soltanto della provincia della Cirenaica, ma anche di Tripoli, con raid, uccisioni, mitragliatori in azione nelle strade e con un numero di morti che ancora non siamo in grado di quantificare. Fonti non confermate hanno parlato di 1000 morti; altre fonti hanno dato indicazioni superiori. Le fonti ufficiali forniscono indicazioni francamente poco credibili e parlano di poche centinaia, 200 o 300 morti in tutto il Paese. È evidente, quindi, che la situazione libica con una regione, quella della Cirenaica, ormai fuori dal controllo delle autorità di Tripoli e con altre regioni (la Tripolitania, in particolare, dove scontri violenti ci sono stati e saranno certamente in corso presto), ci mostra l'immagine di un Paese in uno stato di guerra civile, con le autorità della capitale che ordinano attacchi contro lo stesso popolo libico, bombardamenti e azioni di violenza inaudita.
È evidente che questo potrà avere e avrà un impatto - come detto - destabilizzante non solamente per le relazioni con l'Italia. Avete ascoltato ieri persino parole che hanno riecheggiato la retorica anti-italiana e anti-americana, un discorso televisivo in cui da Tripoli Gheddafi ha accusato l'Italia e gli Stati Uniti di essere fomentatori delle sommosse e addirittura l'Italia di avere fornito razzi ai rivoltosi; notizia, ovviamente, assolutamente falsa, ma che dà l'idea di un degradarsi della situazione e anche dei rapporti. Questo - ed è la prima riflessione che desidero fare - per l'Italia pone immediatamente l'esigenza di una riflessione politica. Dovremo affrontare nelle prossime settimane una questione complessa, che credo sarà drammatica non solo per l'Italia, ma per l'intera Europa. Essa riguarderà certamente anzitutto la dimensione umana, di cui parlerò, quella migratoria in particolare; la dimensione della collaborazione economica, che riguarda migliaia e migliaia di famiglie italiane dipendenti da aziende, imprese che hanno investito, investiranno nelle loro previsioni e forse non potranno più investire nei rapporti economici con la Libia; la questione energetica, della quale pure dirò. Il tutto richiederà una seria valutazione dell'interesse nazionale italiano a dare una risposta a questa drammatica crisi in cui ci stiamo incamminando e a farlo - a mio avviso - nell'unità del Paese.
Questo è il primo punto che intendo toccare. Sono certo che come si fa e si deve fare nelle grandi democrazie quando una questione tocca la politica estera e ancor più profondamente l'interesse nazionale del Paese, la maggioranza e tutte le forze di opposizione che si rendono disponibili dovranno e potranno insieme raccogliere informazioni, consultarsi reciprocamente, lavorare insieme per definire momento per momento quale sia il modo migliore per tutelare l'interesse nazionale, non l'interesse del Governo italiano in carica.
L'interesse nazionale, a mio avviso, si ricerca anzitutto attraverso un lavoro forte con il Parlamento. Non posso evidentemente dire a voi quale sia la modalità più idonea per farlo: il Presidente del Senato - come ho detto oggi al Presidente della Camera - e voi parlamentari ne valuterete le forme, ma vi anticipo che se vi fosse anche da parte del Senato, come vi è stata alla Camera dei deputati, la disponibilità da parte della Commissione affari esteri e della Commissione per i diritti umani di riunire in permanenza l'Ufficio di Presidenza per una consultazione ed uno scambio di informazioni costante con il Governo, il Governo non solo non si sottrarrebbe a ciò, ma ne sarebbe lieto. Questo potrebbe comportare il coinvolgimento di organi parlamentari istituzionali, alcuni dei quali presieduti da esponenti dell'opposizione.
Onorevoli senatori, questo è l'avviso del Governo relativamente ad una prospettazione politica che è stata fatta pubblicamente proprio dal presidente Casini, il cui partito, sia al Senato che alla Camera, fu tra i pochissimi a votare contro l'accordo italo-libico. Votò contro allora, ma oggi, di fronte a questo che certamente rappresenta un impegno del Paese che non può dividerci, ha formulato un appello a lavorare insieme. Il Governo raccoglie questo appello con convinzione, perché credo che si debba mettere da parte l'occasione e l'opportunità - che qualcuno può avere avuto e può avere - di usare questioni di politica estera così delicate per ragioni di lotta politica interna. Qui l'interesse nazionale prevalente è lavorare insieme per definire le prossime mosse, di cui poi credo tutti noi dovremo rispondere ai cittadini italiani e di cui il Governo - questo sì - ha la responsabilità di rispondere dinanzi alle istituzioni internazionali.
Onorevoli senatori, la situazione - come accennavo - è stata rappresentata pubblicamente e in colloqui e contatti che abbiamo avuto in molti modi. Ieri il Presidente Berlusconi ha ascoltato le parole che gli ha rivolto Gheddafi, cui aveva telefonato per aggiungere la sua voce a quella del segretario dell'ONU Ban Ki-moon. Il leader di Tripoli ha parlato in questi giorni con il presidente Berlusconi e con il segretario dell'ONU e ad entrambi, che gli chiedevano ovviamente la condanna e la cessazione immediata delle violenze sul popolo libico, ha risposto facendo riferimento a quello che poi ha affermato: l'azione di gruppi isolati, il pericolo del fondamentalismo islamico nella Libia orientale e la volontà di andare avanti.
Onorevoli senatori, a tutto c'è un limite. Abbiamo approvato in quest'Aula del Senato l'accordo italo-libico, ma ora è il momento di dire che certamente la violenza contro il popolo libico è qualcosa che non può essere mai in alcun modo giustificata: nessuna spiegazione, nessuna motivazione, nessuna scusa. Lo abbiamo chiesto e lo ripetiamo nelle sedi internazionali, unendoci e rappresentando con l'Unione europea una voce chiara e unanime: condanna senza riserve di queste azioni, richiesta immediata di sospensione delle violenze per aprire un dialogo nazionale e per ascoltare la voce del popolo.
Questa è stata la reazione dell'Europa, questa è stata la reazione dei nostri amici americani, questa è stata in Italia la forte volontà che il messaggio del Capo dello Stato ha voluto trasmettere con la sua pubblica dichiarazione e la voce che il Governo ha evidentemente rappresentato e rappresenterà.
Ieri, al Cairo, incontrando il Segretario generale della Lega araba, ho avuto la possibilità di avere da lui in anteprima il testo che sarebbe poi diventato la dichiarazione di condanna della Lega araba per i comportamenti posti in atto dalla leadership di Tripoli: una condanna ferma, unanime di tutti i Paesi della Lega araba, che hanno voluto dal mondo arabo fare unire la loro voce alla voce di condanna per le violenze, gli spargimenti di sangue, il rischio di guerra civile, il rischio - in altri termini - che quel Paese si trasformi davvero in un luogo dove avvengono stragi, dove il popolo si divide e dove la guerra civile purtroppo viene alimentata, fomentata, incoraggiata. La Lega araba ha detto una parola importante a cui stanotte si è aggiunto, da ultimo, il Consiglio di sicurezza dell'ONU. Il quadro internazionale ormai è chiaro e credo che da questo quadro internazionale dobbiamo partire, dandolo ormai come la posizione consolidata cui tutti i Paesi del mondo - come detto - si atterranno. Oggi non voglio ricordare appelli a cessare la violenza, che sono provenuti persino da Paesi in cui purtroppo le violenze si stanno verificando e si verificano con estrema gravità e che pure hanno trasmesso questo messaggio; insomma, se l'Unione europea, gli Stati Uniti, la Lega araba, il Consiglio di sicurezza dell'ONU questo hanno detto, credo che mai nella storia della politica estera recente vi sia stata una tale comunanza di intenti nella Comunità internazionale.
Qual è la situazione che abbiamo davanti? Abbiamo davanti un'opposizione libica magmatica. La storia della Libia, per chi la conosce, insegna di divisioni storiche tra gruppi tribali. Alcuni di questi gruppi tribali hanno già agito contro il regime di Tripoli, hanno già dichiarato di voler sostenere le azioni di coloro che sono nelle strade, che chiedono libertà, che chiedono diritti, che chiedono un cambiamento. Non abbiamo visto ancora emergere, come è pure emersa in alcuni dei Paesi attraversati dal vento di libertà nel Mediterraneo del Sud, una leadership coesa dell'opposizione. È un elemento su cui dobbiamo riflettere, considerando che nella Cirenaica esistono gruppi che sono certamente ispirati da motivazioni radicali islamiste, anche se sarebbe sbagliato dire che l'azione contro il Governo di Tripoli è nata con motivazioni radicali islamiste; è nata dalla volontà, dalla richiesta forte, non di pane perché la Libia non è un Paese povero, ma di diritti, di libertà, di cambiamento.
La seconda riflessione importante che desidero fare con voi è la significativa moltiplicazione delle defezioni da un Governo che appariva solo fino a qualche giorno fa straordinariamente unito e coeso al suo interno, tanto da sollecitare e da rappresentare alla stessa Unione europea fino a 20 giorni fa la volontà di definire molto presto il negoziato per un accordo quadro tra Libia ed Unione europea. Ebbene, abbiamo visto le dimissioni del Ministro della giustizia, del Ministro della sicurezza di Bengasi (che si troverebbe ora a Bengasi); abbiamo visto la defezione del Vice capo delle Forze armate libiche, di molti diplomatici in giro per il mondo.
L'esercito in Libia non ha la struttura dell'esercito egiziano; questo è un punto di analisi e di valutazione.
La situazione è in cambiamento continuo ma - ripeto - questo è un punto su cui riflettere: cosa sta facendo e cosa farà l'esercito dopo le molte defezioni di alcune brigate, di alcuni squadroni, di alcuni piloti, di alcuni equipaggi di navi, che hanno dichiarato di ribellarsi agli ordini di sparare contro il loro stesso popolo. Si tratta di una situazione magmatica. Le notizie sulla situazione di Tripoli sono incerte: da quelle che riferiscono - cito le parole del vescovo di Tripoli - di una calma piuttosto significativa, a quelle che invece riportano immagini di sparatorie, echi di bombardamenti anche nei quartieri periferici della capitale. Credo che, dinanzi a questo, ancora una volta la reazione della comunità internazionale non si possa fermare. L'Italia sosterrà in un quadro europeo le ulteriori appropriate misure che verranno decise - non sappiamo ancora quali, ma le stiamo esaminando nel tavolo tecnico europeo - per fare fronte alla sconsiderata eventualità che la violenza non si fermi e che le morti di civili innocenti continuino.
Dobbiamo richiamare la nostra attenzione su alcuni aspetti. Il primo, che avrà un impatto certo sulla situazione del Mediterraneo centrale, riguarda la questione migratoria. È un dato di fatto che molti di voi conoscono. In Libia abitano circa 7 milioni di persone, di cui 2,5 milioni non sono cittadini libici, ma sono persone provenienti da altri Paesi, in particolare dell'Africa sub-sahariana, che risiedono in Libia perché hanno un lavoro, spesso misero, modestissimo, ma che consente loro di vivere in quel Paese. Ad esempio, vi sono 300.000 egiziani che stanno già chiedendo di entrare in Egitto. Il Governo provvisorio egiziano, che ho incontrato ieri, mi ha rappresentato proprio il problema legato al rientro dei lavoratori egiziani, in caso di continuazione della crisi, come una delle conseguenze più pericolose per l'equilibrio dello Stato egiziano in transizione; ricordo che la provincia occidentale egiziana è al confine con la provincia orientale della Libia, cioè la Cirenaica. L'Egitto è preoccupato, ma sono preoccupate anche l'Algeria e la Tunisia per il rientro in patria di migliaia di lavoratori. Secondo una stima che i nostri analisti considerano credibile, forse soltanto una piccola percentuale dei 2,5 milioni di lavoratori non libici penserà di cercare fortuna imbarcandosi verso Nord; se questa piccola percentuale fosse solo del 10 per cento, si tratterebbe di 250.000 potenziali immigranti verso le coste dell'Europa. Ciò riguarderebbe certamente anche le coste italiane, che sono tra quelle più vicine, quelle della piccolissima Malta, quelle della Grecia (che è proprio di fronte a Bengasi, in linea retta verso Nord) e di Cipro.
Questo è il primo tema: l'impatto di tale situazione non può e non deve rimanere soltanto sul sistema Italia; è dunque il momento che agisca l'Europa. L'Europa ha sempre parlato di un coordinamento delle azioni e di una più forte azione per la prevenzione; è ora che l'Europa - questa sarà la voce che porterà domani il ministro Maroni a Bruxelles al Consiglio dei Ministri dell'interno e della giustizia - prenda il coordinamento e la gestione dell'eventuale impatto di un flusso migratorio che né l'Italia né altri Paesi mediterranei potrebbero sopportare da soli.
Onorevoli senatori, abbiamo visto filtrare delle dichiarazioni anonime. Anonimi funzionari di Bruxelles già ci fanno sapere che ci daranno 100 milioni di euro, che lavoreranno con la missione di pattugliamento Frontex, ma che gli immigrati che arrivano in Italia rimarranno in Italia, che quelli che arrivano a Malta rimarranno a Malta. Se questo fosse vero - e chiedo che l'Italia tutta intera, tutta insieme chieda all'Europa un cambio di passo - io, che sono un convinto europeista come lo siete voi, vorrei più Europa non meno Europa. Credo che l'Europa debba dire, senza se e senza ma, che se si dice no all'Italia, a Malta e alla Grecia in questo momento si rompe il pilastro della solidarietà europea che è nato con il Trattato di Roma nel 1957.
Non è una novità che chiediamo all'Europa di confermare quel che l'Europa ha sempre affermato di voler fare. Credo che tutta l'Italia debba essere convinta che noi non parliamo altro che di un'Europa che faccia l'Europa, di un'Europa che si assuma la responsabilità, così come ha fatto per la protezione dei mercati e dell'euro e anche per la difesa delle banche. Vogliamo accettare l'idea che l'Europa non si preoccupi che una grande ondata di disperati arrivi sulle sue coste meridionali e lì debba restare, senza che nessuno si ponga seriamente questo problema? È ovviamente una questione politica, che verrà affrontata dai Ministri dell'interno e dai Capi di Governo dell'Unione al prossimo Consiglio europeo, su richiesta del Governo italiano.
Il secondo grande tema, onorevole senatori, riguarda la situazione dei nostri connazionali in Libia, alcuni dei quali stanno progressivamente rientrando in Italia. Noi non abbiamo obbligato gli italiani all'evacuazione: abbiamo offerto a coloro che lo volevano la possibilità di rientrare. Da domenica sono rientrati, solo da Tripoli, 650 connazionali. Siamo in contatto con connazionali in alcune città, in particolare lontane da Tripoli, per favorirne, se lo vorranno, il rientro. Per esempio, ci sono 50 turisti in viaggio nel deserto libico e in località turistiche e stiamo organizzando il loro rientro in Italia, mentre 150 impiegati dell'ENI sono rientrati con voli dell'azienda.
Abbiamo oggi una stima generale di un migliaio di italiani in tutto il territorio libico. Certamente la situazione più delicata è quella della regione orientale, la regione di Bengasi, dove il primo aeroporto è chiuso e il secondo, quello di Misurata, è egualmente nell'impossibilità di funzionare; lì abbiamo circa 180 italiani in attesa di partire. Una nave italiana, partita 27-28 ore fa, si appresta ad avvicinarsi ai porti della regione di Bengasi, per offrire un'alternativa al rientro, impossibile per ora, con l'aeroplano..
Siamo anche in contatto con le autorità della Difesa, con il COI, per la gestione di un volo (velivolo C-130) dotato di alcuni equipaggiamenti speciali e con squadre di pronto intervento di sicurezza al seguito che, atterrando a Tripoli, potranno garantire, ove occorra, un'evacuazione d'urgenza dei cittadini italiani che lo richiedano. Su questo fronte c'è una decisione che, sotto il profilo politico, ho comunicato alle autorità politiche competenti, quindi il mio Ministero ed il Ministero della difesa, e alle autorità sanitarie, quindi la Croce Rossa.
Siamo pronti a promuovere un canale umanitario italiano verso la regione di Bengasi, dove i rapporti e le informazioni che cominciano ad arrivare con l'arrivo di giornalisti occidentali - lo avete letto anche sui giornali italiani - parlano di ospedali saturi, di necessità di sangue per le trasfusioni, di morti per le strade.
Io credo che l'appello che ci è stato rivolto dalla organizzazione medica delle comunità arabe stamattina debba essere raccolto. Abbiamo avuto il primo, importante via libera. La Federazione italiana dell'ordine dei medici è pronta con medici volontari. Ci stiamo lavorando. Mi auguro che riusciremo in brevissimo tempo ad organizzare, chiedendo eventualmente lo sgombero dell'aeroporto e della pista di Misurata, in modo da attivare in tempi davvero rapidi quel canale umanitario italiano con la Croce rossa, con i medici volontari, con i medici locali, che potrebbe portare almeno in quella Provincia, che è stata così duramente ed orribilmente colpita, qualche aiuto medico di primissima necessità.
Vi è un impatto sulla situazione energetica. Non mi dilungo molto perché il ministro Romani è stato oggi anche pubblicamente molto chiaro: la fornitura di gas libico sospesa è stata già rimpiazzata per le esigenze ordinarie da un aumento di fornitura, avendo l'Italia una buona diversificazione di approvvigionamenti dall'Algeria fino alla Russia.
Quindi, questa situazione non avrà un impatto negativo sul fabbisogno energetico italiano. Certamente vi sarà un impatto sul settore industriale infrastrutturale. L'insieme dei contratti che imprese italiane, con i relativi dipendenti, avevano già negoziato supera i 4 miliardi di euro. È un settore evidentemente che soffrirà, se non si ripristineranno in tempi rapidi condizioni accettabili per il lavoro e per la operatività dei cantieri nelle imprese italiane. È un altro degli aspetti di cui il sistema Italia dovrà discutere insieme, ovviamente, con la comunità imprenditoriale.
Concludo il mio intervento dicendo che le richieste puntuali che noi abbiamo già fatto all'Europa non si limitano a questo, ma si estendono alla proposta operativa che l'Europa, attraverso Frontex, l'agenzia europea, assuma il vero e proprio controllo di gestione dell'andamento dei flussi, anche sulla base di direttive europee, che sono del 2008, ma sono entrate recentemente in vigore in tutti Paesi europei. Sono direttive - qualcuno dei colleghi della Camera ha oggi notato - non ancora ratificate dall'Italia. Non vorrei fare offesa alla cultura giuridica del Senato se ricordo che queste direttive sono immediatamente operative perché sono puntuali. Con il nuovo ordinamento, dopo il Trattato di Lisbona, si tratta di direttive che, anche se non formalmente ratificate nei loro principi, sono immediatamente applicabili e certamente sono applicabili a Frontex, l'agenzia europea, che per prima ha il dovere di rispettare una direttiva recentemente entrata in vigore.
Questo è il quadro del quale io chiedo al Senato di condividere se lo vorrà l'appello ad un lavoro comune Parlamento-Governo per l'informazione e la consultazione su questo grande tema che riguarda l'interesse nazionale dell'Italia, dicendo con assoluta certezza che si è superato ogni limite sulla accettabilità e sulla giustificabilità di comportamenti che stanno offendendo in queste ore i diritti umani basilari e che niente mai potrà giustificare o perdonare.

 

 
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